Massimo Nava per il Corriere della Sera di martedì 6 gen 2009, Anna Maria Merlo pèer il Manifesto del 6 gen 2009, la Repubblica, 6/1/09, 7 gennaio 2009
FRANCIA, NIENTE SPOT NELLA TV PUBBLICA
PARIGI - «Benvenuti in territorio sconosciuto»: titolo emblematico per il documentario di France 2 che ieri sera ha segnato l’ inizio della rivoluzione nella televisione pubblica francese. Da ieri (a partire dalle 20 fino alle 6 del mattino) è infatti scomparsa la pubblicità sui canali finanziati dallo Stato e dal contribuente, con la sola eccezione di sponsorizzazioni di trasmissioni particolari o annunci di interesse pubblico che, in ogni caso, non andranno a interrompere i programmi nazionali e regionali di France 2, France 3, France 4 e France 5. Nicolas Sarkozy lo aveva promesso, a sorpresa, durante la tradizionale cerimonia degli auguri del 2008. Sembrò una provocazione, subito oscurata dalla conferma del legame con Carla Bruni, ma il presidente faceva sul serio nel proporre una televisione di qualità e d’ informazione, un modello Bbc alla francese, meno ricattata dalle leggi del marketing e dell’ audience. In pochi mesi, i vertici della televisione pubblica hanno rivisto il palinsesto e l’ organizzazione, mentre l’ Assemblea nazionale, nel dicembre scorso, approvava l’ apposita legge. Manca, ancora oggi, il sì definitivo del Senato che comincerà la discussione del provvedimento il 7 gennaio, ma i vertici di France Télévision si sono adeguati in anticipo, confermando peraltro quanto grande sia in Francia il potere decisionale del presidente della Repubblica e quanto poco conti il Senato. La tv francese entra in una nuova era, ma le incognite, per riprendere il titolo del primo programma senza pubblicità, non mancano, come le polemiche e le resistenze corporative di giornalisti e impiegati del settore pubblico che annunciano proteste e scioperi. L’ opposizione socialista (dimenticando che fu Mitterrand ad aprire la porte alla televisione commerciale e a invitare Berlusconi in Francia) non crede al progetto qualitativo di Sarkozy e denuncia un «enorme regalo» alle tv private (i cui padroni, per inciso, sono notoriamente amici del presidente) che incasseranno gran parte degli introiti pubblicitari (si parla di 200 milioni di euro) dirottati dalle reti pubbliche. In secondo luogo, crescono le preoccupazioni per l’ autonomia finanziaria e operativa di France Télévision, le cui perdite di pubblicità dovrebbe essere compensate da un aumento dell’ 1,5 per cento della tassazione sugli introiti pubblicitari delle televisioni private e con una tassa dello 0,9 per cento sugli operatori della telefonia mobile e sui fornitori di accessi Internet. Per ora il canone, indicizzato sull’ inflazione, non si tocca, ma molti osservatori ritengono che un aumento sia in futuro inevitabile. Su tutta l’ operazione pesano inoltre due grandi incertezze che rischiano di rimetterla in discussione. La prima riguarda le reazioni del pubblico. Secondo i sondaggi, la grande maggioranza dei più di venti milioni di telespettatori è favorevole alla soppressione della pubblicità. Più difficile valutare l’ uso del telecomando di fronte a un palinsesto che punterà quasi esclusivamente su dibattiti, cinema e informazione e che ieri sera ha debuttato con un documentario sulla cultura del Mali. Per questo, i vertici di France Télévision fanno annunci prudenti sulla rivoluzione di contenuti e abitudini. «Si tratta di inventare una nuova televisione senza essere fondamentalisti: serial americani, sport e divertimento avranno il loro posto in un servizio pubblico per il grande pubblico», assicura la ministra della cultura, Christine Albanel. La seconda grande incognita riguarda gli effetti della crisi economica sul settore pubblicitario. I tagli degli investimenti (sei per cento in meno nel 2008) fanno diminuire gli incassi delle reti private, ma indirettamente anche le compensazioni fiscali per quelle pubbliche. Lo Stato si è impegnato in ogni caso a garantire a France Télévision un finanziamento annuale di 450 milioni di euro. La rivoluzione nella tv francese non finisce qui. ormai in fase di realizzazione il progetto unificare in un’ unica azienda pubblica France 24 e gli altri canali televisivi e radiofonici internazionali. In questi giorni verranno presentate le proposte per la stampa scritta, la cui crisi di diffusione e di bilancio è davvero la più ricca d’ incognite.
Massimo Nava
* 200 milioni di euro: gli introiti pubblicitari della tv pubblica che andranno sulle reti private * La vicenda
La soppressione della pubblicità sulla tv pubblica francese tra le 20 e le 6 è stata annunciata da Sarkozy l’ 8 gennaio 2008 nel quadro di una riforma che prevede l’ eliminazione totale degli spot entro il 2011 e la nomina del presidente dell’ azienda tv da parte del governo
Scioperi - La riforma è partita ieri anche se manca l’ ok del Senato (domani il dibattito). L’ opposizione denuncia il «regalo» di Sarkò agli «amici delle tv private».
TERREMOTO VIDEO, I PARADOSSI DI UNA LEGGE NON ANCORA LEGGE
PARIGI - France 3 ha accolto ieri con uno sciopero l’avvio della riforma della tv pubblica, che abolisce la pubblicità dalle ore 20 alle 6 del mattino - ma, soprattutto, mette le reti direttamente sotto controllo politico, con la nomina (e la revoca) del presidente di France Télévision direttamente in consiglio dei ministri. France 2 sarà in sciopero domani . La riforma della tv pubblica, annunciata a sorpresa giusto un anno fa da Nicolas Sarkozy, si sta avvitando in una serie di paradossi: il primo dei quali è che è diventata realtà da ieri sera, mentre la legge non è ancora passata in parlamento. La riforma, difatti, è stata votata all’Assemblea dei deputati prima delle vacanze di Natale, con forti tensioni, ma il Senato comincia ad esaminarla solo domani. Al Senato, per di più, l’Ump (il partito di Sarkozy) non ha la maggioranza e deve fare i conti con la fronda degli alleati del Nuovo centro, intenzionati a mostrare la loro indipendenza, mentre l’opposizione fa muro contro una riforma che mette la tv pubblica sotto stretto controllo politico. E anche nell’Ump lo scetticismo dilaga su questa decisone di Sarkozy.
Tra i giornalisti e i dipendenti di France Télévision l’inquietudine è grande, perché il finanziamento delle reti non è più certo: lo stato ha promesso, per il prossimo anno, di compensare le mancate entrate pubblicitarie (450 milioni di euro), anche attraverso una nuova tassa (ridotta dai deputati Ump allo 0,9%) sul fatturato pubblicitario delle reti private e un indicizzazione del canone sull’inflazione. Al di là del paradosso di far finanziare la tv pubblica dalla buona salute pubblicitaria delle reti private, resta l’incognita sul futuro: ogni anno, il presidente di France Télévision dovrà andare a mendicare dei finanziamenti al governo, ed è facile capire che sarà ricattabile politicamente. Inoltre, la legge, se passerà al Senato, prevede l’abolizione totale della pubblicità dal 2012. Allora, i milioni da trovare saranno 650. Dove? Nessuno lo sa. I giornalisti temono la privatizzazione di una rete pubblica. L’attuale presidente di France Télévision, Patrick de Carolis, che è stato obbligato ad applicare la riforma a cui era contrario con un decreto interno in mancanza della legge, ha già avvertito che ci sarà «un incitamento alle dimissioni volontarie», che dovrebbe riguardare 900 posti di lavoro entro il 2012. La riforma prevede anche la costituzione di un’impresa unica, al posto della miriade di società che oggi costituiscono France Télévision. I sindacati sono inquieti, perché questo significa rivedere tutti i contratti collettivi: nelle reti pubbliche, esistono differenze notevoli di stipendio e di diritti a seconda delle reti e c’è il timore di un allineamento al ribasso sul minimo comun denominatore.
Le tv private stanno a guardare, ma con apprensione, gli effetti del big bang. Difatti, con l’abolizione della tv dopo le ore 20, cambiano gli orari del prime time per le tv pubbliche, con programmi che iniziano ormai alle 20.35 invece che alle 20.50. Le reti pubbliche attireranno più spettatori iniziando prima? Per il momento, l’ammiraglia Tf1 non ha cambiato orari, mentre M6 ha anticipato il prime time alle 20.45. Il problema è che la fascia oraria 20.30-21 è quella che fa guadagnare di più con la pubblicità: il 15% delle entrate pubblicitarie sono concentrate in questa mezz’ora. La riforma non ha solo regalato ai privati la fetta pubblicitaria a cui è costretta a rinunciare la tv pubblica, ma ha anche allentato i vincoli (permette ormai di allungare e aumentare il volume degli spot e rende legale un secondo taglio pubblicitario nella trasmissione di film). Il fatto che la prima tappa della riforma sia l’abolizione della pubblicità nelle ore più lucrative, mentre gli spot tornano dalle 6 del mattino - cioè quando, soprattutto nel week end e il mercoledì che non c’è scuola, i bambini sono davanti al video - rende scettici sulla motivazione ufficiale di Sarkozy di una riforma per la «qualità del servizio pubblico». Patrick de Carolis si è piegato al volere di Sarkozy, anticipando con un decreto interno la riforma, per salvare il suo posto di presidente. Un simbolo, che la dice lunga sul futuro di dipendenza delle reti pubbliche dal potere politico.
Anna Maria Merlo
parigi carosello esisteva da più di undici anni quando il 1º ottobre 1968, alle 19.56, apparve sugli schermi della tv francese il primo spot che vantava i meriti di un latte in polvere. Una "réclame", come si diceva allora. Quarant’ anni dopo, la tv pubblica cambia registro: da ieri sera, la pubblicità è soppressa a partire dalle 20. E fra tre anni sarà bandita a qualsiasi ora del giorno e della notte. Una vera e propria rivoluzione firmata Nicolas Sarkozy, che ha voluto personalmente questa misura ed ha anche deciso di nominare direttamente il presidente di France Télévisions, la Rai transalpina, che sarà così diretta da un uomo esplicitamente gradito dal potere politico. Una rivoluzione dalle conseguenze ancora incalcolabili: quasi 760 milioni investiti dalle aziende nelle reti pubbliche dovranno trovare altri veicoli pubblicitari. Ma la posta in gioco non è solo economica: la soppressione degli spot rivoluziona gli orari del `prime time’ e può preludere a un terremoto dell’ audience, già messa sottosopra dal digitale terrestre.