Vittorio Zucconi, la Repubblica, 6/1/09, 7 gennaio 2009
COME RICEVERE BARACK E MICHELLE?
Vittorio Zucconi per Repubblica di martedì 6 gennaio 2009
WASHINGTON - In una "company town" come Washington, in una città nutrita da una sola azienda - la politica - e lubrificata dalla vanità, nella quale il potere si misura dalla distanza che separa dal Presidente del "Governo Spa", la guerra per conquistare le posizioni sulla nuova scala sociale è cominciata ieri, quando Barack Obama è sceso dall’ aereo e ha raggiunto Michelle e le figlie all’ Hotel Hay Adams. Un albergo dove ancora oggi è più facile che un uomo di colore si senta chiedere di portare le valigie piuttosto che ordinare come voglia fritte le uova della colazione in camera. E’ cominciato il rito pagano dell’ iniziazione del "nuovo arrivato", il balletto del branco di lobbysti, damazze, arrampicatori, celebrità, miliardari che va in scena da 208 anni, da quando Abigail e John Adams, la prima coppia presidenziale che risiedette in una Casa Bianca non ancora intonacata, sbarcarono depressi e recalcitranti in una Washington che contava in tutto 336 abitazioni e appena 130 di loro in muratura. Ma se il rito dell’ assimilazione o del rigetto del nuovo compagno di scuola è ovunque crudele, nel caso degli Obama la novità di quella sua storia e di quel suo colore eccita e turba ogni "hostess", ogni salotto, ogni party, nella voglia di impadronirsi di lui e nel terrore di commettere la micidiale gaffe politicamente scorretta. Nessuno, nelle mansion di Georgetown, sulle quali un tempo regnavano Pamela Harriman, la nuora di Winston Churchill e amante di cavalieri illustri, Kathrine Graham, l’ editrice del Washington Post, o Sally Quinn, la giornalista moglie del direttore per definizione, Ben Bradlee, sempre del Post, sa davvero chi siano questi Obama. Se siano animali sociali e socievoli come i Reagan o i Clinton, che non videro mai un party al quale non volessero essere invitati, o scontrosi come i Bush, che preferivano ristoranti pubblici e praterie texane. Se non addirittura orsi in volontaria ibernazione come i Nixon, troppo nevrastenico per sopportare a lungo il tintinnio di argenti e porcellane, o i Carter, offesi da una mondanità ostentata che per quattro anni evitarono come quelle appetitose donne nude che Jimmy confessò di sognare, soltanto sognare, ogni tanto. I Carter respinsero i salotti come i salotti respinsero loro, per quattro anni di guerra sociale fredda. Gli Obama hanno vissuto troppo poco, e troppo fugacemente a Washington, nei quattro anni dell’ incarico di senatore dell’ Illinois, perché negli archivi sociali della grandi case di Chevy Chase, di Potomac, di McLean (dove regnavano i Kennedy), di Georgetown, Spring Valley, di Kalorama, i quartieri top, esistano precedenti ai quali riferirsi. Si sa che durante una cena nella casa dei Marchant, miliardari del catering e grandi elemosinieri democratici, il senatore conobbe un avvocato afro come lui, Eric Holder, e da quella serata maturò l’ incarico di ministro della Giustizia che ora gli è stato assegnato. Preferisce dunque la compagnia dei "brothers", dei fratelli di carnagione simile? Sarà dunque necessario mobilitare sempre il sindaco in carica di Washington, Adrian Fenty, un altro giovane e attraente politico di colore, prodotto di quella borghesia nera che pretenderà sicuramente la propria libbra di carne presidenziale? O diventa troppo smaccato, e dunque offensivo, popolare i dinner party (oggi quasi sempre buffet, la cena seduta annoia tutti) di afro americani? Ha confortato la Washington del "circuito sociale" la scelta della scuola per la bambine Malia a Sasha, che Michelle ha iscritto nel liceo Quacchero di Sidwell Friends, dove già andò Chelsea Clinton, anziché una scuola pubblica come fecero i Carter con la loro Amy, i Quaccheri essendo stati tra i più attivi apostoli della lotta contro lo schiavismo. E’ nota anche la passione della "First Couple", per i ristoranti italiani, che frequentavano a Chicago dove ora i camerieri indossano T-shirt con la scritta "qui hanno mangiato gli Obama", un tratto che collega Barack e Michelle al vecchio Bush, George Primo, che aveva una dichiarata passione per un ristorante italiano di Washington, "Tiberio", ora chiuso. Ma organizzare una festa a un ristorante pare goffo, roba da laurea della figlia o fidanzamento dei ragazzi. Le signore della Washington che vuol contare, non hanno speso miliardi per trasformare le proprie case in bomboniere Impero per poi andare al ristorante. Una soluzione, si mormora nella redazione di Washington Life, un mensile elegantemente inutile che registra i venti della mondanità, suggerisce di buttarla sull’ amicizia, più che sull’ importanza della "guest list", degli invitati. A Chicago, dove la famiglia rientrava tutti i weekend, erano compleanni, fidanzamenti, matrimoni di collaboratori, segretarie, assistenti le esche per attirare Michelle e Barack, il che apre prospettive sociali ghiotte per tutti i portaborse della Casa Bianca che potrebbero ricevere cartoncini d’ invito da maitresses di salotti del circuito A, nei quali non sarebbero mai entrati. Purché siano portaborse rispettabili, non come i gemelli terribili di Carter, Hamilton Jordan e Jody Powell, che, probabilmente per reazioni al bigottismo del loro presidente, non sognavano svergognate ignude, ma le rimorchiavano in massa nei bar del circuito per single. Ma se tutta questa frenesia, questo rituale di reciproco annusarsi sembra mangime per il gossip, l’ esperienza di Carter e di Reagan dovrebbe insegnare agli Obama che il sentiero del successo di un presidente passa anche per il reciproco parassitismo del potere, classico di tutte le comunità a monocultura aziendale. Carter l’ ostrica fu sbranato. Reagan sfruttò la moglie Nancy, che si fece introdurre nel circolo delle "girls", delle ben stagionate "ragazze" della capitale riuscendo ad ammansire persino la proprietaria del Post, Kay Graham, e a ottenere, naturalmente per caso, che il quotidiano abbandonasse le rubrica di asinate e di gaffe commesse dal marito. La lezione, che Kennedy riassumeva nella formula «Washington è una città di mobili falsi ma con spigoli veri» è che questo villaggio di ambizioni, di rancori e di trame, non può salvare un presidente. Ma può sbranarlo.