Federico Rampini, la Repubblica 6/1/09, 7 gennaio 2009
LO SPETTRO DEL MONDO LA DEFLAZIONE
Federico Rampini per Repubblica di martedì 6 gennaio 2009
Il petrolio ha chiuso il 2008 in calo del 54%. L’ inflazione italiana nello stesso anno ha segnato il massimo dal 1996. Dov’ è l’ errore? Ambedue i dati sono esatti. Allora è la deflazione o l’ inflazione il vero pericolo da combattere nel 2009? Con un rincaro dei prezzi al consumo del 3,3% nel 2008 il costo della vita nel nostro paese ha avuto il suo aumento più forte degli ultimi dodici anni. L’ inflazione per i consumatori italiani è stata perfino più alta se misurata con l’ indice armonizzato europeo: +3,5%. Il 2008 però si è chiuso con un andamento dei prezzi italiani a dicembre - mese su mese - in regresso dello 0,1%. Certo siamo ancora lontani dalle discese dei prezzi registrate negli Stati Uniti: meno un per cento nel solo mese di ottobre, seguito da un pesante meno 1,7% a novembre. Per la mancanza di competitività che affligge diversi settori dell’ economia italiana - dalla distribuzione dei carburanti alle parcelle delle libere professioni, dalle banche ai servizi municipali - la riduzione dei costi a monte non si trasmette rapidamente sull’ utente finale. Il lato buono della deflazione - la riduzione del costo della vita che aumenta il potere d’ acquisto degli occupati - è più lento a manifestarsi in Italia rispetto ad altri paesi sviluppati. Anche l’ aspetto più distruttivo della deflazione - la svalutazione massiccia di tutti gli attivi patrimoniali e il parallelo peggioramento dei debiti - è meno veloce in Italia rispetto agli Stati Uniti dove la bolla immobiliare fu più gigantesca: cadute del 20% o del 30% dei valori delle case non sono ancora all’ ordine del giorno da noi. Il dato medio annuo dell’ inflazione italiana nel 2008 è comunque un indicatore imperfetto. E’ sempre stato uno specchietto retrovisore che registra un andamento già passato. Nel caso dell’ anno appena concluso quel dato è la sintesi impossibile fra due tendenze diametralmente opposte. Il 2008 ha concentrato nell’ arco di due semestri capovolgimenti così brutali che un tempo venivano "spalmati" su molti anni, o addirittura decenni. E’ lo stesso anno che nel primo semestre ha visto impazzire i mercati delle materie prime, con un’ iperinflazione che ha portato il barile di petrolio al suo record storico di 147 dollari (luglio); si è concluso con il calo del 54% dello stesso greggio, non rispetto a luglio ma nei confronti del dato di gennaio! E il petrolio è in buona compagnia. Per tutte le materie prime (con due eccezioni non collegate fra loro: oro e cacao) è stato l’ anno più disastroso dei tempi moderni. L’ indice sintetico dei prezzi delle materie prime S&P Gsci rileva una caduta del 46,5%, peggio di quanto hanno fatto le Borse mondiali che in media hanno perso il 42% dall’ inizio di gennaio a fine dicembre. Nel caso delle materie prime il dato annuo finale è ancora più clamoroso perché il primo semestre era stato una forsennata galoppata al rialzo: a metà 2008 segnavano massimi storici non solo il petrolio ma anche il platino, il rame, l’ alluminio, molte derrate agroalimentari di prima necessità. E’ dopo la prima metà dell’ anno che sono improvvisamente tramontati due miti affini: da un lato l’ idea che le materie prime fossero in mezzo a un "superciclo secolare" di rialzo dovuto all’ aumento inesorabile dei consumi nei paesi emergenti; dall’ altro il mito del "decoupling" e cioè l’ idea che Cina, India, Brasile, Russia potessero sganciarsi dall’ influenza economica dell’ Occidente e continuare a crescere per conto loro o addirittura trainare il resto del mondo. La fine di quei miti porta con sé anche alcune conseguenze geopolitiche tutt’ altro che sgradite. Il potere oligopolistico dei fornitori di risorse naturali fa meno paura. A fine dicembre l’ annuncio da Mosca della creazione di un cartello del gas ha lasciato indifferenti i mercati. Il braccio di ferro tra Gazprom e l’ Ucraina fa meno paura all’ Europa occidentale di quello che avvenne due anni fa. I regimi autoritari o gli Stati-canaglia che prosperavano grazie alla bolla delle materie prime - da Chavez all’ Iran - rischiano di apparire come delle tigri di carta. Il verdetto sul 2009 però non è ancora unanime. A Washington il consenso della classe dirigente è schiacciante: siamo già in piena deflazione, il prossimo rischio è scivolare in una Grande Depressione, per evitarlo non bisogna badare a spese. Il dato sulla disoccupazione americana atteso venerdì potrebbe confermare questo pessimismo. Nonostante che il Tesoro Usa abbia già in circolazione il volume record di 10.600 miliardi di dollari di Treasury-Bonds, il debito è destinato ad aumentare a vista d’ occhio con il piano Obama di sgravi fiscali e nuove spese pubbliche. La realtà sembra diversa vista da Berlino, dove il governo tedesco continua a temere che l’ inondazione di liquidità da parte delle banche centrali sta seminando i germi di una futura inflazione. Giovedì la Bank of England potrebbe seguire l’ esempio dei tassi zero americani. Mentre la Bce, che all’ Eurozona impone uno scarto di 250 punti base rispetto ai tassi direttivi della Fed, aspetterà a riunirsi fino al 15 gennaio. Il 2009 dirà chi aveva visto giusto.