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 2009  gennaio 06 Martedì calendario

DOMENICO QUIRICO PER LA STAMPA DI MARTEDì 6 GENNAIO

Lunedì 5 gennaio 2009, ore 20,35: anno uno della televisione pubblica senza spot. Ventiquattro milioni di francesi erano all’appuntamento, comunque storico. Allora: telegiornali, poi un nevoso meteò. Come sempre. Poi dissolvenza: a quel punto da 19 anni scattava un mostruoso Carosello, venti minuti di pubblicità e autopromozioni. E invece via di corsa al programma di prima serata. Su France 2 un documentario per scoprire gli intriganti misteri dei dogon del Mali. Su France 3 si è fatta sotto una rodata trasmissione di quiz che esiste da vent’anni, sapientemente guidata da Julien Lepers, il Mike Bongiorno francese. Tutto senza una pausa. E i nuovi programmi innovativi intelligenti «di qualità», «più cultura meno spot» promessi da Sarkozy? Per ora nessuna traccia.
Eppure «un galà per una sera di eccezione» avevano annunciato i trepidanti direttori dei palinsesti pubblici, alle prese con la virtuosa bufera di Sarkozy. Patrice Duhamel, direttore delle reti di France Television si faceva ieri coraggio: «Tra un grande programma sulle reti pubbliche e i consigli per gli acquisti serviti sulle private, alle 8,30 vedrete, i telespettatori non avranno esitazioni». Già, solo che per fare «grandi programmi» occorrono soldi, giusto quello che rischia di mancare alle reti pubbliche ormai appese all’avaro contributo statale.
Comunque da stamane alle sei e fino alle venti di ogni sera la pubblicità è ritornata, ovunque. La scomparsa totale e definitiva è fissata, infatti, nel 2012. Curiosa ambivalenza: la pubblicità è abolita per gli adulti, resta per i consumatori bambini!
E le reti private? Non hanno fatto una piega: quindi trasmissioni alle 20,50, su Tf1, un filmone catastrofico, «Valanga», su M6 «Podium» film di successo del 2004. Non hanno voluto, come si vede, infierire. Il tutto imbottito di spot ancor più del solito. Già, perché la legge che disciplina la «telesarkò» ha gentilmente aumentato loro la quota di pubblicità lecita ogni ora e consente una seconda interruzione commerciale per film o sceneggiato.
Si attendono i dati di ascolto di oggi per scoprire chi ha avuto ragione. Uno degli interrogativi legati alla scomparsa della pubblicità riguarda la disponibilità dei telespettatori ad abbandonare il pavloviano «incipit» delle 20,50 che scandiva la serata delle famiglie. Alcuni sociologi, in ansia, prevedono un pubblico delle 20,30 fitto di pensionati e inattivi, le famiglie con figli giovani potrebbero essere assenti all’impugnazione del telecomando. Tra i pessimisti sul nuovo evo televisivo si collocano i dipendenti di France Television che hanno accolto la novità con una serrata serie di scioperi: ieri France 3 (telegiornali cancellati), oggi tocca a France 2. Temono un grande balzo all’indietro alla tv di Stato rigidamente controllata con il finanziamento pubblico, la cancellazione o privatizzazione di alcune reti (il destino di France 2 sembra già segnato), il taglio di personale e di programmi per le indispensabili economie. Battaglia che molti stimano di retroguardia, corporativa e passatista: comunque isolata. L’opposizione ha giudicato che battersi a favore della pubblicità sarebbe apparso imbarazzante.
Festeggiano per ora soltanto i proprietari delle private. I loro affari vanno lisci come l’olio, stanno già ingoiando, a grandi bocconi i 280 milioni di euro netti della pubblicità orfana delle reti pubbliche e tornata sul mercato. Il 60, 70 per cento andrà ai tre grandi, Tf1 Canal plus e M6. Il resto alla televisione Tnt, il numerico gratuito che in Francia ha segnato un successo travolgente (7,5% del mercato). Irrilevante la ricaduta per gli altri media, internet e giornali. Sono i signori della telè tutti grandi amici del Presidente. Secondo molti, gonfiare i loro bilanci sarebbe un scopo non secondario della mossa sarkosista. Qualcuno fa notare che gli incassi pubblicitari di Tf1 nel 2008 prima dell’annuncio erano in calo del 3,3 e quelle di M6 dell’1,1. La spartizione di quella «pubblica» per loro è un vero dono del cielo.
Per i pubblicitari la crisi economica rallenterà ma non cambierà lo scenario. L’agenzia «Cara Expert» calcola che nel 2009 i privati dovrebbero portare a casa 500 milioni di euro. E se lo scoprire trasmissioni di qualità senza la noia dell’interruzione commerciale rovesciasse l’audience? E’ la scommessa sarkosista, ma i pubblicitari sono scettici. Nel 2009 lo Stato concederà 450 milioni di euro alla rete pubblica per accettare la sfida: poi ogni anno bisognerà contrattare l’obolo. Dal 2012 si calcola che saranno necessari 650 milioni di euro almeno. Inevitabili economie, tagli di personale (un migliaio di posti in meno già decisi), di produzioni, di programmi. La tele pubblica parte evidentemente svantaggiata. Ma non rassegnata. Duhamel annuncia: «Dovremo rischiare, avere ancor più coraggio nelle scelte. Anche perché ormai gli ascolti non saranno più calcolati programma per programma, con la lente di ingrandimento, ma sul lungo periodo, con il necessario distacco». Gérard Noël, presidente della unione degli inserzionisti (Uda) lo conforta: «Nulla è sicuro oggi, la riforma è una occasione di rimettere a zero le nostre strategie di comunicazione».