BRUCE CHATWIN, QUEL NOMADE SNOB E CHIACCHIERONE CHE STREG IL MONDO di Stefano Malatesta, la Repubblica, 6/1/2009, pagg. 36-37, 6 gennaio 2009
Quando Bruce Chatwin morì vent´anni fa, i necrologi furono lunghi e quasi tutti indistintamente elogiativi
Quando Bruce Chatwin morì vent´anni fa, i necrologi furono lunghi e quasi tutti indistintamente elogiativi. "Sembra quasi che sia morto Byron" fu il commento leggermente meravigliato di James Lees-Milne. La cerimonia commemorativa per gli amici si svolse un mese più tardi, nella cattedrale greca di Santa Sofia a Bayswater, a Chelsea, un´eccentricità eccessiva anche per uno stravagante come Bruce. Tutti gli articoli parlavano della sua giovinezza, ma a conti fatti la sua vita era durata più a lungo di quella dei suoi ispiratori: Stevenson, Lawrence (T.E.), Cechov, Byron appunto, Rimbaud. Era stato amatissimo: un fenomeno di fascinazione internazionale, in parte dovuto al suo aspetto di biondo glaciale, più sassone-tedesco che inglese, che stava alla base della costruzione di una personalità dai talenti multipli -esploratore, antropologo, archeologo, scrittore, racconta storie- che molti consideravano il suo vero capolavoro. Ma nessuno avrebbe scommesso sulla sua fama postuma, affidata all´imponderabilità del caso. Hemingway, uno scrittore sul quale i giornalisti avevano scritto, da vivo, invereconde piaggerie � era stato liquidato solo poche settimane dopo il truculento suicidio, da quegli stessi che negli anni passati avevano fatto a gara a tenergli la coda della giacca e che ora stavano adoperando le vicende della sua vita privata -sbronze, sbronze e poi ancora sbronze- per cancellare anche i suoi meriti di formidabile stilista narrativo. Uno che aveva cambiato il modo di scrivere i racconti nel ventesimo secolo. A volte, la caduta verticale che seguiva il decesso del caro estinto era semplicemente l´ammissione tardiva di una truffa, tenuta nascosta per motivi complessi, non facili da giustificare, di sciovinismo letterario. Un fenomenale bidonista come André Malraux era riuscito a passare per un genio in ognuna delle sue numerose interpretazioni -orientalista, rivoluzionario, esperto in colpi di stato, aviatore, eroe e scrittore e critico d´arte- facendosi fotografare con il giubbotto di pelle da aviatore quando non solo non aveva mai pilotato un aereo, ma nemmeno un´automobile, atteggiandosi ad eroe cinematografico con la sigaretta pendula sul labbro, un´anticipazione di qualche anno di Humphrey Bogart. Sartre l´aveva liquidato una volta per tutte dicendo: "Sì, effettivamente si è formato uno stile, ma uno stile pessimo". E Koestler e Nabokov alludevano a lui usando il termine "phoney", fasullo. Ma venne seppellito al Pantheon, insieme con i grandi di Francia, e solo dopo la gloriosa cerimonia qualche critico francese azzardò che il suo "Museo Immaginario" era pieno di coglionate. Chatwin aveva sempre avuto qualcosa di Malraux, anche se in forma molto meno evidente, e scriveva infinitamente meglio. Ma negli ultimi tempi la malattia lo aveva costretto a perdere qualche colpo. Nel suo penultimo libro Le vie dei canti, non quel capolavoro che molti dicevano, aveva preso troppo da un antropologo australiano di nome Strehlow che aveva scritto Aranda Traditions. Il finale di Utz non era così chiaro come sarebbe dovuto essere e alcune incongruenze erano state tolte durante l´editing. Inoltre i casi della sua vita privata avevano infastidito alcuni dei suoi amici. Non perché fosse omosessuale, ma perché lo avesse tenuto nascosto così a lungo e fosse stato così reticente sul suo matrimonio, fino a dare l´impressione che fosse una balla, una delle tante che raccontava con inimitabile eleganza e quel tocco unico che trasformava una banale storia in una deliziosa avventura, piena di particolari sorprendenti. Quella più riuscita era naturalmente la malattia agli occhi che l´avrebbe colpito mentre lavorava da Sotheby´s. Esistevano più versioni della vicenda e la più accreditata raccontava come il medico gli aveva consigliato un periodo di riposo da trascorrere in Africa. E lui era partito per il Sudan, come più tardi partirà per la Patagonia, dove aveva imparato a seguire le tracce degli animali e a vivere con i nomadi. C´erano già stati in vita segni di una insofferenza diffusa per le sue chiacchiere senza fine, per una certa arroganza e per il suo snobismo di giovanotto della middle class di Birmingham, che chiaramente adorava frequentare le classi alte. La malattia aveva evitato che le critiche si accentuassero, ma a qualche tempo di distanza dalla morte, Paul Theroux, "un caro amico", stanco di aspettare, aveva estratto dalla toga il pugnale e aveva sferrato il primo colpo, accusando Bruce di essersi inventato una parte dei suoi incontri in Patagonia, di non essere stato nei posti che aveva descritto e altre amenità. Theroux credeva nell´obbligo di uscire "puliti" dalle avventure di viaggio e Bruce era uscito sporco fin dalla Patagonia. Ma quell´articolo che doveva segnare l´inizio della caduta irresistibile di Chatwin rinsaldò imprevedibilmente la sua fama. Appariva chiaro che a spingere Theroux, scrittore molto meno dotato di Chatwin, era stata l´invidia. Ma soprattutto era un attacco che mancava il bersaglio. Bruce non aveva mai amato quell´etichetta di scrittore di libri di viaggio. Viaggiare per lui significava occuparsi di archeologia, di vicende antropologiche , di personaggi strani che vivevano in posti strani. Era andato in Araucania sulle tracce di un mitomane francese che girava per le Ande, firmando patti di guerra con gli indios e facendosi nominare Imperatore dell´Auracanìa. O nella Terra del Fuoco per incontrare gli ultimi yaganes, una popolazione che possedeva un vocabolario di trentamila parole, e ne adoperava una cinquantina per dire "mangiare il pesce". Gli Yaganes erano stati particolarmente sfortunati nell´incontro con gli inglesi. Molti anni prima da queste parti era passato il grande Darwin, in un momento in cui questa sua grandezza era meno evidente o dormicchiava, e la vista degli indios seminudi, che mandavano suoni che a lui apparivano atroci, lo avevano indotto a elaborare la teoria del "missing link", l´anello mancante tra l´uomo e la scimmia, prendendo un grosso abbaglio. Chatwin era disposto ad abbandonare tutto, tranne gli amici, per mettersi con la prua al vento. Non so veramente se il nomadismo della sua anima fosse di genere puro, viaggiare per viaggiare , oppure finalizzato alla ricerca di personaggi straordinari da raccontare. La mia privata opinione è che lui si muoveva solo quando fiutava una buona preda che poi metteva al centro delle sue storie, ricostruendola da capo a piedi, dando di cazzuola come un muratore e adoperando come calcina un misto di verità e d´invenzione, che aveva il grandissimo merito di non annoiare mai. Chatwin non era un professore universitario o un cronista che ha l´obbligo di essere meticoloso nei particolari. E´ stato probabilmente uno dei più grandi raccontatori della nostra epoca, un creatore di miti come ha detto Michael Ignatieff, rispondendo indirettamente a Theroux. Qualcosa di simile ai fabulisti che si incontrano nella grande piazza di Marrakesh e che danno alle loro storie un senso di profondo ed eccitante mistero. Attestati su questa linea, i veri amici e gli estimatori di Chatwin hanno potuto respingere tutti gli attacchi successivi, che potevano rivelarsi insidiosi. Così la fama di Chatwin è andata avanti senza danni e sulla New York Review of Books Ian Buruma ha trovato il suo fratello gemello nella persona di un vecchio amico dello scrittore: il regista tedesco Werner Herzog, capace come lui di trasformare fatti banali in poesia. Una dote che gli dei rilasciano solo a chi amano molto. E che cercano sempre di richiamarlo tra loro per ascoltare quelle bellissime storie sulla Patagonia. Così magnificamente inventate.