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 2009  gennaio 06 Martedì calendario

I rapporti tra il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, da qualche mese sono particolarmente tesi

I rapporti tra il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, da qualche mese sono particolarmente tesi. E gli osservatori sono preoccupati. Carabini: ”Nessuna Costituzione, formale o materiale, prescrive che il ministro dell’Economia e il governatore della Banca d’Italia siano «amiconi». Che giochino a tennis o che vadano in vacanza insieme. Tuttavia la freddezza che Giulio Tremonti e Mario Draghi ostentano nei loro rapporti non giova alla gestione della politica economica in un momento che più difficile di così non potrebbe essere. Nell’officina del Governo si lavora a provvedimenti delicati come la manovra di sostegno di un’economia ormai in piena recessione. E si stanno definendo le modalità di intervento dello Stato nel capitale delle banche. Non si può sbagliare: gli errori sarebbero pagati a caro prezzo da tutti, imprese e lavoratori, ricchi e, soprattutto, poveri. L’efficacia delle misure dipende anche da come esse vengono percepite. Poiché in questa fase è inevitabile fare ampio uso di risorse pubbliche, cioè dei soldi dei contribuenti, sarà massima l’attenzione sulle scelte del Governo. E se l’opinione pubblica si accorge che il ministro e il governatore non sono allineati, la fiducia si riduce. E con essa gli effetti che i provvedimenti dovrebbero produrre” [1]. L’ultima punzecchiatura da parte del ministro si è vista a Parigi, il 18 dicembre 2008, alla riunione dell’Ecofin. ”Il ministro dell’ Economia Giulio Tremonti ha attaccato le autorità bancario-finanziarie internazionali, sia perché non si sono accorte della disastrosa crisi provocata dall’ eccesso di debito e di attività speculative, sia perché non ritiene credibili le loro richieste di maggiore aiuti di Stato indirizzati verso il settore dove si concentrano le responsabilità. Tremonti, entrando all’Ecofin straordinario di Parigi e prendendo spunto dallo scandalo del fondo Madoff negli Stati Uniti, ha puntato l’ indice contro il Financial stability forum (Fsf) presieduto dal governatore della Banca d’ Italia Mario Draghi, che era entrato poco prima nella stessa riunione nel ministero delle Finanze francese proprio per fare una relazione su come affrontare la crisi finanziaria” […] Il ministro dell’ Economia non aveva usato mezzi termini: « demenziale stare ad ascoltare e a prendere lezioni da chi non ha capito niente o ha capito troppo...» [2]. Tremonti ha commentato la supertruffa Madoff ironizzando e senza mai citare direttamente Draghi: «I ragazzi del Financial stability forum hanno fatto un grande lavoro, figuratevi se non c’ erano... è un caso in cui la massa raccolta coincide con la refurtiva». Poi ha commentato la crisi finanziaria e l’ eccesso di debito accumulato parlando di «fallimento dei regolatori». Il ministro ha indicato un «blocco finanziario» responsabile di «cose su cui si dovrebbe riflettere, come salvare banche d’ affari come la Goldman Sachs e far fallire industrie come la Chrysler». Il ministro dell’Economia ha chiarito ulteriormente la sua posizione ricorrendo a due storielle scherzose. Sul fallimento dei regolatori ha rimandato alla Regina Elisabetta nella sua visita alla London School of Economics, dove ha chiesto sulla crisi «come mai nessuno se ne era accorto?». Sulla sua linea del «non si risolve il debito con altro debito» ha invitato «a non curare un alcolizzato per il whisky dandogli del cognac o altro alcol» [2]. Draghi non ha voluto rispondere. ”Interpellato dai giornalisti sulle dichiarazioni di Tremonti, il banchiere ha scosso la testa e ha affermato: «Il governatore non commenta queste cose». Ma alla fine dei lavori ha aggiunto che la sua relazione all’Ecofin sul lavoro del Fsf «è stata ascoltata e apprezzata». A chi gli chiedeva un ulteriore commento Draghi ha risposto: «Non partecipo a scambi di battute». Anche il presidente della Banca centrale europea, il francese Jean-Claude Trichet, ha difeso l’organismo del collega italiano dichiarando che «il Financial stability forum ha agito molto bene e fin dall’ inizio ha svolto un lavoro notevole»” [3]. Draghi ha anche difeso il lavoro del Fsf ricordando che ”«ci sono lettere del 2004, 2005 e 2006 del Financial stability forum ai governi del G7 in cui si facevano presenti i rischi dell’ alto indebitamento del mercato immobiliare Usa, ma i moniti sono rimasti inascoltati». E sull’ accordo di Basilea 2, definito da Tremonti la «corazzata Potëmkin» precisa che le banche fallite non l’ applicavano. «Semmai seguivano il vecchio accordo di Basilea 1 che non penalizzava i veicoli fuori bilancio» [4]. Non è la prima volta che Tremonti chiama in causa Draghi. ”Ad aprile, quando il forum presentò la "ricetta" per modificare le regole nei mercati finanziari, il ministro la comparò a «una aspirina data a un malato grave». Qualche mese dopo, a proposito dell’ organo di vigilanza internazionale presieduto da Draghi, aveva detto: «E’ come mettere i topi a guardia del formaggio». L’ ultimo botta e risposta a luglio, quando il governatore aveva attaccato la Robin Tax, fortemente voluta da Tremonti: «Pesa sui correntisti». La replica, a distanza, è un altro attacco del ministro al Forum: «Ho una fiducia limitata negli economisti che non sono stati neanche capaci di immaginare la crisi»”. [3] Tremonti e Draghi sono due pezzi da novanta. E come tali sono poco disponibili a dividere con altri le luci della ribalta. Il ministro dell’Economia ha un bagaglio di idee che hanno fatto molto discutere, non solo in Italia ma anche in Europa. Può legittimamente vantarsi di aver previsto la crisi finanziaria. Nei sondaggi risulta avere un forte consenso. Il ruolo di ponte tra il Popolo delle libertà e la Lega Nord che si è ritagliato con la complicità di Umberto Bossi gli dà un notevole peso politico. Il Financial Times probabilmente lo sottovaluta nelle sue classifiche dei ministri delle Finanze. Il governatore non è un banchiere centrale qualunque. conosciuto e stimato in tutto il mondo. Negli ambienti della finanza poche persone non americane hanno un prestigio paragonabile a quello di cui gode Draghi negli Stati Uniti. La sua nomina alla guida del Financial stability forum (Fsf) è il coronamento di una carriera che molto probabilmente non finirà alla Banca d’Italia. legittimo che due personalità forti abbiano talvolta opinioni diverse. Anche Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell’Economia del Governo Prodi, ebbe i suoi problemi con il governatore” [1]. Tremonti ha un pregiudizio nei confronti della Banca d’Italia come istituzione che risale ai tempi della gestione Fazio. ” convinto che non sappia fare la vigilanza, che non riesca a prevenire i guai, che parli sempre dopo che i fatti sono accaduti. Si arrabbia perché al Comitato per la stabilità finanziaria il governatore non porta i dati che gli erano stati chiesti. Memorabile la sua frase: «Non sono più i Governi ad avvisare le authority che sta arrivando la crisi». Per sfregio, si appoggia direttamente alle banche o all’Abi per risolvere le questioni tecniche che una volta erano competenza esclusiva di Via Nazionale” [1] Il ministro ha anche rinfacciato a Draghi di aver lavorato per quattro anni al vertice della Goldman Sachs, una delle maggiori fabbriche di asset "tossici". Draghi è un economista e fatica a intendersi con Tremonti. Che economista non è, e che anzi invita gli economisti a tacere. Questione di linguaggio, di cultura. Il governatore, responsabile della vigilanza, è convinto che le banche italiane siano meglio patrimonializzate delle concorrenti e che non abbiano bisogno di capitali pubblici. Ma il ministro, che pochi mesi fa le ha «castigate» con la Robin Hood tax, adesso le vuole sostenere con iniezioni di fondi dello Stato e manda segnali precisi: «I banchieri che hanno sbagliato vanno a casa o in galera». Draghi, incredibile dictu, ha sostenuto che il Governo deve allentare i cordoni del bilancio pubblico per mitigare la recessione mentre il Parlamento approvava una manovra triennale (concepita da Tremonti in giugno) mirata al pareggio e il ministro confermava l’obiettivo [1]. Berlusconi tenta di minimizzare lo scontro. «Non ci sono toni polemici, è chiaro che ci si confronta sulle varie posizioni, ma non si può parlare di polemica. C’ è qualche momento dialettico, come tra tutte le persone che pensano con la propria testa e che non si appecoronano all’ idea prevalente, come invece accade a sinistra» [6]. Anche l’esito del G-20 di novembre non ha contribuito a rasserenare gli animi. Le proposte del Fsf, presentate da Draghi, sono state recepite dal comunicato finale del vertice. E come ha impietosamente sottolineato il Wall Street Journal tendono tutte a rendere più severi i criteri di erogazione dei prestiti da parte delle banche. Nel momento in cui si teme il credit crunch come la peste, non molti l’hanno considerata una buona notizia. Un nuovo fronte si è aperto sulla sostituzione del vicedirettore generale della Banca d’Italia Antonio Finocchiaro, destinato alla presidenza della Covip. Draghi vorrebbe promuovere uno dei funzionari interni, ma Tremonti ha in mente un innesto dall’esterno. E sullo sfondo resta irrisolta la questione delle azioni della Banca d’Italia detenute dalla banche che, secondo la legge, dovrebbero essere acquistate da istituzioni pubbliche entro il prossimo dicembre. Draghi, e la Bce, temono che l’autonomia della Banca centrale possa esserne compromessa, che il Governo aumenti la sua presa. E studiano soluzioni alternative. Insomma, i motivi di attrito non mancano [1]. Altro motivo di scontro: la Banca del Mezzogiorno. un vecchio pallino di Tremonti, il ministro l’ha già lanciata nel 2004, quando Berlusconi l’ aveva sostituito al dicastero dell’ Economia con Domenico Siniscalco: «Il Sud crea molto risparmio. Ma quel risparmio viene raccolto dagli istituti di credito e dirottato altrove. Così non va bene». Tutt’ora la Banca del Mezzogiorno è un’idea che Tremonti vuole realizzare: ”Il progetto serve e va fatto» ha detto il ministro a luglio. Il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, pochi giorni dopo si mostrò perplesso: ”Non vorrei si ripetessero i disastri del passato”, disse durante un’audizione alla Camera. ”La banca del Sud – gli ha risposto Tremonti – esporrà un cartello. Ci sarà scritto: Qui non si parla inglese”. Le tensioni tra Bankitalia e Tesoro preoccupano anche Giavazzi. ”Il governo ha appena deciso di destinare una quantità ingente di fondi pubblici alla ricapitalizzazione delle banche: i cittadini non possono avere dubbi sul fatto che i loro denari siano ben spesi, cioè che verranno impiegati per mantenere aperto il credito a famiglie e imprese. Sulle banche vigila la Banca d’Italia: prima di proiettare ombre su questa istituzione è bene pensarci due volte. I cittadini vogliono anche sapere che cosa pensa Berlusconi del lavoro di Mario Draghi nella sua veste di presidente del Financial stability forum (Fsf), principale oggetto delle critiche del ministro (critiche curiose dato che i suoi funzionari partecipano da anni ai lavori del Forum). Il G20 di Washington cui Berlusconi prese parte, non solo approvò il lavoro dell’ Fsf, ma gli affidò anche il compito di ridisegnare le regole del sistema finanziario internazionale. Se il presidente del Consiglio condividesse l’ opinione del suo ministro («E’ demenziale prendere lezioni da chi non ha capito nulla e se ha capito ha sbagliato») avrebbe dovuto chiedere al G20 di sollevare l’ Fsf, o almeno il suo presidente, dalle responsabilità loro assegnate [7]. Giavazzi dà ragione a Draghi. Il ministro dell’ Economia ha evidentemente il diritto di esprimere il suo parere, ma l’ opinione che l’ Fsf non avesse capito nulla è contraddetta dai fatti. I documenti via via inviati dall’ Fsf ai ministri delle Finanze del G7, già nel 2001 individuavano molti degli aspetti che si sono poi rivelati determinanti nella crisi: la possibilità che la liquidità svanisse più rapidamente che in passato; la fragilità del trasferimento di rischio da un’ istituzione all’ altra; il fatto che alcuni strumenti finanziari non fossero mai stati testati in condizioni di elevata volatilità, quando avrebbero potuto dar luogo ad eccessive concentrazioni di rischio ed erodere all’ improvviso il capitale delle banche; i pericoli che nascono quando le banche negoziano titoli in proprio. Concludeva l’ Fsf: «Le autorità dovrebbero affrontare queste situazioni». Nel 2001 Tremonti cominciava la sua prima esperienza come ministro dell’ Economia: non può dire di non essere stato avvertito. L’ Fsf non è un regolatore, non ha poteri di vigilanza, solo di proposta. Il ministro dell’Economia invece, nella sua veste di presidente del Cicr, definisce le norme preposte alla difesa del risparmio e può chiedere conto in ogni momento ai regolatori del loro operato (lo fece proprio nel 2001 per i bond Parmalat). Se allora non ritenne di dar seguito alle preoccupazioni dell’ Fsf è perché, nonostante fossero gravi e circostanziate, evidentemente non pensava che rappresentassero un reale pericolo. Infine c’è Goldman Sachs. Il ministro dell’Economia allude spesso alla passata esperienza del Governatore che fu un alto dirigente di quella banca. Poiché né Tremonti né alcun altro ha mai messo in dubbio la trasparenza di Draghi, il problema è se aver lavorato nei mercati aiuti quando si devono riscriverne le regole e vigilarli. Io penso che un’ esperienza diretta nei mercati aiuti, perché controllare ciò che si capisce è più facile (così come la sua passata esperienza di imprenditore ha spesso aiutato il Berlusconi primo ministro). Alla luce della gravità della crisi ci saremmo aspettati che Tremonti, come gli suggeriva ieri Angelo De Mattia, su Il Riformista, si preoccupasse piuttosto di come rendere più incisivi i provvedimenti che ha adottato [7]. [1] Orazio Carabini, il Sole 24 Ore, 20 novembre 2008 [2] Ivo Caizzi, Corriere della Sera, 19 dicembre 2008 [3] Anais Ginori, Repubblica, 19 dicembre 2008 [4] Tamburello Stefania, Corriere della Sera, 22 ottobre [5] Francesco Verderami, Corriere della Sera, 27 dicembre 2008 [6] Antonella Baccaro, Corriere della Sera, 20 dicembre 2008 [7] Giavazzi Francesco, Corriere della Sera, 22 dicembre 2008