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 2009  gennaio 04 Domenica calendario

PAROLA DI MEGATTERA

Orde di scimpanzé, armati di lance appuntite, cacciano scimmie di specie inferiori mentre, negli abissi, il capobranco di un gruppo di megattere sibila ai suoi l’ordine di attaccare congiunti un assembramento di krill. Intanto, da qualche parte sulla terra, si svolge la lezione più piccola del mondo: una maestra formica insegna dettagliatamente alle sue compagne di formicaio dove si trova una nuova fonte di cibo.
Chi crede che queste cose accadano solo nei cartoni animati o sul Pianeta delle scimmie si sbaglia, ci racconta il paleontologo Michelangelo Bisconti in un libro divulgativo che ha il pregio di riunire in una trattazione completa, non aneddotica e molto aggiornata, quel che sappiamo sulle conoscenze delle altre specie.
Le culture degli altri animali ha un sottotitolo provocatorio: « Homo l’unico sapiens?». La risposta naturalmente è no, e ancor prima ci siamo dovuti chiedere che diritto avevamo di appioppare solo alla nostra ascendenza l’agettivo habilis, quando gli strumenti li sanno usare anche scimpanzé, oranghi, delfini e persino corvi, avvoltoi e altri pennuti.
Bisconti procede sistematicamente: analizza prima i tre prerequisiti che deve possedere qualunque organismo dotato di cultura, definita con le parole del biologo marino Hal Whitehead: «informazione acquisita da membri della propria specie attraverso qualche forma di apprendimento sociale che causi similarità di comportamento in individui di una stessa popolazione». Anzitutto è necessaria la memoria, poi vi deve essere la comunicazione. Questa può essere anche piuttosto elaborata, come nei cercopitechi, scimmiette africane all’apparenza non particolarmente geniali che, tuttavia, hanno evoluto una sorta di proto-linguaggio dove a un certo vocalizzo corrisponde uno specifico predatore. Così, per esempio, se una di loro grida «hack», cioè aquila, tutte corrono a nascondersi sotto un cespuglio, se urla «pioù», serpente, si rifugiano su un albero. Non solo, sanno anche non prendersi troppo alla lettera: se dicono «pioù-hack» vuol dire genericamente che è arrivato il momento di spostarsi. I gorilla e gli scimpanzé in cattività invece hanno imparato molto bene il linguaggio dei sordomuti, ma non tutti sono daccordo nel sostenere che padroneggino la sintassi. Su questo fronte il celebre pappagallo Alex, cervellone del Mit di Boston, ha sbaragliato tutti: si esprimeva attraverso frasi corrette e non ripetitive, sapeva centinaia di vocaboli, riconosceva varie categorie di oggetti e li descriveva con aggettivi approppriati, contava fino a sei e discuteva attivamente con i ricercatori.
Dopo memoria e capacità di comunicare serve la creatività. E anche qui la natura si è sbizzarrita: dalla cicogna striata che in Giappone ha imparato a usare l’esca (raccoglie nel becco residui alimentari e li sparge sul mare per attirare i pesci), ai delfini che a Sydney staccano le spugne e con queste arano i fondali per far uscire dai loro nascondigli i pesci. Estroso anche il fringuello di Darwin: non avendo la lingua lunga e appiccicosa del picchio usa uno stuzzicadenti per estrarre gli insetti nascosti nella corteccia. Sconvolgente la recente notizia dell’uso di armi in un gruppo di scimpanzé di Fongoli, nel Senegal. Jill D. Pruetz e Paco Bertoni nel 2007 hanno osservato l’impiego di lance (bastoni con un’estremità resa acuminata dai denti) da parte di adulti e piccoli per cacciare altre specie.
Ricordi, linguaggio e inventiva però da soli non bastano: perché si possa parlare di cultura ci deve essere trasmissione delle nuove informazioni: con l’apprendimento per imitazione – come il polpo Frida, che ha imparato come si apre il barattolo osservando il guardiano dello zoo – o con l’insegnamento vero e proprio. Il passaggio volontario di nozioni è stato osservato in molti animali, dalle formiche alle gatte che portano ai cuccioli topi storditi, ai suricati: simil-donnole che danno ai giovanissimi scorpioni senza uncino velenoso perché inizino a confrontarsi con essi, e ai più grandi scorpioni "in forma". Per non parlare delle "scuole" delle scimmie, come quelle giapponesi che insegnano a lavare le patate. Per concludere un esempio, sorprendente e meno noto, sul canto delle megattere. I grandi cetacei hanno repertori vocali molto complessi e cambiano nel tempo e a seconda della distanza geografica che separa i vari gruppi: ci sono in pratica "dialetti regionali". Michael Noad dell’università di Sydney registrava i suoni di 80 megattere del Pacifico sud-occidentale quando si accorse che due di loro intonavano qualcosa di completamente nuovo, del tutto identico ai suoni emessi dalle balene che si riproducevano nell’Oceano Indiano (con cui gli scambi sono rari). Ebbene, nel giro di un paio d’anni tutte le megattere del Pacifico si esprimevano nel dialetto indiano. Una vera rivoluzione culturale.
1Michelangelo Bisconti, «Le culture degli altri animali», Zanichelli, Bologna, pagg. 205 ࿬ 9,80.