La crisi del gas colpisce l’Europa di Antonella Scott, Il Sole 24 Ore, 3/1/2009, pag. 7, 3 gennaio 2009
LA CRISI DEL GAS COLPISCE L’EUROPA
Il calo non aveva ancora raggiunto un livello critico ma, nel pomeriggio di ieri, è stato il primo allarme. «La pressione sta diminuendo», ha confermato Edina Lakatos, portavoce di Mol, la compagnia energetica ungherese. Gli altri sono seguiti a catena. La Polonia accusa una riduzione delle forniture russe via Ucraina del 6%, Gazprom riporta segnalazioni analoghe dai Balcani. In Romania i flussi in entrata improvvisamente sono calati del 30/40%, in Ungheria - a fine giornata - del 25 per cento. Obiettivo centrato, per il monopolio russo: questa tradizionale crisi del gas di inizio anno vuole dimostrare come l’Ucraina sia un Paese di transito inaffidabile per i consumatori europei. Ai quali verranno presto riproposte le rotte alternative, predilette da Mosca: Nord Stream e South Stream, le vie del gas al di sopra e al di sotto del nodo ucraino.
Un giorno dopo la chiusura dei rubinetti rivolti all’Ucraina, il portavoce di Gazprom, Serghej Kuprijanov, non ha perso tempo: ha accusato la compagnia energetica Naftogaz di rubare il gas destinato ai clienti europei. Poiché Kiev non riconosce più la validità dei contratti di transito, russi e ucraini decidono giorno per giorno i volumi da inviare all’Europa: e per oggi, lamenta Kuprijanov, l’Ucraina accetterà solo 296 milioni di metri cubi sui 303 richiesti. Per compensare la perdita - e sottolineare il senso di responsabilità di Gazprom - Kuprijanov ha spiegato che la Russia sta inviando maggiori quantità attraverso una via alternativa, la Bielorussia. Giovedì scorso Naftogaz aveva ammesso di aver deviato - non rubato, precisa - 21 milioni di metri cubi dai gasdotti di transito per poter mantenere la pressione nell’intero sistema.
Sia per i russi, come per gli ucraini, è fondamentale dimostrare le proprie ragioni all’Unione Europea, negare motivazioni politiche dietro la crisi. Una delegazione ucraina, capitanata dal ministro dell’Energia Yuriy Prodan, ha iniziato da Praga e Bratislava, Gazprom è pronta a partire per Bruxelles. Ma se fino a ieri pomeriggio le compagnie clienti europee tendevano a sminuire la gravità del confronto - una «questione bilaterale» secondo la nuova presidenza di turno della Repubblica Ceca - le cose sono destinate a cambiare ora che il blocco delle forniture russe ricade oltre il confine occidentale ucraino. Praga ha convocato per lunedì i rappresentanti dei Paesi Ue per valutare la situazione e coordinare una risposta: se non ci saranno stati passi avanti nei negoziati tra Mosca e Kiev, il clima non sarà più tanto rilassato. Complice il freddo vero che in questi giorni ha raggiunto l’Europa, Ucraina compresa: meno otto gradi ieri a Kiev. Fino a quando un Paese può attingere tranquillamente alle proprie scorte?
Ora che russi e ucraini devono mettersi d’accordo sui prezzi per le forniture del 2009, la confusione sembra totale. Naftogaz e Gazprom si dicono pronte a riprendere le trattative, ma intanto ciascuna addossa all’altra la colpa di questo silenzio. Nessun colloquio è in programma, la delegazione ucraina non ha ancora lasciato Kiev, chiarisce Kuprijanov. Ma quando il confronto riprenderà, trovare un punto d’incontro sarà più difficile di prima: i 250 dollari per mille metri cubi chiesti a fine anno da Gazprom, respinti da Kiev, ora sono diventati 418. Un prezzo più vicino alla media di mercato pagata dagli europei, ma proibitivo per il budget ucraino. Secondo Naftogaz, il massimo prezzo accettabile è di 235 dollari.
Anche i prezzi europei, del resto, sono destinati a diminuire nel corso dell’anno, man mano che il gas assorbe il calo del petrolio. Gazprom lo sa: i suoi problemi di liquidità in questo momento, e in previsione di una futura riduzione delle entrate, sono una delle ragioni per cui il monopolio non può usare trattamenti di favore con nessuno, tanto meno con l’Ucraina. Ma attraverso Kiev passa l’80% del gas pagato dagli europei, anche a queste entrate non si può rinunciare. Il dilemma dei russi viaggia accanto a quello dei dirigenti ucraini, costretti dalla crisi economica a stringere sui prezzi ma preoccupati per le ricadute sulla propria popolarità di una crisi prolungata. È tra queste trappole che si dovrà trovare la via d’uscita.