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 2009  gennaio 06 Martedì calendario

A fine 2007 il cancelliere tedesco Angela Merkel, leader dei Cristiano democratici (Cdu) dal 2005 a capo di una ”Grosse Koalition” (grande coalizione) con i Socialdemocratici (Spd), pareva destinata a una lunga serie di successi: in appena 2 anni di cancellierato il numero dei disoccupati era sceso in Germania da 5,2 a 3,3 milioni, il disavanzo pubblico era tornato sotto al 3 per cento del Pil (tanto che si sperava di azzerarlo entro il 2011, evento atteso dal 1967), l’economia era cresciuta del 2,9 per cento nel 2006 e del 2,4 nel 2007, per il 2008 si stimava un altro 2 per cento

A fine 2007 il cancelliere tedesco Angela Merkel, leader dei Cristiano democratici (Cdu) dal 2005 a capo di una ”Grosse Koalition” (grande coalizione) con i Socialdemocratici (Spd), pareva destinata a una lunga serie di successi: in appena 2 anni di cancellierato il numero dei disoccupati era sceso in Germania da 5,2 a 3,3 milioni, il disavanzo pubblico era tornato sotto al 3 per cento del Pil (tanto che si sperava di azzerarlo entro il 2011, evento atteso dal 1967), l’economia era cresciuta del 2,9 per cento nel 2006 e del 2,4 nel 2007, per il 2008 si stimava un altro 2 per cento. Fino ad allora, la grande coalizione si era distinta per misure coraggiose e poco popolari, come l’aumento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni e dell’iva dal 16 al 19 per cento, l’incremento della tassa sugli interessi bancari e sui guadagni in borsa (portata al 25 per cento), la riforma delle tasse di successione, con gli eredi di imprese costretti a garantire per sette anni il posto di lavoro e il livello dei salari dei dipendenti. Lo scorso 30 novembre, a Stoccarda, la Merkel aveva inaugurato il congresso del Cdu mentre un sondaggio della rete televisiva N-Tv indicava che il 46 per cento dei militanti socialdemocratici avrebbe votato per lei se il cancelliere fosse stato eletto dal popolo. Due miliardi di euro investiti in nuovi asili nido, aumenti degli stanziamenti per scuole e università pubbliche fino al 10% entro il 2015, assegni familiari da 1.400 euro a figlio per 18 mesi elargiti con la condizione che il padre restasse a casa insieme alla madre, apertura nei confronti di gay e coppie di fatto, in quei giorni si diceva che nemmeno il partito neomarxista Die Linke di Oskar Lafontaine avrebbe potuto sognare di più, tanto che il Wall Street Journal era arrivato a definire la Merkel «il vero cancelliere socialdemocratico». Alla fine era arrivata anche la conferma a capo del partito col 95% dei voti. All’inizio della crisi economica internazionale che ha drammaticamente segnato l’anno appena concluso, la Merkel aveva tenuto una posizione ben distinta dai colleghi di tutta Europa: forte di una politica di riduzione del deficit pubblico e di finanze virtuose, con una tasso di risparmio tra i più alti dell’Occidente, la crescita tedesca più che dai consumi era trainata dalle esportazioni. Convinta che mercati non regolati e non controllati finiscono con il produrre disastri, spinta dall’ambizione di vedere il ”modello sociale di mercato” tedesco (fondato sull’industria) riconosciuto come il miglior sistema di governo dell’economia (non troppo chiuso e non troppo aperto), la cancelliera non aveva perso occasione per criticare in particolare la disordinata way of life anglosassone, certificando la morte del modello economico basato sulla finanza. Per questo, aveva sempre risposto picche ai leader che cercavano di spingerla ad usare la spesa pubblica per fronteggiate l’emergenza sui mercati di tutto il mondo (la Germania è per ogni paese membro dell’Ue il primo partner economico). La visione tedesca del nuovo ordine globale prevedeva che istituzioni come il Fondo monetario internazionale avrebbero dovuto tenere sotto controllo la finanza, a cominciare dagli strumenti derivati e dal funzionamento delle agenzie di rating, avvertendo dei rischi con la dovuta tempestività. Il G8 avrebbe dovuto essere allargato a un G16, un G20 o un G21 (con la Spagna), creando una sorta di Onu dell’economia in grado di favorire uno sviluppo del capitalismo socialmente equilibrato. Mentre in tutto il mondo si invocavano aiuti governativi su larga scala per arrestare la caduta dell’economia, Berlino si aggrappava a un’ideologia da più parti ritenuta obsoleta scommettendo che i tedeschi, relativamente in buone condizioni, avrebbero superato la crisi senza troppi danni. Verso la fine dell’anno però le cose hanno cominciato a peggiorare: ad ottobre gli ordini industriali sono crollati del 6,1%, la fiducia delle imprese ha toccato i minimi dal 1982 (secondo shock petrolifero). In 12 mesi le prospettive economiche della Germania hanno subito una radicale trasformazione e gli economisti tedeschi paiono adesso fare a gara nel diffondere la previsione congiunturale più pessimistica. Secondo l’istituto Rwi, nel 2009 il Pil della Germania scenderà del 2%, l’Ifo stima una frenata del 2,2%, Norbert Walter, capo economista di Deutsche Bank, avverte che la locomotiva di Eurolandia potrebbe arretrare addirittura del 4% (neanche negli anni Settanta, ai tempi della doppia crisi petrolifera, il Paese aveva assistito a un calo superiore all’1%). Alla fine del 2008 il 35% dei tedeschi ammetteva di aver già percepito gli effetti della crisi e tutta la popolazione si preparava ad affrontare la peggior situazione economica dagli anni Quaranta, conscia che i sacrifici richiesti potrebbero non essere lontani dal paragone con la ricostruzione post bellica fatto dai più pessimisti tra gli esperti. Dopo esser sceso sotto i tre milioni (2,98), il numero dei disoccupati dovrebbe salire da qui al 2010 di almeno 600mila unità per raggiungere i 4 milioni nei mesi più sfavorevoli all’occupazione (stima di Frank Jurgen Weise, presidente dell’Ufficio federale del Lavoro di Norimberga). Quelli che nei mesi scorsi avevano chiamato la Merkel ”frau nein” (signora No) o ”Angela Mutlos” (Angela pavida), possono adesso prendersi la rivincita. Der Spiegel si è chiesto se la cancelliera abbia davvero la stoffa del leader capace di affrontare le grandi crisi: « come Churchill, o piuttosto come Chamberlain?», ha insinuato un commentatore del settimanale tedesco (Neville Chamberlain è il premier inglese che nel 1938 pur di evitare la guerra si fece prendere in giro da Hitler). Nella stessa Cdu qualcuno comincia a chiedersi se non sarebbe meglio avere un leader più propenso ai tagli fiscali, molti hanno improvvisamente preso posizione in favore del suo rivale Friedrich Merz. Alla fine il governo federale s’è dovuto rassegnare all’idea di contrarre nuovi debiti per almeno 30 miliardi di euro: poiché questa previsione conta su una crescita del Pil pari allo 0,2 per cento, è probabile che alla fine serviranno molti miliardi in più. Gli interventi del governo partiranno da programmi di aiuti all’edilizia in crisi e prevedono grandi piani per gli investimenti pubblici in tre settori decisivi: la costruzione e l’ammodernamento delle strade, internet a banda larga, l’edificazione e il risanamento delle scuole, spesso in pessime condizioni. Poiché il costosissimo sistema tedesco prevede un qualche sussidio per l’80% dei disoccupati (in Italia siamo sotto al 20%), la cancelliera ha convocato i vertici delle aziende incluse nell’indice Dax (giganti come Adidas e Deutsche Bank) pregandoli di ridurre al minimo i licenziamenti resi necessari dalla crisi. Per convincerli, ha promesso che i giorni lavorativi potranno essere ridotti a 3 per settimana: gli imprenditori pagheranno il tempo lavorato, quasi tutto quello che manca sarà a carico dello Stato (il gruppo Daimler ha subito fatto sapere che ne avrebbe usufruito in quattro fabbriche coinvolgendo migliaia di lavoratori). Nonostante negli ultimi tempi la Merkel abbia visto crescere il numero di quanti le muovono critiche anche piuttosto pesanti, l’assenza di alternative pare garantirle un secondo mandato: i sondaggi stimano in venti punti il vantaggio sul candidato socialdemocratico, il suo vicecancelliere e ministro degli Esteri Frank Walter Steinmeier (in Germania, si tenga però presente, si vota per il partito, non per il cancelliere). Negli ultimi tempi i due partiti che compongono la grande coalizione hanno litigato su tutto, dalla riforma delle pensioni alle scelte energetiche, con la cancelliera riconvertita al nucleare che prima aveva rifiutato. A fine dicembre un sondaggio del settimanale Stern stimava un calo nella popolarità della cancelliera dal 51 al 47%, col suo partito in calo dal 38 al 37. Grazie alla rimonta dei liberali (Fdp, 13%), una formula di governo di centrodestra potrebbe avere comunque la maggioranza: sarebbe quello che i giornali chiamano ”governo Giamaica” (dai colori della bandiera dello Stato caraibico), in cui al nero della Cdu e al giallo dell Fdp andrebbero aggiunti i Verdi, nel caso di successo della Spd (rosso) si parlerebbe di governo ”semaforo”. Steinmeier, candidato premier della Spd, è un tecnocrate ai vertici della scena dal 1993, quando strinse un sodalizio con Gerhard Schröder. Dal 1998 ha governato la cancelleria di Berlino mostrando a detta del politologo Peter Lösche «un’efficienza e una modestia eccezionali». Campione dell’ala moderata socialdemocratica, fu insieme all’allora capo del partito Franz Müntefering e all’attuale ministro delle Finanze Peer Steinbrück il padre delle riforme di welfare e mercato del lavoro, poi proseguite dalla Merkel, che hanno rilanciato occupazione e congiuntura: è lui l’architetto della decisa frenata sugli ”abusi dello Stato sociale” che ha tagliato alcuni privilegi del welfare nota in Germania come Agenda 2010. Esperto in politica estera (nel 2002 organizzò per conto del cancelliere la divisione Europa, che di fatto sollevò il ministero degli Esteri dalle sue competenze in materia), la sua debolezza sta nel fatto che non è mai stato eletto e non ha esperienza di politica interna. Soprattutto, la base lo rifiuta: preferirebbe una svolta a sinistra, un’apertura alla Linke (la sinistra radicale di Lafontaine e Gysi), cui Steinmeier è contrario. Alle prese con le debolezze della politica interna, inevitabili a causa della grande coalizione con i socialdemocratici, e accusata di avere uno stile sommario e convinzioni provvisorie che finiscono col farle prendere scelte opportunistiche, in questi anni la Merkel ha cercato di rifarsi praticando una politica estera disinvolta ma risoluta, cordiale ma dura, in cui ha rivendicato per la Germania un ruolo sempre più decisivo a livello internazionale. Va inquadrata in questo contesto la posizione di Berlino di fronte al recente attacco sferrato da Israele su Gaza, con dichiarazioni che sono parse a molti commentatori piuttosto pesanti: « un diritto legittimo di Israele proteggere la propria popolazione civile ed il proprio territorio», la responsabilità di quanto accaduto è «chiaramente ed esclusivamente» di Hamas che ha unilateralmente «rotto gli accordi per il cessate-il-fuoco» e dato avvio a un «continuo lancio di razzi» ha dichiarato la cancelliera attraverso il suo portavoce mentre i morti palestinesi si contavano a centinaia.