«Elenco dei beni? Dovuto anche in Italia» di Alessandro Galimberti, Il Sole 24 Ore,3/1/2009, pag 29, 6 gennaio 2009
«ELENCO DEI BENI? DOVUTO ANCHE IN ITALIA»
Un giudice americano ha intimato a Bernard Madoff di consegnare alla Sec l’elenco dei suoi beni, e di farlo nel giro di due settimane, come puntualmente avvenuto. Una prova di lealtà che ha sorpreso l’opinione pubblica internazionale, ma che da noi, paradossalmente è prassi giudiziaria. Lo spiega Bruno Tinti, 66 anni, ex procuratore aggiunto di Torino, già presidente della commissione interministeriale per la riforma del diritto penale tributario, che da dicembre ha lasciato la magistratura per la saggistica.
In Italia sarebbe possibile un ordine simile nei confronti di un indagato? E una risposta così rapida?
Guardi, non solo è possibile, ma è previsto dalla legge come passaggio obbligatorio, nella prima dichiarazione che ogni indagato/imputato rende al pubblico ministero o a un giudice.
Quindi per ogni reato?
Per ogni reato. L’indagato deve per prima cosa verbalizzare le proprie generalità e, tra le "qualità personali", tutti i beni di sua proprietà, ovviamente rilevanti. Perché lo scopo, come è chiaro, è quello di individuare un patrimonio su cui caricare la pretesa risarcitoria delle vittime del reato. Nel caso di sentenza di condanna, ovviamente.
Eppure non si ricorda un dettagliato elenco dei beni dei responsabili di italianissimi crac e scandali. Distrazione?
No, il problema è nella sanzione. L’articolo 495 del codice penale per la "falsa attestazione a pubblico ufficiale" prevede una condanna da uno a 6 anni. Che vuol dire, nella realtà, partire sempre da un anno, concedere le attenuanti generiche e consentire poi il patteggiamento. Cinque mesi, sospesi e con i doppi benefici: più o meno si rischia questo a non "ricordarsi" dove si sono nascosti i gioielli di famiglia per sottrarli al risarcimento dei danni.
Invece Mardoff alla Sec avrebbe indicato attici, tenute e yacht.
Vede, in America l’imputato può non rispondere al giudice, come del resto da noi, è un suo diritto. La differenza è che se decide di rispondere, ha l’obbligo di dire la verità (da noi invece no): e, se non la dice, va incontro a 15 anni di galera. Tutto qui.
Ma allora dove pesca il magistrato italiano, quando ottiene risarcimenti "forfettari"?
Diciamo che si fa un "patteggiamento" irrituale durante l’indagine.
Per esempio?
Per esempio il giudice può far capire che la collaborazione può essere utile per ottenere la revoca di un’ordinanza di custodia cautelare.
Do ut des.
Chiamiamolo pure per quello che è, un ricatto morale. Però è l’unica possibilità, talvolta, per evitare che il processo da rito si trasformi in farsa. Quando c’è da un lato un’offesa giuridica e patrimoniale molto consistente, e dall’altro la consapevolezza dell’irraggiungibilità dei propri beni..ben occultati, vede un’alternativa? E consideri che spesso il "patteggiamento" sulla riparazione dei danni lo si fa anche per coprire le spese processuali: se un indagato patteggia al termine di un’indagine costata qualche centinaio di migliaia di euro di intercettazioni, non ha alcun obbligo di risarcire il Ministero. Un Pm coscienzioso cerca di recuperare con i pochi spazi che la legge concede.
Lei non è più magistrato: cosa serve alla giustizia italiana?
Fare delle scelte di politica legislativa chiare. Sbagli, paghi, e la sanzione deve essere un deterrente reale, oltre che una riparazione effettiva. Anche quella patrimoniale, ovviamente.