ItaliaOggi, 5/1/2009, 5 gennaio 2009
TITOLI: IL COSTO STORICO PUO’ ESSERE MANTENUTO
Non necessario l’adeguamento del valore dei titoli del circolante a quello di mercato. possibile mantenere il costo storico in espressa deroga al codice civile. questo lo strumento individuato dal decreto anti crisi per fronteggiare la turbolenza dei mercati finanziari.
La disposizione contenuta nel comma 13 e seguenti dell’art. 15 prevede per i soggetti che non adottano i principi contabili internazionali, possono valutare i titoli non destinati a permanere durevolmente nel loro patrimonio in base al loro valore di iscrizione così come risultante dall’ultimo bilancio o, ove disponibile, dall’ultima relazione semestrale regolarmente approvata, senza che ci sia la necessità (come avviene abitualmente) di considerare il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato. In sostanza una perdita se non durevole potrà anche non comportare l’abbattimento del valore del titolo. Questa regola in vigore per i bilanci 2008 (o meglio valida per l’esercizio in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge, 29 novembre 2008) potrà anche essere estesa di un altro anno in relazione all’evoluzione della situazione di turbolenza dei mercati finanziari, con decreto del ministro dell’economia e delle finanze.
Nel dettaglio ciò significa che per gli investimenti non durevoli in titoli, quali azioni e obbligazioni, si consente all’impresa di non svalutare i titoli detenuti nell’attivo circolante, continuando a valutarli al valore risultante dall’ultimo bilancio (per esempio, bilancio chiuso al 31/12/2007 per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare), ovvero, ove disponibile, dalla relazione semestrale, regolarmente approvati, fatta salva l’ipotesi in cui la perdita abbia carattere durevole.
La misura lascia aperte molte possibilità ai redattori di bilancio.
La valutazione dei titoli e delle partecipazioni che non costituiscono immobilizzazioni in base all’art. 2426, al punto 9, prevede che «le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il n. 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione».
netta la distinzione con il criterio invece dettato per i titoli immobilizzati per i quali l’art. 2426, al punto 2), dispone: «l’immobilizzazioni che alla data della chiusura dell’esercizio risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minor valore...».
Si potrebbe quasi ritenere che il decreto anticrisi abbia voluto offrire una criterio di valutazione dei titoli del circolante simile per qualche verso simile a quelli immobilizzati, richiedendo la svalutazione solo nel caso di perdite durevoli.
Già tale riferimento può presentare margini di incertezza. Secondo l’Oic 20 «una perdita di valore è durevole quando fondatamente non si prevede che le ragioni che la hanno causata possono essere rimosse in un breve arco temporale, cioè in un periodo così breve da permettere di formulare previsioni attendibili e basate su fatti obiettivi e ragionevolmente riscontrabili. Quindi, una perdita di valore è durevole perché non è ragionevolmente dimostrabile che nel breve periodo la società partecipata possa sovvertirla mediante positivi risultati economici».
Da tale definizione sorge un primo dubbio. Se è vero che l’intervento del dl anticrisi cerca una soluzione favorevole ampliando i margini del redattore del bilancio al fine di evitare svalutazioni, è anche vero che nell’attuale contesto non sarà così facile riuscire a dimostrare che la perdita non sia durevole: non pare facile in molti casi dimostrare ragionevolmente che nel breve periodo la società possa sovvertire l’andamento negativo.
Un secondo problema che ci si deve porre è quale possa essere il valore di riferimento da assumere. O meglio se tali disposizioni possano applicarsi anche per il caso di titoli da riferire a società non quotate. Lo spirito per cui la norma è stata introdotta potrebbe portare a dare una risposta negativa in quanto la crisi dei mercati (in modo diretto) ha di certo colpito le imprese che fanno ricorso al mercato dei capitali di borsa. Ma in realtà il testo normativo non lascia trasparire alcuna limitazione e pertanto parrebbe possibile una soluzione differente.
Un ultima annotazione da considerare e che la mancata svalutazione dei titoli, pur se lecita ed espressamente ammessa dal decreto anticrisi dovrà essere illustrata con dovizia in nota integrativa.
In primis per rendere evidente la scelta effettuata dalla società ed anche per poter rendere comparabili i dati degli esercizi precedenti.
Sul punto si ritiene allora che gli effetti patrimoniali ed economici del nuovo criterio di valutazione debbano essere ben illustrati in nota integrativa in cui occorrerà fornire un quadro anche di cosa sarebbe accaduto in assenza della deroga introdotta dal decreto anticrisi.
In secondo luogo perché (e lo si ribadisce) la deroga non è applicabile nel caso in cui la perdita sia durevole. Pertanto la mancata svalutazione dovrà essere accompagnata dalla descrizione delle situazioni che rendono ragionevole supporre che la perdita registrata possa considerarsi non durevole (con tutte le difficoltà che ciò comporta).