Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  gennaio 05 Lunedì calendario

DOSSIER SUL CASO DI OCCHI, ASSOLTO IN VIA DEFINITIVA DALL’ACCUSA DI AVER AMMAZZATO LA MOGLIE, POI REO CONFESSO E NON PIù PROCESSABILE. TUTTO DAI GIORNALI DEL 5 GENNAIO 2009


LA STAMPA
MARCO NEIROTTI
«Vorrei confessarmi». Ma non è una chiesa, è la questura. Dica, allora. «Ho ucciso mia moglie». Che ha fatto? «Mia moglie... l’ho uccisa io». Quando? Dove? «Nella sua casa». Sì, ma quando? «Quattro anni fa». Quando?? «Gliel’ho detto. Quattro anni fa. Era novembre 2004».
L’ispettore e l’agente si guardano. Ha un documento? Ecco il documento. Si chiama Denis Occhi, 33 anni, muratore. Aveva già confessato una volta la stessa cosa. Lei era stata massacrata nella casa dove viveva con il nuovo compagno e Denis aveva ammesso, era stato condannato a vent’anni, però aveva ritrattato, in appello era stato assolto per prove non sufficienti e al suo legale il personale della questura ha specificato: «Non più giudicabile», per ricorso non presentato o respinto. Assolto per sempre. In queste feste tra Natale e l’Epifania ci ha pensato su. Dopo Capodanno va alla polizia e dice: «Sono tormentato perché sono stato io». Dopodiché firma il verbale e torna a casa. «Coscienza» e «diritto» viaggiano su sentieri che si incontrano davanti alle uniformi ma non possono più incidere l’un sull’altro. In «nome del popolo italiano» è innocente. In nome suo è un altro paio di maniche.
«Avvocato, mi crederanno?». Si costituisce un po’ in ritardo, in piene festività. Chiamano un legale di turno perché lo assista d’ufficio. Giovanni Montalto si sta occupando di arte e musica, organizza un concerto jazz, lascia tutto e corre da questo strano cliente. Stilano una pagina e mezzo di quello che vuole dichiarare: «Ci penserò su. Chissà se è un tormento o è un condizionamento della propria vita, del carcere che ha fatto, di reminiscenze confuse o se è qualcosa che gli ha lavorato dentro». Una cosa è certa: Denis Occhi non sapeva di essere «esente» dalla prigione. «Adesso verranno a prendermi?», ha chiesto. No, nessuno verrà a prenderti. «Come mai?». Alla spiegazione tecnica non ha reagito: «Davvero funziona così?».
Quando si sa della confessione nuova è presto circondato dai giornalisti: «Non so che dire. Ci ho pensato tanto. Ultimamente ci pensavo sempre. Dovevo liberarmi». Giù flash e domande. Alla fine ha avuto una crisi d’ansia, come se liberarsi avesse scatenato un inferno più incontrollabile e grande di quello delle toghe e delle aule di giustizia. Ha negato la confessione appena fatta e si è fatto accompagnare in ospedale, con una crisi d’ansia: «Era una cosa mia».
Il replay di allora: «Sì, va bene, lo ammetto. Sono entrato nella casa...». Era il 25 novembre 2004. Giada Anteghini, 27 anni, con una figlia di 6 anni, si era decisa a lasciare il marito ed era andata a vivere a Jolanda di Savoia col nuovo compagno. Quando uno sconosciuto entra in casa, la bimba dorme in una stanzetta, lei in un’altra. Quasi non si accorge dell’irruzione, subito un’infinità di colpi d’accetta su tutto il corpo e alla testa. La portano via ancora viva, rimane in coma, 14 mesi di agonia in ospedale. Muore il 23 gennaio 2006.
Fin dall’inizio le indagini dei carabinieri si chiudono a circonferenza intorno all’ex marito. Arrivano gli uomini del Ris da Parma, si confrontano rilievi, testimonianze. E Denis cede, confessa ai carabinieri di Comacchio: «Sì, sono stato io». Lo sottopongono a una perizia psichiatrica, che rileva un disturbo di personalità border line, che non significa automaticamente «incapacità di intendere e volere». Il 15 febbraio 2007, in primo grado, il pm Nicola Proto chiede - con il rito abbreviato - vent’anni di carcere. Il giudice per l’udienza preliminare Silvia Giorgi accoglie la richiesta: vent’anni, quattro da scontare in un istituto di cura, per omicidio volontario.
Ma ci sono la ritrattazione e il ricorso in Corte d’appello, a Bologna. Dopo tre ore di camera di consiglio, il 27 febbraio 2008, il presidente Aldo Ranieri legge una sentenza che ribalta tutto: non ci sono prove a sufficienza. Ventiquattro ore dopo Occhi torna in libertà.
E’ un po’ spaurito e disorientato, non sa bene come muoversi. Si presenta alla redazione del giornale locale, «La Nuova Ferrara»: «Mi hanno assolto, dice. Però la gente ha paura di me, non mi crede. Aiutatemi a far capire che io non faccio del male a nessuno, voglio solo fare la mia vita di muratore».
Fine della vicenda giudiziaria. Il muratore di Migliaro, altro piccolo centro del Ferrarese, riprende la sua quotidianità, un po’ discosto dagli altri e un po’ tra gli altri per scrutare se gli credono o no, se lo temono, se parlano quando si allontana. E che dicono? Dicono che è stato lui? Questi pensieri lo pungono, lo trafiggono, lo avvolgono quando arriva Natale. Per i detenuti era un assassino, per quelli di fuori anche. Lo è anche per se stesso? Si è convinto o si è solo pentito di aver negato? Si è pentito di essere stato assolto per qualcosa che ha fatto davvero?
L’avvocato Montalto non entra nel merito della sentenza: «L’ho assistito per questa spontanea confessione». Tutto lì? «In verità no. Mi ha impressionato, mi sono anche un po’ preoccupato dopo che è tornato a casa e l’ho risentito. Subito era come non toccato dalla sorpresa, dal fatto che non sarebbe successo nulla. Ma non come uno che l’abbia messa in conto. Come uno che ha fatto quel che riteneva meglio per star bene, vero o falso che sia. Come legale preferisco discorsi tecnici alle confessioni». Pensa che possa aver mentito adesso? «Lo conosco troppo poco. Certo è che è un soggetto molto fragile, facile alla confusione, al convincimento». A lei hanno confermato che non è più perseguibile? «Sì. Esatto».
Denis Occhi, ma allora perché l’hai fatto? «E’ stato quel momento». Avevi ritrattato: «Ma ora mi sono liberato. Ho detto la verità. Dovevo dirla». E, confuso, va all’ospedale col fiato che manca ma per questo assedio, per le domande, per i fotografi che lo cercano, non per il 25 novembre 2004.
«Se non avesse aperto la porta con quel coltello in mano, forse ora sarebbe ancora viva». Con queste parole O. J. Simpson, l’ex star del football americano, confessò a un amico l’omicidio dell’ex moglie. La verità nascosta su una delle vicende processuali più controverse della storia giudiziaria americana finì in un libro: «Come ho aiutato O. J. a evitare la condanna per omicidio», autore Mike Gilbert, commerciante di articoli sportivi, colui che ascoltò la confessione dell’ex campione pochi mesi dopo la sua assoluzione. Un momento di debolezza in cui Simpson, sotto l’effetto di marijuana, sedativi e alcol, rivelò che cosa accadde la notte del 12 giugno 1994. Nicole e il suo amante furono uccisi con diverse fendenti, l’arma del delitto non fu mai trovata. Simpson, comunque, in cella è tornato per un’altra vicenda, e ci resterà a lungo.


1. Giada Anteghini aveva 27 anni la notte in cui il marito l’aggredì in camera da letto, è morta un anno dopo senza uscire dal coma. 2. Denis Occhi, 33 anni, ha confessato il 2 gennaio, undici mesi dopo l’ultima sentenza. 3. L’uomo in aula nel febbraio del 2008, subito dopo l’assoluzione in Appello. 4. I Ris al lavoro fuori dalla casa di Jolanda di Savoia, nel Ferrarese, il giorno dopo il delitto.

La vicenda processuale che ha coinvolto Denis Occhi non è stata lineare. Inizialmente reo confesso, è stato condannato in primo grado, con rito abbreviato, a 16 anni di reclusione; è stato assolto in appello perché dagli atti non emergeva la prova certa della sua colpevolezza, la sentenza è quindi diventata definitiva.
Due giorni fa il giovane ha nuovamente confessato l’omicidio. Se la confessione odierna è veritiera, nella sostanza aveva giudicato bene il giudice di primo grado. Ciò peraltro non significa automaticamente che la Corte di Appello avesse sbagliato, poiché è possibile che agli atti del processo non esistessero elementi sufficienti per fare emergere quella «prova certa al di là di ogni ragionevole dubbio» che costituisce requisito della sentenza di condanna.
Si deve precisare altresì, per completezza, che la confessione, pur essendo elemento indiziante di notevole peso, non costituisce, di per sé, prova certa di reità, e che, pertanto, potrebbe accadere che il giudice, valutate tutte le circostanze, assolva un imputato che ha confessato.
A questo punto la gente si domanderà se nei confronti di Denis Occhi si possa riaprire il processo penale chiuso. La risposta è sicuramente negativa. Il codice di procedura penale stabilisce infatti con assoluta chiarezza che, se una sentenza penale è passata in giudicato, «l’imputato prosciolto o condannato non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per lo stesso fatto», e che «se ciononostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere».
Esiste, è vero, una norma che prevede la revisione delle sentenze irrevocabili in casi determinati, fra i quali l’emergere di nuovi elementi, e pertanto di nuove prove. La revisione delle sentenze passate in giudicato, in ottemperanza al principio del favor rei, è prevista soltanto nei confronti delle sentenze di condanna.
Denis Occhi, quantomeno sul terreno di nuove prospettive penali in ordine al reato del quale si è accusato, può pertanto dormire sonni tranquilli, come qualunque altro imputato definitivamente assolto che confessi. Potrà non convincere tutti, ma anche questo, in fondo, è un principio di civiltà giuridica.


CORRIERE DELLA SERA
FERRARA – «Sa qual è la verità?» sospira l’avvocato Giovanni Montalto. «E’ che questa storia dal punto di vista della giustizia non avrà mai un lieto fine».
Un ragazzone dai modi un po’ spicci l’altro giorno si è presentato in questura, a Ferrara, e ha chiesto di lui, dell’ «avvocato di turno». Ai funzionari della squadra mobile ha detto: «Chiamatelo, devo raccontarvi come ho ucciso Giada».
Il racconto di Denis Occhi, 33 anni e un bel po’ di guai con la vita e con la legge, è durato un’ora. «Posso andare adesso?» ha chiesto lui alla fine. Sì che poteva andare, anche se il suo racconto era sembrato credibile. Poteva andare, anche se aveva appena descritto come la notte fra il 24 e il 25 dicembre 2004 massacrò a colpi in testa la sua ex moglie, Giada Anteghini, 27 anni, che morì dopo 14 mesi di coma profondo. Poteva andare, Denis, e portarsi appresso la sua storia paradossale e la sua coscienza «più pulita», come dice lui, dopo la confessione.
«Arrivederci, allora. E grazie ». Il muratore reo confesso torna a casa. Perché la giustizia lo ha già giudicato e assolto per l’omicidio di Giada: sentenza di Cassazione passata in giudicato, quindi definitiva. E la legge dice che per lo stesso reato si può essere processati una volta soltanto.
Lo sa bene anche il pubblico ministero Nicola Proto: il verbale della confessione non porterà mai da nessuna parte e per lui che ha sempre sostenuto la colpevolezza di Denis questa nuove dichiarazioni spontanee suonano come un’altra beffa, dopo il ribaltone della corte d’Assise d’Appello di Bologna (che rovesciò i vent’anni di primo grado decidendo per l’assoluzione dell’imputato) e dopo la conferma degli ermellini. Forse è per questo che il magistrato ha scelto di non essere nemmeno presente all’interrogatorio in questura.
«Ma cerchiamo di essere onesti» considera l’avvocato Montalto. «Nessuno può dirsi certo che stiamo lasciando in libertà un assassino. Non siamo davanti a un allarme sociale. Anche in primo grado il ragazzo confessò, poi ritrattò. Evidentemente non sono stati trovati riscontri sufficienti. Secondo me tutta questa vicenda va letta in chiave psicologica». Nei tre gradi di giudizio in effetti molto si è giocato sulla perizia psichiatrica. Denis, alle prese da anni con problemi legati alla droga e all’alcol, con precedenti penali per furto, rapina, violazione di domicilio e negli ultimi tempi «depresso fino a volermi uccidere » non è mai stato dichiarato incapace di intendere e di volere. Ma gli psichiatri hanno scritto sul suo conto che è «persona socialmente pericolosa e affetta da «disturbo della personalità con prevalenti componenti borderline». Ma per lui nessun trattamento psichiatrico specifico se non, in questi ultimi mesi, le cure di una comunità di recupero di Copparo, a pochi chilometri da Ferrara.
E’ lì che ieri pomeriggio si è rifugiato dopo un paio d’ore passate al pronto soccorso dell’ospedale locale «perché stavo troppo male, non reggo tutta questa pressione ».
Della confessione dice che «hanno capito male tutti». Alla polizia aveva spiegato che «non ci dormo più la notte», che «quest’atmosfera delle feste mi ha commosso e io devo togliermi questo peso dalla coscienza».
Sarà per il timore di finire di nuovo sotto i riflettori, ma ieri a sua versione è molto cambiata rispetto alla pagine e mezza di verbale firmato l’altro giorno: «Non le ho dette sul serio quelle cose. Loro credono che io sia colpevole e allora per provocazione gli ho detto "mi volete colpevole per forza? Eccomi qui, sono stato io, tanto mi avete già rovinato la vita". Ma io non ho confessato nulla». Su quel verbale le cose stanno diversamente e tutto è «più che compatibile », dicono gli inquirenti, con la morte di Giada.
G. Fas.

MILANO – Assolto in via definitiva dall’omicidio della moglie. E adesso decide di confessare. Avvocato Pisapia ci sarà una revisione del processo?
«Assolutamente no. Come nella maggior parte del mondo, anche in Italia non è prevista la possibilità di modificare una sentenza di assoluzione definitiva, anche se dovessero emergere prove schiaccianti di responsabilità.
Non si può essere processati per lo stesso reato».
E neppure una confessione può servire a riaprire il caso?
«No, la confessione non è mai stata considerata una prova regina. Non è sufficiente neppure per ottenere una revisione del processo, dove servono riscontri oggettivi tanto fondati da superare i tre gradi di giudizio. In ogni caso la revisione può essere presa in considerazione solo nel caso in cui l’imputato viene condannato in via definitiva.
Non vale certo per gli imputati assolti in via definitiva perché nel nostro ordinamento prevale il favor rei ».
Allora il signor Denis Occhi resterà libero?
«Di sicuro non andrà in carcere per aver ucciso la moglie. Se emergessero reati collaterali legati al delitto, come per esempio l’occultamento di cadavere o la detenzione illegale di arma, e sui quali non esiste una sentenza passata in giudicato, il signor Occhi potrebbe essere processato per quei reati».
Cosa può fare lo Stato di fronte a una situazione del genere?
«Se il soggetto viene ritenuto pericoloso, anche se non commette un reato, è possibile prevedere misure di prevenzione a tutela della comunità: patrimoniali, se dovesse aver ottenuto eredità dalla moglie, e personali, come l’obbligo di dimora o di soggiorno. Possono chiedere la misura di prevenzione il questore o il pm, e la decisione spetta al tribunale».
I familiari della vittima hanno qualche possibilità di ottenere giustizia?
«Dal punto di vista penale, lo ripeto, la faccenda è chiusa.
Ma l’assoluzione non impedisce ai familiari di tentare di ottenere un risarcimento. Possono intentare una causa civile, ma solo se non si sono costituiti parte civile nel processo».
Cristina Marrone

DAL NOSTRO INVIATO
FERRARA – «Se non fosse per la mia bambina chissà quante volte mi sarei lasciata andare... Sono sfinita e, se posso dire, anche un po’ schifata».
Maria Emanuela Natali dice «la mia bambina» quando parla di sua nipote, la bimba di sua figlia Giada e di Denis Occhio. La piccola vive con lei dal Natale del 2004, il più funesto Natale che una madre potrebbe mai passare: il giorno in cui sua figlia Giada cominciò a morire, con la testa sfondata dai colpi di un’arma mai trovata e in coma irreversibile. Il cuore della ragazza si fermò 14 mesi dopo. E da allora non c’è giorno che sua madre non pensi a lei almeno un po’. Ieri, però, il suo ricordo le è stato accanto tutto il giorno perché la signora Maria Emanuela ha saputo quello che non avrebbe mai voluto sentire: la nuova confessione di Denis, il suo ex genero. «E io adesso cosa posso fare? Come posso addormentarmi la sera pensando che quest’uomo è stato assolto per sempre e che però dice di aver ammazzato mia figlia? Il danno era già incolmabile. La beffa è atroce».
Nelle parole della madre di Giada non c’è nemmeno più rabbia, esaurita con la sentenza di assoluzione della corte d’assise d’appello che lo scarcerò dichiarandolo innocente dopo i vent’anni di condanna del primo grado. Già i vent’anni del primo giudizio a lei sembravano pochi. Adesso «non so nemmeno definire cosa provo, è tutto così assurdo...».
Maria Emanuela non sa rassegnarsi al fatto che anche questo caso resti irrisolto: «In Italia ne abbiamo tanti. Non posso credere che anche questo si aggiungerà alla lista. Vorrei tanto poter riaprire questa partita perché io lo so com’era la vita di mia figlia accanto a Denis. Le conosco le violenze psicologiche che Giada ha dovuto sopportare». Il pensiero che Denis non c’entri niente lei sembra non averlo messo in conto: «Io sono sempre stata convinta della sua colpevolezza anche se alla mia nipotina ho spiegato che sì, papà è stato in prigione ma che non si sa bene se sia stato lui oppure no…».
Una vita a sbarcare il lunario con lo stipendio da operaia, Maria Emanuela quant’è «difficile tirare avanti e riorganizzarsi con una bambina piccola quando non si è più giovanissimi», dice che «la sua vita è la piccolina, sono i suoi occhi e certe sue espressioni uguali a quelle della sua mamma», ripete che «quello continua a fare il bello e il cattivo tempo, si attacca a cavilli legali e riesce a farla franca perché in questo Paese tutto è concesso». Paura di Denis? «Sì, ho paura. Lui tempo fa minacciò di uccidere la bambina, ci siamo dovuti nascondere per un po’. Sono anche arrivata a pensare: "va bene, è libero. Basta. Che ci lasci in pace per sempre". Ma questa storia sarà per sempre senza pace».
Giusi Fasano


LA REPUBBLICA
GIUSEPPE CAPORALE
FERRARA - Per lo Stato, Denis Occhi è innocente: non ha ucciso la sua ex moglie. Lui, invece, nonostante l´assoluzione definitiva, continua a professarsi colpevole. L´ultima confessione appena tre giorni fa. Eppure, i giudici della Corte d´Appello di Bologna hanno stabilito - con una sentenza del febbraio scorso passata in giudicato - che non fu il giovane operaio a massacrare Giada Anteghini (27 anni), ritrovata in un letto di sangue la mattina del 25 novembre del 2004, cancellando così la precedente condanna a 20 anni, ottenuta in primo grado.
La Corte d´Appello ha stabilito per Denis l´innocenza definitiva per mancanza di indizi. Le tre confessioni - dallo stesso sempre successivamente smentite - non sono state ritenute attendibili, anche a causa dei suoi problemi psichici. Scarso, poi, il quadro indiziario, quasi del tutto assenti le prove. Mai trovata l´arma usata per uccidere (forse un´accetta o un martello tagliente). Non solo, i Ris sul luogo del delitto non rilevarono sue impronte. Aveva anche un alibi, confermato da un amico. Di valido, c´era solo il movente, la gelosia. Ma non è bastato.
La vicenda, quindi, sembrava definitivamente chiusa, ma ecco l´ultimo colpo di scena. Denis, venerdì mattina, si è presentato alla questura di Ferrara e ha chiesto di poter rilasciare dichiarazioni spontanee per «liberarsi di un peso». Secondo il legale d´ufficio, Giovanni Montalto, che lo ha assistito durante l´ultima deposizione, si è trattato di «una crisi di coscienza». Invece, per chi conosce il suo caso da vicino, si è trattato semplicemente della sua quarta confessione, come conferma l´avvocato Pietro Gabriele, che lo ha difeso davanti alla Corte d´Appello di Bologna. «Ha confessato di nuovo? Non mi sorprende - risponde - non lo sento da qualche mese, ma immagino le difficoltà umane e personali che sta vivendo. un ragazzo difficile, con dei problemi. La confessione per lui è quasi un modo per attirare l´attenzione. Denis è innocente, come è stato dimostrato ampiamente al processo davanti ad una giuria scrupolosa». Lui, Occhi, davanti alle telecamere del Tg5 ieri ha negato tutto: «Non sono andato a confessare proprio niente. Io le volevo bene».
La sua deposizione, in ogni caso, sarà ora acquisita dalla Procura di Ferrara. Resta il fatto che la sentenza che ha scagionato Denis Occhi è definitiva. Inappellabile. Non potrà più essere processato per questo delitto, per il principio del "ne bis in idem" (non due volte per la medesima cosa), affermazione fondamentale del Diritto. Infatti, nel nostro sistema giudiziario la revisione di un processo prevista dal codice di procedura penale, è possibile solo qualora la persona «condannata» (e non assolta) presenti nuove prove per tentare di ottenere un eventuale proscioglimento dal reato per cui è stata punita. Non il contrario.