Anna Zafesova, La Stampa 4/1/2009, pagina 22, 4 gennaio 2009
La Stampa, domenica 4 gennaio 2009 In Italia è «la Gazprom», ma per i russi è inequivocabilmente maschio, non solo per i dettami della grammatica, ma anche per i modi affermativi che ha e per il ruolo che svolge nella Casa Russia, potendo - come un marito all’antica - sbattere il pugno sul tavolo e urlare: «Sono io che vi mantengo»
La Stampa, domenica 4 gennaio 2009 In Italia è «la Gazprom», ma per i russi è inequivocabilmente maschio, non solo per i dettami della grammatica, ma anche per i modi affermativi che ha e per il ruolo che svolge nella Casa Russia, potendo - come un marito all’antica - sbattere il pugno sul tavolo e urlare: «Sono io che vi mantengo». Il consorzio del gas da solo contribuisce a un quarto delle entrate fiscali del Cremlino, ed è responsabile per l’8% del Pil. E’ il contribuente numero uno, l’azienda numero uno (terza al mondo per capitalizzazione prima della crisi, con 348 miliardi di dollari) e il datore di lavoro numero uno: quasi 500 mila dipendenti, un russo ogni 300 riceve la busta paga con stampato sopra il logo della grande G latina che sprigiona una fiammella azzurra. Questo emblema con una sorta di accendino si trova dovunque: lungo i 160 mila chilometri di gasdotti capillari in Europa e Asia, nelle 250 stazioni di pompaggio (la cui collocazione geografica e potenza viene snocciolata da Vladimir Putin a memoria), nei giacimenti di Yamalo-Nenezk, nell’Artico, dove il tratto più caratteristico non sono più le renne degli indigeni, ma i pozzi di metano. Gazprom è tutto: banche, assicurazioni, giornali e tv (è il maggior proprietario di media russi), una compagnia aerea, un grattacielo col tetto di vetro che sembra uno chalet svizzero che domina mezza Mosca, e un altro grattacielo rimasto per ora solo un modellino di gesso, ma che indubbiamente riuscirà a spaccare in due il cielo di Pietroburgo con i suoi 396 metri di altezza previsti, sconfiggendo con la sua verticalità affermativa le resistenze degli intellettuali, degli architetti e dell’Unesco. E poi ci sono alberghi, ospedali, asili, aeroporti, stazioni di villeggiatura per i dipendenti, in una tradizione feudal-sovietica ereditata dal comunismo e ingigantita dai metanodollari. Ha perfino un proprio esercito, con il privilegio di possedere qualunque arma e svolgere «operazioni speciali», formalmente per difendere i gasdotti, accordato da una legge della Duma, a confermare lo status di Compagnia delle Russie, uno Stato dentro lo Stato. Un padre, un po’ padrone, che per i russi ha anche una faccia, quella burbera e granitica di Viktor Cernomyrdin, l’ex ministro sovietico che ha trasformato Gazprom in corporation quotata alla borsa di New York, e che per sei anni è stato primo ministro, inaugurando la tradizione che fa dell’impero della fiammella azzurra una pista di lancio per il Cremlino: tra le prime mosse di Putin neo presidente c’era stata quella di far commissariare il consorzio da un suo fedelissimo, un giovanotto che si chiamava Dmitry Medvedev. Un’oligarchia con una genealogia pulita, niente privatizzazioni oscure, niente progetti politici d’opposizione come i magnati troppo estrosi degli anni ”90. Gazprom era un ministero e tale rimane, non solo perché per legge il 50,01% delle sue azioni resta allo Stato, ma perché nasce come un braccio del potere dell’Urss, l’unico rimasto dopo che le atomiche hanno smesso di essere un argomento valido, e può dire senza imbarazzi «lo Stato sono io». Gli affari non sono mai al primo posto: le direzioni dei nuovi gasdotti vengono tracciate da Putin, e ogni cambiamento del listino prezzi di Gazprom minaccia gli equilibri politici in mezza Europa. Un ruolo imperiale che ha un suo prezzo: i conti di Gazprom sono torbidi e intricati, ma certamente non brillanti, con 40 miliardi di dollari di debito da onorare nei prossimi mesi, mentre la produzione di metano continua a stagnare ormai da diversi anni, e secondo i calcoli di alcuni esperti già nel 2010-2011 non riuscirà a soddisfare nemmeno il fabbisogno nazionale, e dovrà scegliere se tagliare i guadagni all’estero e lasciare al buio le città russe. Ma è difficile che il Cremlino lascerà fallire Gazprom: come scherzano a Mosca, il vero ministero degli Esteri non si trova nel grattacielo staliniano sull’Arbat, ma in quello col tetto di vetro alla periferia sud-ovest di Mosca. Anna Zafesova