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 2009  gennaio 04 Domenica calendario

La Stampa, domenica 4 gennaio 2009 Il posto è sempre lo stesso. C’è la neve sulle betulle e sui castagni, e c’è la neve sui tetti

La Stampa, domenica 4 gennaio 2009 Il posto è sempre lo stesso. C’è la neve sulle betulle e sui castagni, e c’è la neve sui tetti. Hanno chiuso le Poste e hanno chiuso le scuole, in paese, ma sono ancora lì tutte, come se il tempo passato non andasse mai via. Dal primo gennaio, Mary Barale ha chiuso anche il suo ristorante, Al Rododendro. Venivano da lontano per stare qui, venivano da New York, venivano da Londra, venivano principi e scrittori, in questo posto alla fine del mondo, dopo le salite e le curve, dopo tutto questo freddo. Ormai non è più tempo. E’ finita un’epoca. La signora Mary lo aprì un giorno di aprile del 1973, e ancora lo ricorda come se fosse oggi, la fatica fatta e tutti quei sogni, e suo marito Walter che aveva preparato un mucchio di piatti, e la prima volta che aprirono le porte e aspettarono qualcuno. Vennero in 15, tutti i parenti e due amici, un mezzo fiasco: «Avanzammo tanti di quei primi che io e Walter mangiammo per una settimana». Però dopo arrivò il successo, e fu come la salita di quell’Italia che passava dagli anni bui del terrorismo a quelli allegri degli yuppies e del rampantismo, alla convinzione che si potesse avere tutto. Mary ebbe due stelle Michelin, nel 1983, e le difese per 16 anni, e il «New York Times» scriveva di questo posto disegnando una cartina del Piemonte con la mappa di Cuneo e un cerchietto rosso qui sopra. Veniva Edmond de Rubeis dall’America, con il ritaglio del giornale in mano, e non andava più via. Quando apriva il Rododendro, qui a San Giacomo di Boves, in Italia si toglieva la vita il funzionario dell’Italcable Roberto Gironi, indagato per intercettazioni, e il governo tuonava contro gli spionaggi telefonici e fece anche una legge. Cosa c’è di diverso da oggi? A Torino la polizia cominciava a sospettare di Franca Ballerini, una bella signora bionda che aveva perso il marito. I metalmeccanici firmavano l’accordo, e qualcuno sparava al questore di Roma, Angelo Mangano. Nell’insieme, era come adesso guardare qui, questa casa bianca di due piani, con i balconcini affacciati sul cortile e la scritta «Al Rododendro» attaccata al muro, sopra la via, la neve e questo freddo, e i 7 tavoli disposti dentro, nel calore di una cucina, come se ci fosse sempre qualcosa di uguale e di immutato nel tempo: è solo lui, il tempo, che è cambiato. Così, la sera del 31 dicembre la signora Mary ha chiamato tutti i suoi clienti più affezionati e sul menù ha scritto: «Stasera chiude anche la storia del Rododendro, qui a San Giacomo di Boves, iniziata 36 anni fa. Grazie a tutti». Le tasse, la burocrazia, i guadagni che non sono più come prima, e la stanchezza, quella sensazione strana, di un lavoro senza più illusione. Ecco il tempo che è cambiato, dietro le mura bianche, dietro la neve, dietro questi boschi uguali. «Fino al ”92 andava ogni anno meglio, da allora in poi è ogni anno peggio». Adesso la signora Mary ricorda tutta quella fatica lontana, le speranze e i sogni, le gioie e i dolori. L’inizio fu duro, giusto per sopravvivere. La svolta avvenne nel ”79/80, proprio come in Italia, quando il terrorismo cominciò a perdere. Da Mary e Walter arrivò un cliente francese, un cuoco, che li portò a Gap, dove lavorava lui, e poi a Parigi. Il «Rododendro» cambiò così. Loro si innamorarono della cucina francese, la mischiarono a quella locale, e cominciarono subito a venire persone famose. «Nell’81 avemmo già la prima stella Michelin». Da allora fu tutta una salita verso la fama. Nell’83, assieme alle due stelle, una sventura: suo marito Walter Del Marco morì in un incidente stradale. Lei continuò da sola. Ogni tanto ne parlavano i giornali all’estero, e riceveva un invito a New York o a Parigi. «Io non avevo neanche tempo di guardare i personaggi famosi che venivano. Un giorno capitò una signora che mi sembrava di aver già visto in televisione. Si fermò da noi anche a dormire e continuò a mangiare al ristorante facendo un mucchio di complimenti. Era inglese e doveva andare a un matrimonio. Quel giorno chiese a mia figlia Verena di accompagnarla, e allora lei la fece salire sulla sua Clio. Mentre viaggiavano, disse: sai chi sono io? No, disse mia figlia. Sono Sarah Ferguson, rispose, la duchessa di York. Verena la aspettò con la sua Clio per riportarla indietro». Capitò uno scrittore con un ritaglio del «New York Times»: un giornalista era andato a prenderlo a Malpensa e lui gli aveva promesso l’intervista solo se lo portava a mangiare qui. C’è la data dell’articolo, 24 settembre 1989, «quando il lavoro era la nostra fortuna», come dice la signora Mary, adesso, sfogliando i ricordi. Qui dentro, quando aprirono, c’erano i pentolini appesi al muro, i lampadari con le ruote, tanti tavoli piccoli e un pavimento rustico. Oggi c’è la moquette inglese per terra, verde, con disegni bordeaux, come le poltroncine foderate in alcantara. E’ dentro che qualcosa è cambiato, è il cuore che è diverso. Fuori è tutto come prima, qui dove finisce il Piemonte e l’Italia, nella stradina fra i boschi. Mary adesso non ci piange, va bene così, è finita e basta. Però ha tenuto un biglietto. L’aveva scritto un signore arrivato qui arrabbiato nero perché si era perso con tutto questo freddo e tutte queste curve, in questo buco sperduto. Erano due righe soltanto: «Sono arrivato alla fine del mondo. Ma ho trovato la fine del mondo». Pierangelo Sapegno