Pablo Trincia, La Stampa 5/1/2009, pagina 17, 5 gennaio 2009
La Stampa, lunedì 5 gennaio 2009 Le storie più straordinarie spesso nascono quasi per caso, in luoghi e tempi totalmente inaspettati
La Stampa, lunedì 5 gennaio 2009 Le storie più straordinarie spesso nascono quasi per caso, in luoghi e tempi totalmente inaspettati. Questa è cominciata nello scantinato di un college per sole donne in una cittadina del Massachusetts, e continua a ritmo di blues in uno studio di registrazione circondato dalle moschee di Lahore. E’ uno strano destino, quello che lega Zebunnisa Bangash e Haniya Aslam, le due giovani cantanti di cui oggi in tutto il Pakistan si parla con un piacevole miscuglio di curiosità ed euforia. Non esattamente il genere di accoglienza che ci si potrebbe aspettare, per la prima band musicale tutta femminile della storia di un Paese abituato ad apparire nelle cronache internazionali per fatti di ben altra natura: fondamentalismo islamico, leggi tribali misogine, armi atomiche, servizi di intelligence deviati, guerra nel Kashmir, attentati terroristici, regimi militari. Eppure oggi, a spezzare il ritmico lamento dei minareti dai remoti villaggi sul confine afghano alle città del Mare Arabico ci sono proprio loro, le cugine Zeb e Haniya (il loro gruppo musicale porta i loro nomi), nuove regine dell’etere radiofonico pakistano. Chitarra, voci, percussioni e ritmi di ogni provenienza, pescati da un calderone musicale globale decisamente poco conosciuto in patria, dove di solito spadroneggiano i generi tradizionali e le hit bollywoodiane della vicina India. Per non parlare dei testi delle canzoni, cantate con una sensualità a cui la conservatrice audience locale non era affatto abituata. Nessuno a Islamabad e dintorni aveva mai visto due ragazze su un palco recitare le celebri rubayyat del poeta persiano Omar Khayyam, come «Paimana biteh ki khumaar hastam»: «Portami un bicchiere (di vino), perché io possa perdermi». Specie se le ragazze in questione sono di origini Pashtun e provengono dalla North Western Frontier Province, quella regione a due passi dall’Afghanistan meglio conosciuta come nascondiglio di taleban e al-qaedisti che non amano le donne troppo emancipate e fanno saltare in aria i negozi di cd. «Spesso la gente mi chiede quando ho iniziato a cantare», ci racconta Zeb, 30 anni, al telefono dalla sua casa a Lahore. «Per quel che ne so, Haniya ed io lo facciamo da quando siamo nate. Noi Pashtun abbiamo la musica nel sangue e ogni volta che la nostra famiglia si riunisce passiamo intere serate a cantare. Tutti i nostri zii sanno suonare qualche strumento e a volte diamo vita a veri e propri concerti improvvisati». Dopo aver frequentato le scuole in Pakistan, le due cugine sono volate negli Stati Uniti per studiare in un’università per sole donne, la Mount Holyoke. Zeb si è iscritta a economia e storia dell’arte, Haniya a informatica. Ma non hanno mai smesso di cantare. «Un giorno abbiamo registrato una canzone e l’abbiamo caricata sul nostro sito Internet per farla sentire a parenti e amici in Pakistan», racconta Haniya. «Qualcuno l’ha sentita e l’ha mandata a una radio locale, che l’ha subito messa in onda. Da quel momento tutte le altre stazioni radiofoniche hanno cominciato a trasmetterla ed è stato un vero successo. Devo ammettere che non ce lo aspettavamo affatto». Youtube, Facebook e gli altri siti di condivisione hanno fatto il resto, diffondendo la loro musica in tutta l’Asia meridionale e anche tra le comunità di emigrati in Occidente. Motivate dall’inaspettato successo ottenuto grazie a Internet, entrambe sono tornate in patria per tentare la carriera musicale. Il primo album di «Zeb and Haniya», «Chup», è uscito nel luglio del 2008, ricevendo ottime recensioni. Dentro c’è di tutto: dalle tradizionali qawwali (canzoni ispirate ai canti religiosi antichi diversi secoli dei sufi) al Jazz, dal Blues del Mississipi a musiche indiane, dai ritmi mediorientali alla musica folk anni ”70. Il tutto cantato in Urdu, la lingua nazionale del Pakistan, oltre al Pashtun e al Dari, parlati nella loro regione di origine e in Afghanistan. «In Pakistan i generi tradizionali sono molto radicati, non pensavamo che la nostra musica avrebbe avuto un grande successo, ma piuttosto che sarebbe rimasta relegata a un genere di nicchia», spiega Haniya. «Ci piace parlare di temi universali, come l’amore, la nostalgia, il ricordo, il desiderio, la sensualità. Oggi riceviamo per posta elettronica messaggi di ringraziamento e richieste di performance da tutto il Paese e anche dall’estero». Per farsi un’idea della popolarità di «Zeb&Haniya» basta frequentare i forum dei fan del gruppo. «Siete incredibili, fa davvero effetto sentire del Jazz in Urdu», commenta Fazle Rabbi Khan dal Pakistan. «Perché non venite a fare un concerto in Bangladesh?», scrive un certo Farheen. «Come faccio a trovare il vostro album negli Stati Uniti?», chiede Kiran da New York. Certo, Zeb e Haniya non sono state le prime a mescolare musiche tradizionali a ritmi occidentali. Prima di morire nel 1997, uno dei monumenti della musica pakistana, Nusrat Fateh Ali Khan, aveva collaborato con artisti del calibro di Peter Gabriel ed Eddie Vedder dei Pearl Jam. E non sono nemmeno le prime donne ad ottenere riconoscimenti in campo musicale, in un Paese che tra le sue voci femminili più rappresentative annovera celebrità come Noor Jehan, Abida Parveen e Nayyara Noor. Ma il successo di «Zeb and Haniya» come band interamente femminile dimostra quanto la musica spesso riesca a superare ostacoli sociali e pregiudizi. «Non è solo in Pakistan che una musicista donna deve combattere contro la discriminazione», sottolinea Zeb. «Se ci si fa caso, succede anche in Occidente. Oggi una cantante non può trascurare l’elemento della sessualità nelle sue performance se vuole avere successo, mentre la musica spesso viene lasciata quasi in secondo piano. Ma questo non fa parte della nostra storia». di almeno sette morti il primo bilancio di un nuovo attacco kamikaze contro alcune camionette della polizia avvenuto ieri a Dera Ismail Khan, nel nord-ovest del Pakistan. Lo hanno annunciato le forze dell’ordine pachistane, secondo cui almeno cinque vittime sono agenti. Anche la maggior parte dei feriti - ventotto secondo ultime le informazioni - sono componenti delle forze dell’ordine (foto), che stavano indagando su una precedente esplosione più debole vicino al confine con l’Afghanistan mentre sono stati attaccati dal giovanissimo attentatore suicida. Pablo Trincia