Giuseppe Zaccaria, La Stampa 5/1/2009, pagina 5, 5 gennaio 2009
La Stampa, lunedì 5 gennaio 2009 Prima zeloti, poi terroristi e dopo l’attacco di queste ore magari anche forza di guerriglia, almeno agli occhi dei palestinesi
La Stampa, lunedì 5 gennaio 2009 Prima zeloti, poi terroristi e dopo l’attacco di queste ore magari anche forza di guerriglia, almeno agli occhi dei palestinesi. La sanguinosa parabola dei militanti di Hamas, finora è stata questa, storia di un movimento sunnita che come nella migliore tradizione araba mostra un volto duplice, equivoco, e proprio per questo particolarmente esasperato in ogni sua espressione. In Hamas (nato proprio a Gaza ventidue anni fa con l’incoraggiamento di alcuni servizi di informazione occidentali a opera di Ahmed Yassin, Abdel al-Rantissi e Mohamad Taha) l’ala militare è stata sempre pronta a sovrastare la rappresentanza politica, le rare aperture negoziali puntualmente sono riaffondate nella palude dell’isolamento, gli accordi sono crollati producendo stragi e attentati. Anzi si può dire che per il movimento che dalla Striscia spara missili su Israele il classico torbido avvitamento mediorientale si sia riprodotto in forme più accelerate ed esasperate che mai. Israele risponde agli attacchi distruggendo e isolando, fra le macerie aumentano i bisogni dei sopravvissuti, l’estremismo islamico fronteggia questi bisogni e dunque acquista nuovi consensi. Questa in estrema sintesi è la ragione per cui un gruppo che ha sempre suscitato forti diffidenze anche all’interno del mondo arabo, adesso a causa dell’azione militare di Israele sia sul punto di nobilitare il proprio profilo, ripulendolo da scorie ventennali. I manuali informano che Hamas in arabo significa appunto zelo, ma la sigla si può leggere anche come acronimo di «movimento di resistenza islamico». Un po’ meno pubblicizzato è il fatto cui accennavamo prima, cioè che per gli arabi ammassati nel carnaio di Gaza in assenza di ogni altro aiuto questa sigla significa anche scuole, ospedali, istituti religiosi, assegni di sussistenza. Da questo punto di vista la vera crescita del movimento si è verificata negli ultimi due o tre anni. Quando nel 2006 Hamas vinse a sorpresa contro Fatah le elezioni palestinesi nel vicino Oriente la famosa spirale cominciò a prodursi in un altro dei suoi famosi avvitamenti: il mondo sospese ogni aiuto alla Striscia, i terroristi zeloti riuscirono comunque a procurarsi fondi con cui continuare l’assistenza alla popolazione proprio mentre fra i palestinesi si scatenava la guerra civile. Gli analisti affermano che grazie a finanziamenti dell’Iran, di famiglie saudite e di connazionali all’estero il movimento dispone di circa 70 milioni di dollari l’anno che in parte consentono l’acquisto di armi e missili ma per quasi il novanta per cento sarebbero destinati a salute e educazione, cioè al proselitismo. Questo contribuisce a spiegare come la popolarità di Hamas sia cresciuta in maniera esponenziale fra la gente dei territori mentre cala a picco quella di Mahmud Abbas (conosciuto anche come Abu Mazen), presidente di un’Autorità palestinese ritenuta troppo supina alle richieste di Israele. Nella carta costitutiva del movimento, il cosiddetto «Statuto», compaiono affermazioni agghiaccianti, quella fondamentale recita: «Non esiste soluzione alla questione palestinese se non nella ”jihad”» e i paragrafi successivi specificano che «non un solo figlio di Israele può sfuggire alla ”guerra santa", né i civili e neppure i bambini». Poco più sotto si può leggere: «La Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’Islam fino al giorno del giudizio». Un’altro passaggio afferma: «Il Profeta dichiarò: l’ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e li uccideranno e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo». Il popolo ebraico viene indicato come responsabile di tutti mali del mondo, della Rivoluzione francese, del colonialismo, delle due guerre mondiali. Hamas nega del tutto che sia esistito un Olocausto, afferma che le famose farneticazione dei «Protocolli dei savi di Sion» siano autentiche, e se la prende anche con massoneria, Lions Club e Rotary, che «lavorano nell’interesse del sionismo». Per nostra fortuna il movimento nato con i finanziamenti segreti dell’Ovest adesso limita le sue farneticazioni al territorio palestinese e non si occupa di guerre sante fuori dai suoi confini. In questi anni l’indecifrabile movimento non ha esitato di fronte a nulla: attentati su spiagge e autobus, bombe umane (anche numerose donne e alcuni bambini) che si sono fatte saltare nei supermercati mentre alle famiglie di ciascun «martire» andavano 5000 dollari di premio. Gli esperti calcolano che l’ala militare, denominata brigate Izz-al-Din al Qassam disponga di circa 15.000 combattenti anche se a questa cifra andrebbe aggiunto il sostegno di quasi tutta la popolazione della Striscia. Piuttosto, le tattiche usate negli ultimi tempi, il ricorso a gallerie sotterranee per i rifornimenti e l’occultamento dei missili nonché la perizia dimostrata dai militanti sul terreno paiono certificare che i guerriglieri hanno ricevuto un nuovo addestramento sull’esempio degli Hezbollah sciiti del Libano. In vent’anni, un movimento che fu registrato in Israele come costola dei Fratelli Musulmani e inizialmente il governo Begin tollerò, incoraggiò quasi in chiave anti-Fatah (allora a condurre i giochi era ancora Yasser Arafat), è cresciuto e si è «incistato» proprio in quei luoghi che sessant’anni di guerre hanno ridotto sempre più a sentine del mondo. Adesso le organizzazioni islamiche insorgono da tutti gli angoli del globo in difesa di Hamas, nell’intero Occidente si moltiplicano i cortei di protesta, da Beirut risuona perfino l’anatema di Hassan Nasrallah, e gli stragisti rischiano di tramutarsi in campioni dell’Islam. Giuseppe Zaccaria