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 2009  gennaio 05 Lunedì calendario

La Stampa, lunedì 5 gennaio 2009 Sembra di essere tornati ai tempi dell’infinita crisi bellica nella ex Jugoslavia quando l’Onu non sapeva che fare, la Francia appoggiava i serbi, la Germania i croati, l’Italia navigava fra gli uni e gli altri e l’Unione Europea, nel complesso disunita, restava in attesa delle decisioni americane per sintonizzare le proprie bussole discordi sulla bussola maestra di Washington

La Stampa, lunedì 5 gennaio 2009 Sembra di essere tornati ai tempi dell’infinita crisi bellica nella ex Jugoslavia quando l’Onu non sapeva che fare, la Francia appoggiava i serbi, la Germania i croati, l’Italia navigava fra gli uni e gli altri e l’Unione Europea, nel complesso disunita, restava in attesa delle decisioni americane per sintonizzare le proprie bussole discordi sulla bussola maestra di Washington. Oggi, al cospetto di Gaza in fiamme, il Consiglio di sicurezza non riesce a produrre una risoluzione comune sulla guerra in corso, mentre l’Europa, in attesa del verbo di Obama, torna ad esibire lo spettacolo di un’entità sbandata in preda alla schizofrenia. Ancora una volta Francia e Germania si ritrovano su posizioni nettamente contrapposte: il presidente Sarkozy condanna con dura chiarezza l’offensiva terrestre di Israele, riservando in coda qualche critica formale a Hamas, nello stesso momento in cui la cancelliera Merkel ribadisce il diritto degli israeliani di difendersi dallo stillicidio di missili. Peraltro missili non più così artigianali, lanciati da Hamas fino all’antica Beersheva, annidata nel deserto di Negev. Possiamo notare poi una sequela di altri paradossi degni di nota. Il primo è il più impressionante. Sarkozy, fino a pochi giorni fa presidente semestrale europeo, è stato immediatamente smentito dal suo successore ai vertici dell’Ue, il presidente ceco Vaclav Klaus, che per bocca di un portavoce ha voluto definire «difensivo» e non «offensivo» l’attacco israeliano. Si è di nuovo profilata così, come nei giorni delle guerre jugoslave e più ancora della guerra in Iraq, una spaccatura tra le posizioni francesi e quelle di un Paese importante dell’Est filoamericano e, di conseguenza, anche filoisraeliano. Non a caso i giornali parigini, per sminuire il peso della Repubblica ceca alla guida dell’Unione, stanno sottolineando con insinuanti accenti negativi il notorio euroscetticismo di Klaus. Il secondo paradosso è anche il più contraddittorio. In queste ore vediamo due separate missioni europee, una francese guidata da Sarkozy, l’altra dal ceco Karel Schwarzenberg, programmate entrambe a incontrare e discutere con gli stessi interlocutori mediorientali; ma il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouschner, membro della delegazione di Bruxelles e non di Parigi, quale linea è destinato a seguire? Quella del suo presidente Sarkozy, oppure quella del collega e ministro degli Esteri praghese Schwarzenberg? Non s’era ancora vista la diplomazia europea, affidata perlopiù alle parole riluttanti e convenzionali di Javier Solana, irretita in un simile pasticcio di contrapposizioni, diversità di giudizio, proposte disarmoniche, che nell’insieme conferiscono all’orchestra europea uno stridente timbro cacofonico. Il terzo paradosso è costituito dalle oscillazioni amatoriali italiane. Da un lato vediamo il ministro degli Esteri, consapevole degli scenari mutati rispetto all’epoca di Andreotti, indicare la strada giusta puntando il dito sulle pesanti «responsabilità» terroristiche di Hamas; dall’altro lato, però, lo abbiamo visto incespicare, chissà come e perché, nell’annuncio errato e frettoloso che non vi sarebbero state operazioni terrestri da parte israeliana. Non sarebbe stato invece più giusto tacere, poche ore prima dell’attacco, senza sminuire con una previsione infondata la severità di giudizio espressa sulla rottura della tregua e il rilancio missilistico di Hamas? Quanto all’opposizione, impegnata soprattutto a polemizzare con la politica estera del governo, non si capisce bene se essa intenda concedere a Israele il diritto all’autodifesa o suggerirgli il dovere di «dialogare» con chi per principio rifiuta ogni dialogo con l’ebreo satanico. Tutto ciò, proprio nel momento in cui l’Italia, la Francia, la Germania, la Repubblica ceca, l’Europa insomma, avrebbero più che mai bisogno di intervenire con una strategia concorde nella crisi, piena d’insidie, che sta esplodendo a un passo dalle porte di casa. Peccato. Mai come in questo momento s’era intravista, sia pure per qualche attimo, la possibilità di una correzione d’opinione e di linea da parte europea su quella che seguitiamo dal 27 dicembre a chiamare guerra. Ma non è guerra vera, tra Stati sovrani. una drastica e violentissima operazione di gendarmeria di un Paese minacciato di sterminio da una setta che ha giurato di estirparlo dalla faccia della Terra. Finora è sopravvissuta, fra stragi, autobombe, lanci di razzi, aiutata dai servizi siriani e dagli ayatollah iraniani. Non si sa fino a quando l’operazione, che sta provocando troppe vittime e troppo dolore, potrà durare. L’Europa, che con le sue divisioni mostra di non volerlo sapere, forse non potrà fare altro che aspettare il verbo ancora ignoto del prossimo presidente americano. Enzo Bettiza