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 2009  gennaio 04 Domenica calendario

E ora, che fare in questa terra che ha ormai il pallore della morte? I soldati etiopici, dopo due anni, un lungo incubo di imboscate attentati morti, se ne vanno: anche loro hanno fallito, come gli americani, l’Onu e l’Unione africana, nel riportare la pace in Somalia, hanno aggiunto solo nuovo veleno

E ora, che fare in questa terra che ha ormai il pallore della morte? I soldati etiopici, dopo due anni, un lungo incubo di imboscate attentati morti, se ne vanno: anche loro hanno fallito, come gli americani, l’Onu e l’Unione africana, nel riportare la pace in Somalia, hanno aggiunto solo nuovo veleno. Restano, ad affrontare la rivincita e la vendetta degli islamisti che controllano ormai la maggior parte del Paese e sono alle porte della capitale, i demoralizzati e quasi inermi fantaccini della Forza di pace africana. Sono rimasti soli. Aspettano, disperatamente, i rinforzi promessi a novembre, quando il governo di Addis Abeba ha dovuto alzare bandiera bianca e annunciare che rinunciava a questa guerra per procura che gli Stati uniti gli ha affidato. Ma i rinforzi non arriveranno; mancano i soldi per finanziarli, i mezzi per il trasporto. Perché tutti hanno paura di infilare la mano in questo carnaio indomabile, dov’è impossibile ricacciare nella bottiglia il genio del caos. Intanto gli islamisti regolano i conti tra loro, l’ala più estremista è impegnata a eliminare i gruppi più moderati, quelli che si oppongono alla creazione di un nuovo Afghanistan. E il sedicente governo? Dimissionario, ciurmeria disintegrata dalle risse interne e dalla paura, ora che è rimasto senza il sostegno fondamentale delle baionette etiopiche. Disperatamente invoca aiuto per non subire la vendetta dei fondamentalisti che vogliono punirlo per tradimento, per aver cioè invocato «l’invasione» degli odiati etiopici cristiani. La Somalia è all’ennesima svolta di questo suo evo atroce. Questi guerrieri, figli di un’anarchia pastorale che solo il volenteroso colonialismo italiano e poi una dittatura astuta hanno saputo domare, armati ora anche di un fanatismo religioso e con lo stomaco vuoto, hanno inflitto l’ennesima lezione all’Occidente. Hanno dimostrato, ai tempi di «Restore Hope», la superiorità degli interessi elementari del debole sulla velleità del più forte di imporre ovunque un «nuovo ordine internazionale». Poi hanno dimostrato che può ben esistere una nazione senza Stato (ormai da 18 anni); e che le aspirazioni dell’Africa a mettere ordine e pace al suo interno, in mancanza di denaro e volontà politica, sono vuote letargie. Infine, l’impossibilità di far ricorso a volenterosi ascari per lottare contro il terrorismo, senza pagare cioè il terribile dazio di un intervento diretto. E’ una verità bruciante che gli Stati Uniti, sul punto di mutare politica e natura forse del loro interesse per l’Africa delle ricchezze naturali ma anche dei tribalismi e di un islamismo rampante, dovranno meditare. Gli etiopici, cui Bush aveva affidato il compito di gendarme regionale per fare piazza pulita dei Tribunali islamici che avevano cacciato i rapaci «warlords», sono in fuga. Lo ha annunciato Bereket Simon, portavoce del premier Meles Zenawi: « iniziato il nostro ritiro, è un’operazione che richiede tempo». Le prime file di camion cariche di soldati e di masserizie hanno imboccato la strada che porta alle piste verso Nord. Si torna a casa, con un sospiro di sollievo, con migliaia di famiglie che piangono i figli caduti per questo scalcinato e sciagurato imperialismo africano. Inseguiti dalle maledizioni di altre famiglie, quelle dei somali uccisi dalla brutalità del loro «aiuto fraterno». La ritirata dei tremila uomini non ha per ora i segni della rotta, ma i guerriglieri islamici lanciano unghiate feroci. Come quella che venerdì ha ucciso soldati e civili lungo la strada che porta all’aeroporto. Le milizie islamiche attendono, sanno che ormai la partita è vinta. E si preparano alla battaglia successiva, quella per la spartizione del potere. Milizie rivali si battono già con armi pesanti a Guriel, nel centro del Paese. Si affrontano «shebab», insorti estremisti, e le milizie del gruppo moderato «Ahlu Sunna Waj-jamaah». Al Shabaab», le tenacissime talpe dell’al Qaeda somala secondo i semplicistici schemi americani, vuole portare la jihad fino in fondo, contro moderati che accusa di tiepidume religioso. Numerosi dignitari sono già stati eliminati in una pulizia religiosa che prepara lo scenario di un potere senza pietà. Sono proprio questi tiepidi, che hanno lottato contro gli etiopici per orgoglio nazionalista ma non vogliono la sharia, l’unica speranza ormai per la diplomazia internazionale. Perché i 2500 soldati ugandesi burundesi e nigeriani che, secondo piani ottimistici, dovevano sostituire gli etiopici e rinforzare il contingente di pace, esistono solo sulla carta. Il governo filooccidentale (o collaborazionista, secondo i punti di vista) è al si salvi chi può. Il presidente Abdullahi Yusuf, per cui Europa e Stati Uniti hanno perso denaro e credibilità, si è dimesso. Per favorire, ha annunciato, la nascita di un governo di unità nazionale che possa aprire trattative di pace. O per sfuggire al castigo.