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 2009  gennaio 04 Domenica calendario

Come si definirebbe, Elisabetta Sgarbi, un manager editoriale, una regista, un’organizzatrice culturale, una scopritrice di talenti? «Non mi definirei

Come si definirebbe, Elisabetta Sgarbi, un manager editoriale, una regista, un’organizzatrice culturale, una scopritrice di talenti? «Non mi definirei. La mania della definizione è un portato dei nostri tempi. Un frutto della burocratizzazione del mondo. Sono un manager editoriale, un’organizzatrice culturale (in realtà amo di più la locuzione ”direttore artistico”), una regista, e, una scopritrice di talenti. Soprattutto sono tutte queste cose e non ne sono nessuna di queste pienamente o separatamente». Come vanno le cose nel mondo editoriale? Si legge di più o di meno da quando ha cominciato? «Direi che non si legge di meno o di più. Si legge peggio. E’ innegabile un televisizzazione (mi passi questa parola) del gusto. In letteratura come al cinema. L’editoria non può astrarsi da questi processi ma, a volte, può rimanerne vittima. Fortunatamente, l’arte, e i libri in particolare, hanno le loro risorse, i loro autonomi scatti, capaci di portare verso altre direzioni. In fondo questa è la fede di ogni editore». Cosa si legge di più? Narrativa italiana o straniera? «In termini numerici è un indice variabile. Dipende dal bestseller o dai bestseller dell’anno. Nonostante l’exploit di Giordano, forse direi narrativa straniera, grazie a Stephenie Meyer, a Paulo Coelho, Paolini». Si dice che sia molto vicina ai suoi autori? Ogni tanto le capita di litigare? Nel mio ufficio, come nell’Inferno di Dante, campeggia un cartello ”Odio gli Autori” (con la A maiuscola). Fa parte del lavoro editoriale puro. E’ questione di passione. Ma non mi chieda nomi, ogni autore è, in quanto autore della casa editrice Bompiani, incluso in quella ”dichiarazione d’amore”». Come decide di pubblicare un libro? «Non credo alle formule. C’è un istinto, un intuito che, tuttavia, nasce da una consuetudine. Scatta una decisione, prima di formulazioni teoriche come il potenziale di vendita, o la notorietà dell’autore, eccetera. Questi sono tutti fattori necessari ma non sufficienti». Prevede un anno di crisi per la lettura? «Do una risposta provocatoria: la crisi a venire (che, mi auguro, spero non ci sarà) farà bene al libro. Quale bene costa meno di un libro e moltiplica la vita come sa fare un romanzo?». Lei durante le vacanze lavora ai suoi film. E va a girare molte volte tra chiese e Sacromonti. Ha appena mostrato il suo ultimo film a Ferrara ad un pubblico d’eccezione Umberto Eco, Franco Battiato, Lucio Dalla. Sono tutti suoi autori compreso Giovanni Reale. Qual è il suo segreto? «La parola vacanza ha una inquietante etimologia che la rende parente del vuoto. Io amo rendere quello spazio vuoto uno spazio pieno e dedicarmi a una mia passione. In questa passione faccio convergere, a volte, anche il mio lavoro. Cosicché, agli autori che più stimo chiedo un supplemento di lavoro. Non tanto per me, quanto per una idea. L’idea che si possa lavorare insieme per uno scopo. Così è accaduto per il Sacro Monte di Varallo. La Fondazione Crt e il Comune di Varallo hanno finanziato un progetto cinematografico per la valorizzazione del Sacro Monte di Varallo, un capolavoro assoluto, per lo più ignoto al grande pubblico». Milano è la città dove lavora in casa editrice e dove ha inventato la Milanesiana che ogni anno a luglio ha grande successo al Teatro Dal Verme. Come fa? Lei ha una grande passione per la cultura, ma non basta. «La Milanesiana è un’altra faccia di queste ”convergenze parallele”. Cose separate che si incontrano sempre». Con suo fratello Vittorio divide la passione per l’arte e per il moto perpetuo alla ricerca del bello: i suoi genitori la sostengono? «Molto e sono persone eccezionali». Da dove viene tutto questo fermento? «Direi che in famiglia siamo in quattro e siamo quattro fermenti che si sommano. Ognuno è molto autonomo ma l’energia che si crea, certo, è molta. E’ quello che diceva Carmelo Bene della mia famiglia, nella sua autobiografia». Chi sono gli artisti più affascinanti che ha conosciuto nella sua vita? «Molti di quelli con cui ho lavorato e lavoro». Che Paese le sembra l’Italia di oggi? «Non guardo così lontano». I premi letterari valgono? Sono utili? Servono a far vendere i libri? «Ci sono premi e premi. A qualcosa servono, mi sembra di poter dire da editore». Ma secondo lei gli italiani leggono troppo poco? «Sì. Ma qui ho un conflitto di interessi». Il suo libro, il suo film, il suo artista preferiti? «”L’ipocrita felice”, di Max Beerbohm, il libro; ”Lettera a una sconosciuta” di Max Ophüls, il film; il pittore Gianfranco Ferroni». Dai suoi film si direbbe che lei è una donna spirituale, religiosa, è così? «Tentativi di assalti al divino. ”Coplas a lo divino”, come direbbe San Giovanni della Croce».