Enrico Franceschini, la Repubblica 4/1/2009, 4 gennaio 2009
LONDRA
la regina Elisabetta continua a sorridere, appena un accenno di sorriso in verità, simile a quello della Gioconda, sulle banconote da cinque, dieci, venti e cinquanta sterline. Ma i suoi sudditi che avevano prenotato le vacanze di fine anno in Europa, a sciare sulle Alpi, in visita a Parigi, Roma o Berlino, hanno fatto una smorfia di incredulità e disappunto al momento di cambiare la divisa britannica in euro. Accelerando un progressivo declino che durava da due-tre anni, la loro valuta nazionale sta precipitando, tirata giù dalla crisi finanziaria ed economica che ha colpito la Gran Bretagna più duramente del resto del continente: la sterlina, che valeva un euro e quaranta nel 2003 e al tasso praticato ai turisti era spesso cambiata a un euro e mezzo, è ora scambiata alla pari con l´euro e gli specialisti prevedono che potrebbe scendere ancora più in basso.
Abituati per anni a potersi permettere le ferie in Europa con estrema disinvoltura, adesso i cittadini del Regno Unito devono pensarci due volte e fare bene i conti; mentre, capovolgendo la situazione, vedono sbarcare a Londra valanghe di stranieri, per i quali è diventata all´improvviso una meta economica. Così, per la prima volta da quando è sorta l´euro-zona, in questo Paese si sentono voci favorevoli all´adozione della moneta comune europea. Simbolo dell´orgogliosa diversità britannica, icona dell´euroscetticismo, la sterlina potrebbe essersi avviata sul viale del tramonto.
beninteso, ci vorrà tempo prima che ciò accada; e forse da solo lo scorrere del tempo non basterà, saranno necessari anche altri traumi economici, più pesanti di quelli che la Gran Bretagna ha sofferto finora. Però il clima è cambiato. Quando Tony Blair diventò primo ministro, nel 1997, uno dei suoi obiettivi principali era «portare la Gran Bretagna in Europa»: cioè fare di questo Paese, ancora scioccato dalla perdita dell´impero e dello status di superpotenza, un membro a pieno titolo dell´Unione Europea. Era venuto il momento di ribaltare, credeva Blair, il vecchio atteggiamento riassunto dalla nota barzelletta: «Nebbia sulla Manica, il continente isolato». Era Londra a rischiare di sentirsi isolata, secondo Blair, se non si univa completamente all´Europa, magari con l´ambizione di diventarne leader. Circolava uno scenario, in quegli anni, nelle diplomazie continentali: il Regno Unito avrebbe adottato l´euro; e il loro premier, il più filo-europeo che questo paese abbia mai avuto, sarebbe diventato prima o poi presidente degli Stati Uniti d´Europa. Il Clinton europeo. Ma Blair ha dovuto rinunciare al progetto. Non ebbe il coraggio di indire un referendum sull´euro nel suo primo mandato, quando forse avrebbe potuto vincerlo sulle ali dell´entusiasmo che riscuoteva in patria; poi nel 2003 le polemiche sulla guerra in Iraq hanno rapidamente consumato il suo capitale politico, e a quel punto non lo avrebbe seguito più nessuno.
Del resto il boom economico degli anni del blairismo, quando la Gran Bretagna venne ribattezzata «Cool Britannia», ovvero una Britannia fresca, nuova, trendy, vincente, diventava il primo ostacolo a ogni passo verso l´euro. La prodigiosa crescita economica del Regno Unito, sospinta dal polmone finanziario della City, contrastava con il lento, burocratico cammino delle economie continentali. Se e quando l´Europa marcerà al passo economico della Gran Bretagna, si diceva, Londra valuterà eventualmente il suo ingresso nell´euro-zona: prima, non se ne parla. Il primo a raffreddare gli entusiasmi di Blair per l´euro, oltretutto, era il suo ministro delle Finanze e "vice" impaziente di prendergli il posto, Gordon Brown, che stabilì cinque criteri per l´adozione della moneta europea: condizioni al momento irrealizzabili, che chiudevano il discorso.
Quel che sembrava impossibile da una posizione di estrema forza, tuttavia, appare ora perlomeno ammissibile da una posizione di debolezza. Più dipendente dai servizi finanziari rispetto al continente, meno sorretta da un´industria manifatturiera, la Gran Bretagna appare oggi perfino più esposta alla recessione globale di quanto sia il resto d´Europa. Il pesante indebitamento deciso da Brown, ora finalmente premier, per uscire dalla crisi, ha contribuito a sua volta al declino della sterlina. E l´esempio dei disastri subiti da altri Paesi europei che sono fuori dall´euro, come l´Islanda o l´Ungheria, ha risollevato anche a Londra la tesi di un´adesione alla valuta europea.
«Restare fuori dall´euro vuol dire che la Gran Bretagna sarà esclusa in pratica da più profonde consultazioni economiche, in aree di significativo interesse nazionale», ha concordato un dibattito tra esperti alla prestigiosa Chatam House. «Non abbiamo mai avuto tanto bisogno di far parte dell´Europa come ora di fronte a questa crisi mondiale», si è schierato senza mezzi termini il quotidiano Independent. Più chiaro di tutti ha parlato José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea: «La Gran Bretagna è più vicina che mai all´adesione all´euro», ha dichiarato in una conferenza stampa. «La recessione ha indebolito la fiducia nella sterlina. So che la maggioranza dell´opinione pubblica britannica resta contraria a entrare nell´euro-zona, ma è cominciato un periodo di considerazione di una simile prospettiva e le persone che contano, a Londra, ci stanno pensando seriamente».
Parole che, sulle rive del Tamigi, hanno scatenato il finimondo, oltre che una smentita da parte di Downing Street: «La sterlina continuerà a esistere, quest´anno, l´anno prossimo e quello dopo», ha detto Gordon Brown in tivù. Ma il ministro per le Attività produttive, Peter Mandelson, dalle indiscrezioni indicato come una delle «persone che contano» a cui allude Barroso, ha confermato esplicitamente le rivelazioni del presidente della Commissione Europea: «Rimango dell´idea che il nostro obiettivo debba essere l´adesione alla moneta unica europea». I tabloid popolari e il partito conservatore sparano a zero, accusando l´uomo soprannominato «il principe delle tenebre» di tessere un complotto per imporre l´euro alla Gran Bretagna con una specie di golpe. Mandelson, pur essendo il più eurofilo dei politici britannici, non prepara certo nulla del genere. Ma l´ex-braccio destro di Blair è ora anche il braccio destro di Brown, per venire in soccorso del quale ha abbandonato anzitempo il posto di commissario europeo al Commercio.
Insomma, non accadrà in un anno elettorale (il voto è previsto nel 2009 o nel 2010) e molto dipende da come la Gran Bretagna uscirà dalla crisi, ma l´impensabile comincia perlomeno a diventare possibile. Forse un giorno il Regno Unito entrerà davvero in Europa. Forse la nebbia sulla Manica non isolerà per sempre il continente. Chissà se la regina Elisabetta, prima di lasciare il trono, smetterà di sorridere sulle banconote dei suoi sudditi.