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 2009  gennaio 08 Giovedì calendario

GIOVANNI PORZIO PER PANORAMA 8 GENNAIO 2009

Intervista a Saakashvili, il presidente nel labirinto caucasico. «Non avevo scelta»: il capo dello stato georgiano spiega così l’attacco all’Ossezia. Ora conta sull’appoggio di Obama. Ma deve fare i conti con la crisi economica e la nuova opposizione.
Sui tetti delle case bombardate sono in agguato i cecchini. E una muraglia di sacchi di sabbia e blocchi di cemento sbarra il passaggio: meno di 200 metri separano il check-point georgiano dalla postazione su cui sventolano le bandiere di Mosca e dei secessionisti osseti. La nuova cortina di ferro passa qui, alla periferia di Tskhinvali, capoluogo dell’Ossezia del Sud. Da una parte il paese natale di Stalin, convertito nel 2003 nel più fedele alleato di Washing ton sul Mar Nero, che aspira a entrare nella Nato. Dall’altra l’ex impero sovietico, deciso a mantenere anche con le armi la propria sfera d’influenza nel Caucaso. La tensione in agosto è sfociata in un conflitto breve quanto devastante: alle provocazioni dei separatisti filorussi di Abkhazia e Ossezia la Georgia ha reagito con un avventato e disastroso blitz militare. In cinque giorni le armate del Cremlino hanno sbaragliato le forze georgiane. Solo le pressioni occidentali hanno convinto Mosca a ripiegare. Ma il presidente georgiano Mikheil Saakashvili, che di fronte al parlamento ha ammesso di avere attaccato l’Ossezia, ribadisce a Panorama di avere agito per difendere la sicurezza e l’integrità territoriale della nazione: « stata una decisione difficile, ma non avevamo scelta. La Russia ammassava truppe alle nostre frontiere. I separatisti attaccavano i villaggi georgiani. I caccia del Cremlino sorvolavano il nostro territorio. Nessun governo occidentale l’avrebbe tollerato». Laureato in legge a Kiev, studi alla George Washington University e alla Columbia di New York, carismatico e ardente nazionalista, «Misha» Saakashvili accusa Mosca di voler bloccare lo sviluppo della democrazia: «Il nostro sistema politico e i nostri rapporti con l’Occidente sono di esempio per le repubbliche dell’ex Urss e sono una minaccia per le ambizioni egemoniche del Cremlino». Gran parte dell’opinione pubblica, orientata dalla propaganda dei controllatissimi mass media, continua ad appoggiare il presidente. Però i contraccolpi della disfatta di agosto cominciano a farsi sentire, sul piano economico e politico. La crescita del pil, complice la crisi finanziaria internazionale, è prevista in forte calo: dal 12 al 3 per cento; il tasso di disoccupazione supera il 15 per cento; gli investimenti esteri hanno subito un brusco rallentamento, mentre almeno 4 miliardi di dollari dovranno essere spesi per riabilitare le infrastrutture. Gli avversari di Saakashvili rialzano la testa. L’ex premier Nino Burjanadze, protagonista con Misha della Rivoluzione delle rose, ha fondato un partito e chiede nuove elezioni: «La guerra poteva essere evitata» afferma. «In qualsiasi paese civile il responsabile di un simile disastro si sarebbe dimesso». I leader degli altri movimenti di opposizione hanno sottoscritto un patto d’azione. E il brillante ambasciatore all’Onu Irakli Alasania si è dimesso dall’incarico per tornare in patria e sfidare il presidente. Il quale però si rifiuta di riaprire le urne. «Non siamo una repubblica delle banane» dice. «Non possiamo andare al voto ogni volta che l’opposizione lo pretende, sprecando il denaro pubblico che dobbiamo usare per affrontare l’emergenza. Le chiavi della sopravvivenza della Georgia sono successo economico e integrazione nel sistema occidentale». Tbilisi gode di ampie facilitazioni: niente Iva sull’export, esenzioni discali sull’import e un trattato di libero scambio già in vigore con Turchia e paesi della Csi che sarà esteso agli Usa. Sono agevolazioni dettate dal peso strategico del piccolo paese caucasico. Dalla Georgia passano le pipeline dal Caspio al Mediterraneo: rotte alternative alla rete distributiva russa. La guerra ha congelato gli investimenti per il progetto Nabucco, gasdotto da 30 miliardi di metri cubi l’anno (« evidente» sostiene Saakashvili «che l’obiettivo di Mosca è controllare l’unico corridoio energetico non russo tra l’Europa e l’Asia centrale»). E ha compromesso le possibilità di un’intesa con il Cremlino sulle enclave secessioniste. Nei giorni scorsi, il nono rimpasto di governo in cinque anni ha catapultato al ministero degli Esteri Grigol Vashadze, diplomatico di carriera che ha anche la nazionalità russa, è sposato con l’ex prima ballerina del Bolshoi Nina Ananiashvili e vanta solide amicizie a Mosca. «Chiediamo alla Ue e all’Italia» dice «di fare da ponte tra noi e Mosca per una soluzione pacifica della crisi». Finora il solo canale aperto è quello ecclesiastico. Il capo della Chiesa georgiana Ilia II, a Mosca per i funerali del patriarca Alessio II, è stato ricevuto dal presidente Dmitrij Medvedev. E il 19 dicembre il nunzio apostolico Claudio Gugerotti si è recato in Abkhazia, unico tra gli ambasciatori accreditati a Tbilisi, per incontrare i dirigenti secessionisti. «Le posizioni restano rigide» spiega. «Stiamo lavorando per la ripresa del dialogo». A Tbilisi, dove una strada è dedicata a George W. Bush, si attendono progressi dopo l’insediamento di Barack Obama, «con il quale» sostiene Saakashvili «abbiamo già ottimi rapporti». Intanto sono gli osservatori Ue al comando del capitano di fregata Lorenzo Tavella a controllare il rispetto del cessate il fuoco dal Mar Nero al posto di blocco fortificato del ponte di Rukhi, fino al «triangolo sporco» di Pakulani, oltre il fiume Inguri, nella terra di nessuno dove resiste la minoranza georgiana. In tutto 70 uomini disarmati, di cui 35 italiani. A loro tocca monitorare gli spostamenti dell’orso russo sul gelido confine dell’Abkhazia.