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 2009  gennaio 08 Giovedì calendario

GIOVANNI PORZIO PER PANORAMA 8 GENNAIO 2009

Il pugno di Davide come nei Sei giorni. Un’offensiva della portata di quella lanciata da Israele contro Gaza non si vedeva dal 1967. Obiettivo: dimostrare che lo stato ebraico ha sempre la forza per colpire i suoi nemici. Il dubbio circolava dopo la disastrosa campagna nel Libano del 2006. I laburisti e il partito Kadima sperano in un successo prima delle elezioni, Hamas minaccia la nuova intifada. E per Barack Obama sarà la prima prova internazionale appena arrivato alla Casa Bianca.
L’attacco israeliano contro Hamas era nell’aria da tempo. Il ministro della Difesa Ehud Barak l’aveva pianificato nei minimi dettagli fin dalla scorsa primavera. E quando è scattato, alle 11.30 di sabato 27 dicembre, si è sviluppato con una potenza di fuoco devastante. Almeno 60 cacciabombardieri F-16 hanno investito la Striscia di Gaza colpendo caserme della polizia, edifici pubblici, ministeri, basi militari. Ma anche quartieri civili, campi profughi, carceri, moschee, l’università islamica e il porto della città, causando, oltre ai danni, la morte di centinaia di palestinesi. Era dalla guerra dei Sei giorni, nel 1967, che Israele non scatenava un’offensiva di simili proporzioni. Con quali obiettivi? Ufficialmente l’operazione denominata Piombo fuso è la risposta al ripetuto lancio dei razzi Qassam sulle cittadine israeliane del Negev. Che si è intensificato dopo la fine della «hudna», la tregua in vigore per sei mesi, che Hamas ha dichiarato scaduta il 18 dicembre scorso. I razzi artigianali in dieci anni hanno causato una dozzina di vittime, ma rappresentano una costante minaccia per gli abitanti di Sderot, Netivot, Ashqalon e Ashdod. «Israele ha perso la pazienza» è il secco commento di Shlomo Brom, ex generale dell’esercito ora ricercatore all’Institute for national security studies di Tel Aviv. «C’erano numerose pressioni sul governo affinché dimostrasse che è ancora in grado di proteggere il suo popolo. Ma questa operazione serve soprattutto a riaffermare la capacità di deterrenza del nostro paese». Israele intende, insomma, impartire «una lezione ad Hamas» minando la sua capacità militare. Tuttavia, è difficile che i raid dell’aviazione e le incursioni dei reparti blindati riescano a fermare gli artificieri di Hamas e della Jihad islamica. Nessuno in Israele auspica una rioccupazione permanente della Striscia. al contrario prevedibile che l’attacco israeliano inneschi una nuova spirale di violenza e di attentati suicidi. Da Damasco il leader di Hamas, Khaled Meshaal, ha esortato i palestinesi a lanciare una terza intifada. diffusa l’opinione che l’offensiva sia legata anche a considerazioni di politica interna. Le elezioni in Israele sono fissate per il 10 febbraio e i sondaggi danno come favorito l’intransigente leader del Likud, Benjamin Netanyahu. Con il via libera all’operazione Piombo fuso i suoi principali avversari, il laburista Barak e il ministro degli Esteri Tzipi Livni, candidata di Kadima, il partito fondato da Ariel Sharon, hanno ridotto lo svantaggio guadagnando consensi nell’elettorato di destra. «L’uomo che fino a ieri doveva ricordare agli elettori israeliani di essere ancora vivo attraverso manifesti e partecipazioni a show satirici è tornato con forza. In caso di fallimento la colpa sarà tutta sua. In caso di di successo nessuno sarà in grado di portarglielo via» ha scritto riguardo a Barak il quotidiano israeliano Ha’aretz. Un calcolo non esente da rischi, tuttavia: «L’esito devastante della guerra in Libano nel 2006 brucia ancora e per questo motivo le autorità stanno preparando gli israeliani all’eventualità che l’assedio di Gaza duri a lungo. Meglio evitare le illusioni che hanno preceduto la campagna contro Hezbollah di due anni e mezzo fa» avverte Brom.Un primo risultato è stato comunque conseguito: esasperare le profonde divergenze che dividono i palestinesi. Il presidente dell’Anp Abu Mazen, accusato di tradimento, è sempre più in difficoltà e le elezioni previste alla scadenza del suo mandato, il 9 gennaio, sono state rinviate sine die, assieme alle prospettive di una riconciliazione tra Al Fatah e la dirigenza islamista di Gaza. Un ridimensionamento di Hamas, al di là delle rituali attestazioni di solidarietà araba, è inoltre visto con favore in molte capitali del Medio Oriente. Al Cairo come a Riad la saldatura politica e militare fra gli integralisti sunniti di Hamas e gli sciiti dell’Hezbollah libanese e dell’Iran di Mahmoud Ahmadinejad è fonte di crescente apprensione. Attraverso gli oltre 600 tunnel scavati dai palestinesi della Striscia lungo il Philadelphia corridor di Rafah, sul confine egiziano evacuato dagli israeliani nell’estate 2005, i miliziani di Hamas e della Jihad si riforniscono di esplosivi, lanciarazzi, granate, Kalashnikov e mine anticarro. Infatti le gallerie sono state fra i primi obiettivi bombardati dall’aviazione israeliana. Ma i tunnel sono anche l’unico canale commerciale rimasto aperto dopo l’embargo economico imposto nel giugno 2007. Garantiscono la sopravvivenza del milione e mezzo di palestinesi intrappolati nella Striscia, che con il contrabbando riescono a procurarsi cibo, indumenti, carburante, fertilizzanti per l’agricoltura, detersivi, medicinali«La Striscia è una prigione a cielo aperto» dice a Panorama il portavoce di Hamas Fawzi Barhoum. «Non siamo noi ad avere rotto la tregua. Israele che non l’ha mai rispettata». Secondo lo scrittore israeliano Amos Oz, invece, gli estremisti del braccio armato di Hamas avrebbero cinicamente provocato la sanguinosa rappresaglia di Tsahal con l’obiettivo di suscitare lo sdegno dell’opinione pubblica mondiale e di conquistare il sostegno dei palestinesi della Cisgiordania.Ma neppure Israele è esente da responsabilità. La chiusura dei valichi anche durante la «hudna», che ha spesso impedito il passaggio perfino dei camion con gli aiuti umanitari dell’Onu, ha strangolato la disastrata economia della Striscia. Nel fazzoletto di 45 chilometri per 10 il tasso di disoccupazione supera il 60 per cento, il reddito pro capite è un quindicesimo di quello israeliano, il costo della vita è quadruplicato e un abitante su due vive al di sotto della soglia della povertà. Una forma di punizione collettiva che non ha raggiunto lo scopo dichiarato di minare le basi del potere di Hamas. Il movimento religioso fondato dallo sceicco Ahmed Yassin, ucciso nel 2004 da un missile israeliano, ha fatto piazza pulita delle temute e corrotte milizie di Al Fatah sostituendo all’anarchia il rigido rispetto della legge islamica. E grazie ai generosi contributi delle associazioni benefiche musulmane e degli ayatollah iraniani ha tessuto, sulla falsariga dell’Hezbollah nel Libano meridionale, una rete di protezione sociale e un network di propaganda forieri di consensi politici: dagli asili nido agli assegni per le vedove e per le famiglie dei martiri, dagli orfanotrofi alle scuole gratuite per gli indigenti, dai siti web ai programmi televisivi antiisraeliani dedicati ai bambini. Riuscirà Israele a spezzarla?