Gaia Piccardi, Corriere della Sera 3/1/2009, 3 gennaio 2009
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
DUBAI – Certi momenti, nel calcio e nella vita, hanno bisogno di un calore supplementare, che non è quello del deserto del Dubai.
Katia Ancelotti, 24 anni, in viaggio con papà negli Emirati, è troppo spiritosa per prendersela se le si dice che sembra Carlo con la parrucca, però mooolto più carina. «Da lui ho preso l’emotività e la sensibilità. Per resistere trent’anni nel calcio ha dovuto indossare una maschera: appare impassibile anche quando dentro è un vulcano in eruzione. Somigliargli è un complimento: da ragazzo era un gran figo! Se penso che oggi i calciatori sono tutti belli, tutti sex symbol, mi viene da ridere...».
La signorina Milan ha verve e carattere («L’impulsività è di mamma, donna fortissima»), ha anche una voce discreta che avevamo imparato a conoscere nel 2003 nella terza edizione di Amici («Un’esperienza che mi ha insegnato la consapevolezza dei miei pregi e dei miei limiti, e a non prendermi troppo sul serio») prima di rifiutare un contratto con lo show della domenica di Canale 5 («Il canto è una passione però non diventerà mai il mio lavoro ») e decidere di iscriversi a Scienze della comunicazione. Laurea a marzo, tesi sui rapporti di Milan e Chelsea con i media.
Stage a Stamford Bridge, alla tv di Abramovich: «Loro sono più interessati al gossip, noi alle storie. Però per gli inglesi il match finisce al 90’, in Italia mai: io vedo papà sempre sotto pressione e, se perde, è il dramma». La solita raccomandata... «Guarda, ai tempi di Amici era la cosa che mi feriva di più: lei canta perché è la figlia di Ancelotti. La verità è che in tv e al Chelsea mi sono messa in gioco io. E Scolari, umano com’è, mi ha fatto sentire quasi a casa». Cudicini le ha detto: salutami il babbo.
Routine per chi è cresciuta tra Parma, Roma e Milano sfogliando, live, l’album Panini del calcio degli anni 70, 80 e 90 («Ma sono troppo giovane per ricordare in azione papà, allora ogni tanto vado a rivedermi il suo gol al Real su You Tube»), la vera emozione sono i dischi di Mina, i salti di ottava di Mia Martini e il concerto della Pausini a San Siro, «la prima donna al Meazza, mitica ».
In culla, davanti al bivio, ha scelto col cuore: «Nella mia posizione, con mio fratello Davide, il calcio o lo ami o lo odi. Siamo cresciuti masticandolo, la sera se papà aveva vinto era una festa, a tavola con mamma l’abbiamo stuzzicato mille volte: se avessi schierato quello, se avessi sostituito quell’altro...».
Carletto, serafico, il sopracciglio orizzontale («Ma s’inarca in automatico di fronte a certe domande: ormai vive di vita propria!»), masticava il culatello di Felegara ascoltando le sue donne: «E basta con questa storia che è grasso! Oscilla. lo stress che lo gonfia: a settembre è un figurino, poi ricomincia il campionato... ». Il momento più felice? «Atene, più di Manchester». Il più nero? «Perugia, dopo il diluvio, più di Istanbul. Lo aspettavo sul pullman: siamo scoppiati a piangere. Mi fa soffrire che la curva della Juve gli gridi ancora maiale dopo anni».
superstizioso? «Ha i suoi amu-leti, ma che portasse in panchina l’immagine di Padre Pio l’ho scoperto grazie alla Gialappas». Katia, cosa non abbiamo capito, fino a oggi, di Carlo? «Che è un uomo forte e determinato, il leader di un gruppo. In Lippi, Capello o Mourinho il carattere è visibile, perché sono allenatori più mediatici. Papà no. Vorrei che pensasse un po’ più a se stesso, che si mettesse meno da parte, che mollasse tutto e andasse un mese alle Maldive. E lo vorrei più sereno. Lui, noi, tutta la nostra famiglia». C’è un tepore fantastico, caldo come un abbraccio, oggi, a Dubai.
Gaia Piccardi