Margherita Hack, Corriere della Sera 3/1/2009, 3 gennaio 2009
Sono passati quattro secoli da quel 1609 in cui Galileo, saputo da alcuni viaggiatori dell’invenzione da parte di un olandese di un marchingegno che faceva vedere vicine le cose lontane, si costruì, per tentativi, un cannocchiale e lo rivolse al cielo
Sono passati quattro secoli da quel 1609 in cui Galileo, saputo da alcuni viaggiatori dell’invenzione da parte di un olandese di un marchingegno che faceva vedere vicine le cose lontane, si costruì, per tentativi, un cannocchiale e lo rivolse al cielo. Fino ad allora l’uomo aveva osservato il cielo ad occhio nudo. Sono passati quattro secoli ma nell’immaginario della maggior parte della gente l’astronomo è rimasto quello che la notte guarda le stelle. E’ frequentissima la domanda che mi sento rivolgere: «Ha guardato le stelle stanotte? Che cosa ha visto?» Bene, se ancora oggi ci limitassimo a guardare le stelle, sia pure con telescopi più grandi e sofisticati del cannocchiale galileiano ne vedremmo di più, di più deboli e più lontane , ma la nostra conoscenza sulla loro natura non farebbe un passo avanti. Oggi le osservazioni da terra e dallo spazio ci mostrano l’aspetto del-l’universo osservabile tramite tutte le radiazioni dello spettro elettromagnetico: accanto all’universo «visibile » tramite la luce, cioè quella piccola parte dello spettro elettromagnetico a cui è sensibile il nostro occhio e che produce la sensazione dei colori, con osciamo l’aspetto fornito dalle onde radio, dalle radiazioni di altissima energia (raggi gamma e raggi X) dal cielo ultravioletto e il cielo infrarosso. Poiché tutte viaggiano alla velocità della luce nel vuoto (300mila km/sec) ne segue che più lontano guardiamo nello spazio più indietro vediamo nel tempo. La galassia più lontana osservata dal telescopio spaziale Hubble si trova a 13 miliardi di anniluce, (un annoluce è lo spazio percorso dalla luce in un anno, pari a circa 9.500 miliardi di km) e quindi noi la ammiriamo com’era 13 miliardi di anni fa. Possiamo dunque vedere direttamente quali erano le caratteristiche dell’universo a varie epoche indietro nel tempo, ricostruirne perciò l’evoluzione. Le osservazioni fatte da Edwin Hubble e collaboratori fra il 1920 e il 1930 hanno stabilito che lo spazio in cui sono immerse le galassie si sta espandendo e l’espansione sarebbe cominciata fra 13,7 e 13,6 miliardi di anni fa. Non sappiamo se l’inizio dell’espansione sia stato anche l’inizio dell’universo o solo l’effetto di una liberazione di energia che ha causato un cambiamento di condizioni fisiche, trasformando la materia da zuppa di particelle elementari nell’universo composto di ammassi di galassie, di galassie e di stelle che osserviamo oggi. Non sappiamo se l’universo sia finito o infinito nel tempo e nello spazio. Non sappiamo se ciò che chiamiamo universo e che possiamo osservare sia tutto ciò che esiste, o se esistano altri universi, magari governati da leggi fisiche diverse da quelle che conosciamo. Sono domande a cui la fisica non può rispondere e rientrano piuttosto nel campo della metafisica. Questo nostro universo, di cui conosciamo abbastanza bene età, evoluzione, struttura gerarchica (ammassi di galassie, galassie, stelle) composizione chimica (70% della materia osservabile è idrogeno, 27% elio e tutti gli altri elementi ammontano solo al 3%) , struttura geometrica (è un universo piano, che obbedisce cioè alla geometria euclidea, in cui la radiazione si propaga in linea retta) presenta due grosse incognite che forse riusciremo a decifrare in un futuro non troppo lontano: cos’è la materia oscura? E cos’è l’energia oscura? La materia di cui è fatto tutto ciò che osserviamo sulla Terra e nell’universo è la materia «visibile », che emette cioè una qualsiasi forma di radiazione elettromagnetica. Possiamo misurare la massa di una galassia contando le singole stelle, di cui conosciamo la massa media o la massa di un ammasso di galassie contando le singole galassie, oppure possiamo determinarne la massa gravitazionale dai moti delle singole stelle o rispettivamente delle singole galassie. Il risultato in ogni caso è che la massa gravitazionale è anche dieci volte superiore alla massa visibile. Lo notò per la prima volta nel 1933 l’astronomo svizzero Fritz Zwicky, che osservò che le velocità delle galassie membri di un ammasso erano troppo grandi per mantenerle legate all’ammasso ed era necessaria una gran quantità di materia «oscura» per legarle gravitazionalmente. Ci sono ragioni legate all’abbondanza cosmica osservata di idrogeno pesante per escludere che la materia oscura possa essere normale materia barionica, cioè protoni e neutroni. Si postula l’esistenza di particelle elementari che non interagiscono con la materia e non danno luogo a emissioni di radiazione. Queste potrebbero in parte essere neutrini, ma a causa della loro piccola massa hanno velocità prossime a quelle della luce e non resterebbero La nebulosa NGC 6543 legate ad una galassia o ad un ammasso di galassie. Uno degli scopi del Large Hadron Collider (Lhc) è anche la ricerca di particelle finora sconosciute in grado di spiegare la materia oscura, le ipotetiche Wimps (un acronimo che sta per Weakly Interacting Massive Particles). Si spera che verso la metà dell’anno Lhc sia finalmente in grado di funzionare. Molto più recente è la scoperta dell’energia oscura. E’ ben noto dagli anni Trenta che l’universo è in espansione, come si determina dall’osservazione che tutte le galassie sembrano allontanarsi da noi con velocità crescente proporzionalmente al crescere della distanza. L’inverso della costante di proporzionalità ci da il tempo trascorso dall’inizio dell’espansione, spesso anche indicato come l’età dell’universo. Si riteneva che sotto l’effetto della stessa attrazione gravitazionale esercitata dalla materia presente nell’universo l’espansione dovesse decelerare. Misure più precise della relazione fra velocità e distanza hanno invece indicato che a partire da circa 6 miliardi di anni fa l’espansione ha cominciato ad accelerare, come se ci fosse una forza che si oppone alla gravità e che prende il sopravvento su di essa. Non sappiamo cosa sia questa energia oscura. Un interessante suggerimento per spiegare le osservazioni senza ipotizzare l’esistenza di questa misteriosa energia oscura è stato proposto dal cosmologo George Ellis. L’incertezza con cui conosciamo le distanze delle galassie permette di avanzare l’idea che noi ci troviamo all’interno di una vasta bolla sferica in cui la densità di materia è molto più bassa che nelle regioni circostanti. Di conseguenza l’azione della gravità sarà minore che nelle regioni circostanti e la bolla espanderà più rapidamente che nelle regioni più lontane. Ellis osserva che sarebbe necessario assumere l’esistenza di una energia oscura se l’accelerazione osservata fosse dovuta a un cambiamento della legge di espansione relativa a tutto l’universo, ma è egualmente possibile che la distribuzione della materia nell’universo non sia isotropica ma che appaia tale a noi se ci troviamo all’incirca nel centro della bolla. E’ questa idea di essere al centro che incontra una specie di rigetto, perché va contro al «principio copernicano ». Per secoli l’uomo si è creduto al centro dell’universo e per sfuggire a questa tentazione è stato stabilito il principio copernicano che assume che su scala abbastanza grande l’universo è omogeneo, ha cioè le stesse proprietà ovunque. E inoltre è isotropico, cioè sembra avere le stesse proprietà quando si guarda una qualsiasi direzione da qualsiasi luogo. I grandi telescopi della nuova generazione, resi possibili dai progressi dell’elettronica e dell’informatica, ci daranno misure più precise e più numerose delle distanze delle più lontane galassie e potranno in futuro riuscire a verificare o meno l’idea di Ellis. Venendo ad argomenti meno esoterici e più vicini a noi, gli indizi che al centro della nostra Via lattea ci fosse un buco nero ha trovato conferme dallo studio dei moti di 28 stelle orbitanti attorno al centro. Il 95 % della massa rivelata da questi moti sarebbe concentrato in un buco nero di massa pari a quella di quattro milioni di stelle come il Sole. Un altro campo in pieno sviluppo riguarda la scoperta di pianeti extrasolari, orbitanti cioè attorno a stelle diverse dal Sole. Ne conosciamo ormai più di 300, ma quasi tutti più simili a Giove che alla Terra e per lo più orbitanti a distanze dalla loro stella inferiori a quella che a Mercurio dal Sole. Ciò non significa che le terre siano rare, ma soltanto che i nostri mezzi non ci permettono ancora di scoprire pianeti molto più piccoli di Giove. Comunque un’importante scoperta è stata fatta col telescopio spaziale Hubble e cioè la presenza di anidride carbonica e monossido di carbonio in un «giove» distante 63 anniluce da noi. Esso orbita molto vicino alla sua stella ed ha una temperatura di circa 1000 gradi centigradi, troppo caldo per ospitare forme di vita. Però è importante sapere che su molti pianeti extrasolari ci sono le molecole organiche necessarie allo sviluppo di esseri viventi. Per il momento conosciamo un solo pianeta «terrestre » avente una densità una volta e mezzo quella della Terra e orbitante attorno ad una stella più debole e fredda del Sole, distante da noi 20 anniluce. Dalla distanza del pianeta dal suo sole si può stabilire che ha una temperatura di circa 40 gradi centigradi, tale cioè da permettere l’esistenza di acqua allo stato liquido, condizione che si suppone necessaria per ospitare la vita.