Paola Pollo, Corriere della Sera 3/1/2009, 3 gennaio 2009
MILANO
Paparazzi & piumino. C’è stata una volta in cui un figlio di un boss di mafia ha avuto qualcosa in comune con una vera principessa. Giovanni Riina e Carolina di Monaco, nel 2008, entrambi in Moncler: foto rubate fuori dal carcere a Palermo (naturalmente il primo) e sulle piste di Gstaad (naturalmente la seconda).
Remo Ruffini, patron della griffe, suo malgrado colpevole dell’accrocchio, ora sorride: «Io non guardo il consumatore, il mio sogno è che abbia un uso: che sia per fare la spesa, andare in motorino, sciare o andare in cda! E un giorno mi piacerebbe che anziché piumino si dicesse Moncler, come quando chiedi una biro e dici "mi passi la bic?". Piumino globalizzato, poi andrò in pensione ma convincere tutti sarà lunga... anche vero che quando vedo la foto di un Mike Tyson (l’ultimo vip segnalato ndr)
con un mio capo, mi stupisco, ancora ».
Sarà per quella testa riccia, sarà per quei modi sereni ma l’ambizione di questo comasco doc, classe 1961, ha qualcosa di sano. Nel 2008 ha «globalizzato» 700 milioni di persone (tra cui Riina e Carolina, appunto!) e aperto mercati come Cina e Giappone che è un po’ come pretendere di ammaliare con i freezer gli eschimesi… «Chi l’avrebbe detto che gli americani sarebbero impazziti per i jeans Diesel? Certo con la moda è facile, in altri settori meno, vedi l’auto e la Fiat all’estero che non ce l’ha fatta». Però detto da lei che sarà il re «dei piumini» ma indossa solo blazer e/o cappotti blu: «Mi vedo solo così», dice e disarma.
Sposato e padre di due ragazzi (20 e 17 anni). Figlio d’arte a 18 anni seguì il padre negli States: «Lui era un matto e mi piaceva, vendeva camicie stampate, un successo. Io a scuola andavo malissimo. Diplomato per miracolo, niente laurea ma me sono pentito, si fa più fatica per restare al passo. Mi ha salvato la curiosità».
Dopo la maturità, la fuga a New York: pochi mesi per capire che non era la strada giusta: «Così mi sono messo a gironzolare un po’ nei luoghi che erano i miei sogni da ragazzo: il lifestyle dei Kennedy, insomma. Tornai in Italia carico di quella storia e misi su un’azienda, la New England. Avevo 23 anni».
L’età dei bamboccioni… «Allora no! Mi inventai una tradizione immaginandomi i Kennedy a Martha Vineyard: le camicie botton down, le cravatte regimental, le maniche arrotolate… E non è andata malissimo: ci ho campato diciotto anni. Nel ’99 ho venduto. Volevo una storia, vera e nel 2002 ho trovato Moncler: decenni e decenni di tradizione ». In sei anni da 30 milioni di euro di fatturato (e non solo piumini) a 150 milioni (solo piumini): « bastato tornare alle radici. Riguardare gli archivi. Senza ripetere l’errore degli anni Ottanta, quando il piumino visse una seconda, ma brevissima, vita. Così ho voluto ristudiarne materiali e pesi e designer con l’ambizione, un giorno, di creare il capo per tutti e per tutte le stagioni».
Democratico, come i Kennedy. Ma i paninari, degli ’80, stavano a destra…. «Né destra, né sinistra. O l’uno e l’altro, oggi».
Un po’ snob, allora, quando ha chiamato stilisti «glam» a disegnare alcune collezioni: Alessandra Facchinetti, Giambattista Valli e Thom Browne. Prima ancora Junya Watanabe e Balenciaga. Capi, quelli, per pochi, altro che globalizzazione. «Appunto per il motorino e per la prima della Scala. Non so cosa abbia fatto accadere tutto questo, ma è accaduto ».
Dopo Moncler, Marina Yachting (un’altra) ed Henry Cotton, e Cerruti Jeans e lo sperimentale Cost Weber Ahaus. Una storia d’altri tempi, oggi che la crisi incombe e la gente arranca: «Il segreto è stato non far parte del circo». Circo? «Sì, il sistema moda. Troppe emozioni che non mi appartengono». Odio? «Nessuno». Ammirazione? «Steve Jobs, mister Apple».
Of course, mister Piumino, ma le piume, povere oche? «Allevamenti doc, spiumano, e non uccidono ». Global&correct.
Paola Pollo