???, La Stampa 3/1/2009, 3 gennaio 2009
Se la pubblicità è la versione attuale dell’antica retorica, ha lo scopo di convincere e non d’informare
Se la pubblicità è la versione attuale dell’antica retorica, ha lo scopo di convincere e non d’informare. Per far ciò ogni mezzo è buono. E quando le idee mancano, per tener desta l’attenzione si ricorre allo stesso mezzuccio: il testimonial. Qualcuno che, famoso di per sé, dona (si fa per dire) la propria notorietà al prodotto, attestandone l’infinità bontà e convenienza. Una versione degradata dell’argomento d’autorità: ipse dixit, dunque compro. Fra i primi testimonial c’è in Italia Benito Mussolini: preso il potere, prestò il faccione per l’annuncio di un amaro che celebrava la marcia su Roma e più volte si erse a garante di questo o quell’italico prodotto. Per non parlare di Marinetti e dei suoi «poemi industriali», che prestò la sua dichiarazione assassina sul chiaro di luna a un’azienda tedesca di lampadine. Sino ad arrivare a un altro ventennio tutto italiano, quello di Carosello, dove le restrizioni di legge sulla pubblicità hanno indirettamente affinato la tecnica del testimonial: i vari Tognazzi, Vianello, Chiari, Campanini, Dapporto, Arigliano, Cerri, Mina, Morandi si esibivano in scenette più o meno spiritose lasciando al cosiddetto «codino» il prosaico compito di reclamizzare il prodotto di turno. Sono rimasti famosi personaggi come Candida Chedenti, impersonata da Virna Lisi per un dentifricio, ma anche figure di fantasia come il pulcino Calimero, Caballero e Carmencita, l’ippopotamo Pippo. E quando l’aggressività degli spot della neotelevisione ha mandato in soffitta la scenetta caroselliana, il testimonial non è affatto sparito, pronto a riempire ogni carenza di creatività e magari pigiando il facile pedale dell’erotismo: come quando una marca di calze è ricorsa alla gambe nostrane della Oxa o alla seduzione già globalizzata della Basinger. Così, il mondo della pubblicità è oggi stracolmo di testimonial d’ogni tipo. Attori, cantanti, soubrette, presentatori, veline, calciatori e sportivi vari, protagonisti di reality show, uomini politici si prestano a reclamizzare questo o quel prodotto, senza tema di cadere nel ridicolo, e godendo del surplus di celebrità che la pubblicità attribuisce loro. Da quando Bonolis beve caffé su una nuvola stiamo dimenticando i suoi pacchi. La Bellucci riesce meglio come femme fatale se si occupa di profumi e non quando prova a recitare in un qualsiasi ruolo cinematografico. Gattuso è un bravo calciatore, ma è veramente qualcuno da quando è protagonista di una serie di stacchetti pubblicitari che hanno fatto di lui una macchietta d’avanspettacolo. Perfino un bellone come Clooney viene menzionato più per gli spot in cui è impegnato che per i film in cui pure ha primeggiato. Il rischio, per le aziende, è sempre lo stesso: quello del vampirismo, che fa sparire dalla memoria il prodotto a tutto vantaggio di chi lo pubblicizza: ricordiamo ancora la Loren che con dubbio gusto urlava «Accattetivillo!», ma cosa voleva venderci? rimasto impresso nella mente «Oui, je suis Catherine Deneuve», ma di che cosa si trattava? Con buona pace dello star system che, fuor di paradosso, usa beni e servizi come testimonial dei personaggi di spettacolo che deve promuovere. Da qui l’esigenza di un ripensamento di questa figura ambigua della pubblicità e dello spettacolo, quella di un testimone che finisce per testimoniare se stesso (come il proprietario di una nota marca di tortellini) o di un’oscura modella australiana che acquista notorietà perché si fa icona di un gestore di telefonia (Megan Gale). Il recente libro di Alessandro Aquilio, Parola di testimonial (Lupetti, pagg. 238, 18) copre da questo punto di vista un vuoto negli studi di comunicazione, proponendo una storia e una tipologia dei testimonial e soprattutto discutendo gli scenari futuri, dove la sempre maggiore mescolanza fra generi e media sembra abbandonare la logica un po’ pomposa dell’ipse dixit in nome di più sbrigative logiche d’intrattenimento; e dove nessun moralismo riesce a nascondere il fatto che un calciatore, in quanto tale proverbialmente stupido, possa farsi promotore di un servizio per ripetenti universitari, o che una modella come Kate Moss venga rilanciata nella pubblicità perché pescata in flagrante con la droga. Tutto ciò, per noi, è specchio dei cambiamenti che stiamo vivendo, delle trasformazioni nelle scelte di consumo e negli stili di vita, ma soprattutto dei forti mutamenti di scale di valori e di gusto che stiamo attraversando. Chi oggi ascolterebbe un poeta futurista o una sofisticata attrice francese? Vi immaginate un professore universitario a pubblicizzare un detersivo? Come minimo dovrebbe indossare minigonna e calze a rete. Insomma, dominano veline e calciatori, lo sappiamo, ma soprattutto - ci insegna l’odierno abuso del testimonial - torna surrettiziamente l’Uomo Qualunque, il signor Nessuno, solo personaggio disposto a credere a se stesso, anche a costo di moltiplicare le rate per il nuovo televisore dove ammirarsi eroe per un giorno.Megan Gale Fino al 1999 semisconosciuta modella australiana, diventa un «personaggio» dello spettacolo grazie alla campagna per la Omnitel Paolo Bonolis Nella longeva campagna per la Lavazza ripropone con Luca Laurenti lo schema mattatore-spalla della più tradizionale coppia comica italianaKate Moss L’ultimo paradosso: i ripetuti scandali e gli abusi di ogni genere (anche di stupefacenti) l’hanno rilanciata come icona della pubblicità