Annuario Panorama 2008, 2 gennaio 2009
Barack Hussein Obama è il 44° presidente degli Stati Uniti. La sua elezione rappresenta una svolta storica perché rompe l’ultima barriera razziale nella politica americana: alla Casa Bianca arriva per la prima volta un nero
Barack Hussein Obama è il 44° presidente degli Stati Uniti. La sua elezione rappresenta una svolta storica perché rompe l’ultima barriera razziale nella politica americana: alla Casa Bianca arriva per la prima volta un nero. «Stamattina ci siamo svegliati in un Paese diverso, solo ora possiamo dire che è finita la Guerra civile americana cominciata 147 anni fa», ha scritto il 5 novembre Thomas L. Friedman sul New York Times. Obama, 47 anni, senatore democratico dell’Illinois al primo mandato, nelle elezioni del 4 novembre ottiene un numero di grandi elettori sufficiente per essere designato presidente eletto: si insedierà ufficialmente il 20 gennaio 2009. Il computo finale gli assegna 349 grandi elettori contro i 163 ottenuti dallo sfidante repubblicano John McCain e, in termini di votanti, il 52 per cento dei suffragi sul piano nazionale contro il 46 per cento del suo avversario. Con la sua sfida al cambiamento e con questi numeri ha archiviato anche gli otto anni della doppia presidenza Bush: gli elettori hanno bocciato un’amministrazione storicamente impopolare, specie nella sua politica estera ed economica. Anche McCain del resto aveva avvertito questa tendenza cercando di ridurre al minimo i segnali di continuità con una presidenza del suo stesso colore politico. Il 4 novembre, quando il sole non è ancora tramontato in Arizona ma McCain ha già saputo che lo stato chiave dell’Ohio è andato a Obama, è proprio lui il primo a parlare in pubblico e a riconoscere la vittoria dell’avversario: «Questa è un’elezione storica, e riconosco il significato speciale che ha per gli afroamericani e per l’orgoglio speciale che devono provare questa notte». Conclude augurando «buona fortuna all’uomo che è stato il mio avversario e che sarà il mio presidente». Nel discorso di accettazione, poco più tardi nella notte di Chicago, la sua città, davanti a decine di migliaia di persone che hanno riempito la spianata di Grant Park, Obama apre con una frase che diventerà subito, sui media di tutto il mondo, la sigla della sua vittoria: «Se c’è qualcuno che dubita ancora del fatto che l’America sia un luogo dove tutto è possibile, stasera ha avuto una risposta definitiva. C’è voluto molto tempo ma stasera, grazie al vostro voto in questa fondamentale elezione, il cambiamento è giunto in America». Il cambiamento: «Yes, we can» è stato lo slogan della campagna elettorale. « questo l’autentico spirito dell’America: la consapevolezza che l’America può cambiare». Obama però conosce la difficoltà della situazione: «Anche se questa sera festeggiamo, sappiamo che le sfide che il futuro ci riserva sono le più ardue della nostra vita: due guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria dell’ultimo secolo». Proprio la stabilizzazione del sistema finanziario è diventata nei giorni immediatamente precedenti il voto l’obiettivo numero uno da perseguire (e anche su questo, sull’impressione di una maggiore incertezza nell’aggredire la crisi, McCain si è giocato la rimonta). Nel discorso di Chicago chiede dunque «un nuovo spirito di abnegazione, un nuovo spirito di sacrificio», ma avverte anche che «se questa crisi ha qualcosa da insegnarci, è proprio che non possiamo avere una Wall Street che prospera con una Main Street che soffre». Un’osservazione che denuncia l’impossibilità per la finanza (Wall Street) di prosperare se l’economia reale (Main Street) arranca, e nello stesso tempo rimette a fuoco i problemi della ”middle class”. Nella prima conferenza stampa da presidente eletto, Obama cita subito i dati drammatici dell’occupazione: dieci milioni di senza lavoro, un milione e 200mila posti persi dall’inizio dell’anno. Vorrebbe che il Congresso uscente votasse subito un pacchetto di misure a favore delle famiglie di un centinaio di miliardi, meglio forse di 200. E che si dessero almeno altri 25 miliardi all’industria automobilistica, seriamente candidata al collasso. L’economia è il grande banco di prova che attende il presidente Obama a partire dal 20 gennaio.