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 2008  dicembre 28 Domenica calendario

Università Usa piegate dai derivati. Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 New York. Lo scandalo Madoff è costato 110 milioni di dollari alla Yeshiva University, per la NYU, la New York University, il conto è invece di 24 milioni di dollari

Università Usa piegate dai derivati. Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 New York. Lo scandalo Madoff è costato 110 milioni di dollari alla Yeshiva University, per la NYU, la New York University, il conto è invece di 24 milioni di dollari. Sembrano cifre enormi, ma è poca cosa rispetto a quanto i fondi delle due Università, rispettivamente di 1,2 miliardi di dollari e 2,5 miliardi di dollari, hanno perso complessivamente in questa crisi. Anche le Università, infatti, come molti fondi pensione, sono state contagiate dall’ansia incontrollata di massimizzare i ritorni sugli investimenti diversificando in strumenti non convenzionali. Con una illusione, che il rischio fosse minimo. Prima della crisi, Nyu aveva circa 3,6 miliardi di dollari e dunque avrebbe perso un miliardo secco. Harvard, che non ha mai investito nel fondo Madoff, ha invece stabilito lo stesso un record assoluto senza precedenti. Lo scrittore Edward Jay Epstein contesta la perdita ufficiale di 8 miliardi di dollari del fondo di dotazione dell’Università, che aveva raggiunto un record assoluto di 36 miliardi di dollari e rivela che le perdite sono vicine ai 18 miliardi di dollari. «Questo se gli investimenti illiquidi fossero stimati a valori realistici attuali come hanno fatto altri investitori ad esempio i fondi pensione», dice Epstein a il «Sole-24 Ore». La dotazione di Harvard è aumentata negli anni grazie a generose donazioni di ex allievi ormai miliardari e a investimenti oculati. Intorno al 2000 però, la Harvard Management Corporation, la società di gestione del patrimonio, ha dirottato una buona parte dei fondi, circa il 50% in hedge funds, in private equity, in prodotti derivati e in investimenti anti inflazione, come terra e petrolio. Il risultato inziale della strategia è stato positivo: il fondo ha più che raddoppiato il suo valore nominale nel giro di otto anni. Il problema è che nessuno, neppure dopo i fallimenti Bear Stearns e dopo i chiari segnali di deflazione ha disinvestito da patrimoni "reali" in tempo seguendo il consiglio di essere "liquidi". L’investimento in petrolio, ad esempio, uno dei più importanti del fondo, si è ora ridotto di due terzi e difficilmente avrà possibilità di recupero anche in tempi medio lunghi con la forte recessione in cui si trova il mondo industrializzato. Harvard avrebbe inoltre investito circa l’11% dei suoi fondi in mercati emergenti, come Russia o Brasile. E ha preso un doppio colpo. La Borsa russa è al di sotto dell’80 per cento. Ma le perdite sono anche molto forti sul piano del cambio. In Brasile ad esempio, il real è al di sotto del 40% rispetto al dollaro. La notizie di questa perdita colossali lascerà il segno in Accademia, perché Harvard è la regina mondiale per dotazione patrimoniale. Basti dire che Yale e Princeton, al secondo posto, hanno dotazioni di 17 miliardi di dollari ciascuna, la metà di Harvard. Columbia, di nuovo molto prestigiosa, ha un fondo di appena 7 miliardi di dollari. Le rendite dei fondi servono a pagare le rette universitarie al di là della tassa pagata dagli studenti, a elargire borse di studio a finanziare progetti di ricerca e costruire nuovi laboratori o acquistare nuovi strumenti e prodotti scientifici. La ricchezza del patrimonio gestito individualmente da ogni Università e dalle rispettive facoltà ha un impatto decisivo sulla leggendaria capacità di produzione scientifica dei grandi istituti di ricerca universitari americani. E dunque un taglio così drastico dei fondi disponibili potrebbe avere un impatto deleterio sulle prospettive di avanzamenti scientifici in America nel medio termine, un altro costo indiretto di questa gravissima crisi economia. Complessivamente si stima che al massimo del loro valore, i portafogli delle prime 50 Università americane, abbiano superato i 100 miliardi di dollari. Con la crisi, seguendo il ragionamento di Epstein potrebbero essere stati bruciati circa 50 miliardi di dollari. «C’e da dire che le perdite sarebbero state lo stesso elevate se i fondi avessero tenuto i loro investimenti tradizionali in azioni», dice ancora Epstein. Possibile. Resta il fatto che la frenesia collettiva diretta verso un riequilibrio strategico del portafoglio si è dimostrata sbagliata. L’anno scorso si è arrivati a una diversificazione del 50% in strumenti non convenzionali, una proporzione spaventevole considerando il rischio implicito in quegli investimenti già in odore di bolla. Il contagio ha colpito anche fondi pensione come Calpers che, secondo Epstein, ha deciso di acquistare enormi lotti di terra diventando il principale proprietario terriero in America. «L’ironia - dice ancora Epstein - è che a Harvard hanno continuato a investire secondo i consigli dei banchieri di New York anche dopo la caduta di Bear Stearns, quando era ormai chiaro che il pericolo era più verso la deflazione che non l’inflazione». Un errore imperdonabile per un’Università, certamente la più prestigiosa, che continua a fare del suo processo di ammissione un tortuoso percorso che ha un’unica meta: selezionare i cervelli più brillanti del mondo. Mario Platero