Simone Filippetti Morya Longo, Il Sole-24 Ore 28/12/2008, pagina 5, 28 dicembre 2008
Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 Poco prima di Natale una cordata di private equity (Bain Capital e Clessidra) ha comprato Cerved, la banca dati delle imprese italiane, per oltre 530 milioni di euro
Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 Poco prima di Natale una cordata di private equity (Bain Capital e Clessidra) ha comprato Cerved, la banca dati delle imprese italiane, per oltre 530 milioni di euro. Ma l’operazione è stata una "mosca bianca", perché il 2008 è stato, a livello mondiale e non solo in Italia, l’anno nero dei fondi e dell’M&A. E il prossimo si preannuncia altrettanto difficile. Il mercato globale dei fusioni e acquisizioni è calato di circa un terzo: le elaborazioni di Dealogic di fine anno rivelano che i volumi nel 2008 sono scesi a 3.280 miliardi di dollari, uno scivolone di quasi il 30% rispetto all’intero 2007. Nel nostro Paese è andata anche peggio: il mercato, hanno registrato i dati di Kpmg, è crollato a quota 55 miliardi di euro (come controvalore del totale delle operazioni fatte) contro i 148 miliardi di dodici mesi fa (-63%). Vero è che il 2007 era stato un anno record (perché risentiva ancora della scia del boom del 2006 a inizio anno), ma solo due volte, negli ultimi dieci anni, in Italia si erano avuti andamenti peggiori del 2008 (29 miliardi nel 2004 e 48 nel 2002). I crack finanziari, le Borse tracollate e, soprattutto, le difficoltà del credito, ormai inceppato da mesi, hanno reso impossibile strutturare qualsiasi acquisizione a debito il che ha bloccato tutti i big del private equity, che erano stati i mattatori dell’M&A fino a metà 2007. Globalmente le società hanno complessivamente cancellato 1.309 transazioni, per un valore di 911 miliardi di dollari. Nel 2007 le operazioni abbandonate erano risultate pari a 870, per un ammontare di 1.160 miliardi. Secondo William Vereker, analista di Nomura citato dal Financial Times, il prossimo anno sarà il peggiore da molto tempo a questa parte. Nell’anno in cui si è aperta ufficialmente la crisi del private equity in Italia (dove non c’è stata nessuna operazione sopra il miliardo), il "vincitore morale" è stato Clessidra. Il fondo promosso dall’ex ad di Fininvest Claudio Sposito, e guidato Giuseppe Turri e Alessandro Grimaldi è stato il protagonista delle due principali operazioni fatte in Italia: l’ingresso di nuovi fondi in Giochi Preziosi, la già citata operazione Cerved e l’acquisto dell’asset management da Banca Mps. Tra le altre operazioni degne di nota la vendita da parte di Argan Capital di Carlo Mammola della Necta Vending, aziende di distributori automatici. Sono in molti, in questo scorcio finale dell’anno, a credere che il 2008 abbia segnato la "morte" del private equity. Ed è forse vero a metà. «Le grandi acquisizioni a debito sono scomparse ed è difficilissimo fare disinvestimenti» ammette Giampio Bracchi, presidente di Aifi (l’associazione dei fondi italiani). Il lato positivo, sottolinea Bracchi, è che però gli investimenti sono saliti e il middle-market, ossia le operazioni di medie dimensioni, è rimasto molto vivace (questo è un tratto tipico dell’Italia, il cui tessuto economico è fatto di Pmi). Il middle market, che storicamente vale 2 miliardi di euro (tanto quanto quello dei big deal ma spalmato su decine di deal), non è però quello che fa i grandi numeri e molto spesso non finisce sui giornali. «In periodi di crisi gli investimenti fatti dai fondi hanno storicamente avuto i rendimenti più alti» prosegue Bracchi che vede nel settore parabancario e nei fondi di fondi le opportunità di investimento per il private equity in Italia nel 2009. La bolla degli ultimi anni (si veda anche l’inchiesta in pagina) ha portato i fondi a strapagare le aziende. Avendo comprato a multipli che sono ormai ritenuti irripetibili, il vero nodo per il private equity non è tanto cosa acquistare, ma come uscire: le aziende che oggi molti fondi hanno in portafoglio, già valgono di meno e la recessione peserà ulteriormente sui loro bilanci. Per i fondi rivenderle a un prezzo più alto dell’acquisto, per trarne il guadagno promesso ai sottoscrittori, sarà impresa ardua. dunque la fine del private equity? «C’è ancora spazio per il private equity, ma la parola d’ordine è selezione» prevede Eugenio Morpurgo, ad di Fineurop Soditic. Senza leva e senza più trading sui multipli, per Morpurgo la strada sarà quella dei «club-deal, delle operazioni fatte in cordata, ed essenzialmente sul middle-market».