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 2009  gennaio 02 Venerdì calendario

Mutui subprime, bolle speculative, colossi del credito che si sgretolano: la crisi che viene da lontano, almeno dal primo scossone serio a Wall Street, il 9 agosto 2007, precipita nel settembre-ottobre 2008

Mutui subprime, bolle speculative, colossi del credito che si sgretolano: la crisi che viene da lontano, almeno dal primo scossone serio a Wall Street, il 9 agosto 2007, precipita nel settembre-ottobre 2008. Il 15 settembre la banca Lehman Brothers dichiara il più grande fallimento della storia americana. Altri crac si profilano all’orizzonte, dal colosso assicurativo Aig (il cui valore è crollato del 30% in una sola seduta di Borsa) a Merrill Lynch, altra merchant bank di Wall Street, secondo istituto di credito statunitense, salvata nelle stesse ore del fallimento Lehman da Bank of America. E il Tesoro Usa aveva già tirato fuori dai guai Bear Stearns e i due giganti dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac. La crisi travolge presto i mercati. Lunedì 9 ottobre le Borse europee bruciano 450 miliardi di euro di capitalizzazione, peggio dell’11 settembre 2001, il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle. A Milano il crollo più consistente: -8,24%. Venerdì 10 è un’altra giornata nera: l’Europa perde 400 miliardi. Piazza Affari cede il 6,5%. L’indice Dow Jones, a New York, sprofonda in apertura sotto gli 8.000 punti. In una settimana i listini europei hanno bruciato 1.400 miliardi, il 22% del loro valore. I titoli sono andati giù ogni giorno a medie spaventose - il 5, il 6, il 7 per cento - Milano da sola ha polverizzato l’equivalente di un quinto del Pil italiano. il più grave tracollo dopo il 1929. Ma è, soprattutto, una crisi globale, che investe tutti i mercati e che sembra insensibile alla eccezionale serie di contromisure messe in campo dai governi e dalle banche centrali. Tra gli interventi della settimana, c’è anche quello, mai sentito prima, di un accordo tra tutte le banche centrali del mondo per abbassare, tutti insieme e in un sol colpo, il tasso di sconto di mezzo punto (è successo mercoledì 8 ottobre). servito a poco. E a poco, almeno a giudicare dalle prime ricadute su Wall Street, è servito anche il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari messo a punto dal Tesoro americano per rilevare i titoli immobiliari sporchi e stabilizzare i mercati finanziari. Un piano senza precedenti, bocciato una prima volta dalla Camera dei rappresentanti e votato infine il 3 ottobre in una versione addolcita dal Senato. Un piano, voluto dal presidente Bush, che ha suscitato grandi polemiche anche tra i parlamentari del suo partito: se i democratici non vedono di buon occhio l’idea di salvare i ricchi banchieri di Wall Street con i soldi dei contribuenti, molti repubblicani temono una socializzazione del sistema creditizio e la demolizione dei principi liberisti. La tragedia comunque è che si sono messi sul banco 700 miliardi per acquistare titoli spazzatura e ricapitalizzare gli istituti, ma in realtà nessuno sa di quanti titoli tossici si tratti. L’ultima stima del Fondo monetario internazionale parla di una voragine di 1.400 miliardi di dollari. Anche in Europa i governi devono intervenire. In settembre il gruppo bancario e assicurativo olandese Fortis perde in poco più di una settimana il 53% del suo valore: viene salvato da un intervento congiunto di Olanda, Belgio e Lussemburgo che entrano nel capitale con una quota del 49% (poi Bnp Paribas, prima banca francese, acquisterà il 75% delle attività bancarie e il 100% di quelle assicurative di Fortis in Belgio, avendo alla fine lo Stato belga come primo azionista). Il gruppo bancario e assicurativo Dexia viene sostenuto dal governo di Parigi e da quello di Bruxelles. Per Hypo Real Estate, che sembra destinato alla bancarotta, la cancelliera Angela Merkel mette a punto un piano di salvataggio pubblico e privato da 50 miliardi di euro. Per mettere un argine almeno temporaneo alla catastrofe sui mercati occorre un vertice straordinario, a Parigi, nel quale viene elaborato un piano che vuole garantire prima di tutto i prestiti tra banca e banca, per rianimare i flussi del credito. Il piano europeo è fatto sulla falsariga di quello studiato dal premier britannico Gordon Brown e già operativo oltremanica: i governi dell’eurozona, per tranquillizzare il mercato, si propongono di far così: la Banca A che chiede soldi in prestito dalla Banca B, li otterrà invece dallo Stato. E sarà lo Stato a farseli prestare dalla Banca B. Al momento della restituzione, se la Banca A non dovesse farcela, se la vedrà perciò col suo creditore vero, vale a dire lo Stato (che potrà ulteriormente finanziarla o entrare nel suo capitale). La Banca B invece, cioè la creditrice, riavrà senza problemi i suoi denari, sempre dallo Stato, trasformato così in camera di compensazione. Gli Stati garantiscono tutti i depositi e tutti i prestiti nella speranza che, grazie anche a questo loro impegno verbale (e sia pure contenuto in qualche legge), il contante ricominci a circolare. escluso invece, per un semplice calcolo matematico, che in caso di default complessivo gli Stati possano davvero far fronte, soldi alla mano, ai creditori. Nel quadro della crisi, colpisce la tenuta del sistema italiano, che in un anno (a parte cali vistosi nella quotazione dei titoli) non ha visto tremare davvero nessuna banca e nessuna impresa. La risposta a questo quesito è sempre la solita: il nostro sistema è vecchiotto, ha adoperato i derivati - per ignoranza o pigrizia - con meno entusiasmo degli stranieri, la Banca d’Italia ha esercitato bene la vigilanza impedendo che si commettessero troppe imprudenze. La solidità italiana s’è toccata con mano quando il governo ha preparato il decreto legge necessario ad affrontare eventuali problemi. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha stanziato infatti appena 20 miliardi di euro «precauzionali», che serviranno allo Stato per diventar socio delle banche che piombassero in una crisi di liquidità e non trovassero i denari per aumentare il proprio capitale. Le misure anticrisi decise al G-7 di sabato 11 ottobre e al vertice europeo di Parigi ottengono tuttavia qualche risultato: lunedì 13 le Borse festeggiano con una serie di rialzi clamorosi (il Dow Jones di Wall Street, in particolare, con l’11,25% mette a segno la migliore performance nella storia della Borsa Usa), per tornare poi a un ottovolante di tonfi clamorosi e rialzi consistenti nei giorni successivi. Gli analisti hanno attribuito i tonfi alla paura della recessione, cioè alla crisi dell’economia globale. Le Borse, anche in Europa, hanno semplicemente anticipato i tempi. Nelle sue previsioni d’autunno la Commissione europea riconosce che le stime di primavera erano troppo ottimistiche. Sulla crescita ci sono notizie brutte per tutti: l’Italia, la Germania e la Francia, avranno nel 2008 e nel 2009 un tasso di crescita pari a zero. In Europa come in America (dove in settembre la produzione industriale è diminuita del 2,8%, il dato peggiore dal 1974) la crisi della finanza è anche crisi dell’economia reale.