Paolo Manzo, La Stampa 2/1/2009, 2 gennaio 2009
Basterebbe guardare le mani per capire che cosa voglia dire, nel nuovo millennio, essere schiavi della terra e di una società basata, nei gangli fondamentali della sua economia, sullo sfruttamento
Basterebbe guardare le mani per capire che cosa voglia dire, nel nuovo millennio, essere schiavi della terra e di una società basata, nei gangli fondamentali della sua economia, sullo sfruttamento. Le mani di José Ferreira, brasiliano dello Stato del Pernambuco, 30 anni. Le sue mani parlano più del viso e della voce affaticata dal caldo e dalla fatica. Callose ma soprattutto spellate all’inverosimile, con decine di graffi mescolati alle rughe. E raccontano una storia terribile da ascoltare ma reale. José è tagliatore di canna da zucchero, un mestiere che in Brasile viene svolto ogni giorno da 900 mila persone. Un esercito di schiavi, sfruttati senza regole e senza limiti fisici, fino a morire di fatica: una ventina di casi accertati dal 2004 a oggi. Eppure il loro ruolo è decisivo in quella rivoluzione, accelerata e così promettente, che è la rivoluzione dei biocarburanti, fiore all’occhiello del governo Lula. Solo quest’anno, di tagliatori come José ne sono stati liberati dalla polizia federale 4.418, come denunciano i dati appena resi noto dal Ministero del Lavoro brasiliano. A 120 anni dall’abolizione ufficiale della schiavitù e ad appena cinque dall’avvio, da parte del governo Lula, del «Piano Radicale per la lotta alla schiavitù», queste cifre fanno capire quanto il salto dalla teoria alla pratica sia difficilissimo da farsi. La mappa delineata dal Ministero del Lavoro, oltre a indicare i numeri, evidenzia anche gli Stati più coinvolti: una ventina, in testa lo Stato di Goiàs con 867 schiavi divisi in appena sette fazendas. Seguono il Parà, che il prossimo mese ospiterà il Forum Sociale Mondiale, e l’Alagoas. «Siamo il motore del Brasile ma non ci viene riconosciuto alcun diritto», spiega José, che è stato liberato l’anno scorso grazie a un intervento del gruppo Movel de Fiscalizaçao, una sorta di Guardia di Finanza verde-oro che si muove spesso insieme alla polizia. José lavorava a Limeira do Oeste, nel cosiddetto Triangolo Mineiro, 834 chilometrida Belo Horizonte, nello Stato del Minas Gerais. Il suo stipendio mensile come tagliatore di canna da zucchero era di 400 reais - poco più 100 euro - mentre al momento dell’assunzione gliene erano stati promessi mille. In pratica, per ogni metro di canna raccolta José prendeva da 0,09 a 0,31 reais, 3 centesimi. La beffa era che, oltre a lavorare in media 12 ore al giorno, José, con il suo misero salario, doveva pagarsi 180 reais per mangiare e 50 per dormire, che diventavano 130 perché perfino il materasso era a suo carico. «Lavoravamo ma in realtà eravamo schiavi perché quello che guadagnavamo dovevamo spenderlo per sopravvivere. E la beffa è che pagavamo i padroni, perché erano loro che ci fornivano tutto» spiega José, senza rabbia e quasi con stupore. Maria Aparecida de Moraes Silva, una docente dell’Università Estadual Paulista, da tempo impegnata in uno studio sul mercato dei tagliatori di canna, descrive la situazione così: «I padroni approfittano fino all’estremo di queste persone che hanno bisogno di lavorare e che per un posto farebbero qualsiasi cosa». Del resto gli obiettivi di produttività sono folli, circa 15 tonnellate al giorno. «Questo spiega perché l’aspettativa di vita lavorativa di questa gente sia scesa da 15 a 12 anni. Sono tutti giovani, dai 25 ai 40, ma soffrono quasi tutti di dolori alla colonna vertebrale e ai piedi e di tendiniti». Gli schiavi del nuovo millennio lavorano ore e ore senza sosta, in piedi, sotto il sole cocente, con temperature che raggiungono i 40°. I sindacati dei lavoratori cercano di farsi sentire ma non è facile. «Sono tanti i ricatti non detti che impediscono un reale esercizio dei diritti», chiarisce Aparecida de Jesus Pino Camargo, presidente del sindacato dei lavoratori agricoli di Piracicaba, nello Stato di San Paolo e questo spiega il perché di certe dichiarazioni ufficiali. Come quella dell’Unica, l’Unione degli Industriali della canna da zucchero, che continua a negare l’esistenza del problema e addirittura accusa il Grupo Movel de Fiscalizaçao di «eccessiva spettacolarizzazione durante le perquisizioni nelle piantagioni». La schiavitù, insomma, è ancora un tabù. Il presidente Hugo Chávez ridurrà ai venezuelani il tetto di seimila dollari all’anno da spendere per viaggi e acquisti on line. E nel 2009 il bolivar venezuelano potrebbe essere svalutato. «Si tratta di una misura allo studio, ma non verrà fatto alcun annuncio fino a quando non sarà pianificata», ha spiegato il ministro delle Finanze, Ali Rodriguez. Dal 2005 ufficialmente servono 2,15 bolivar venezuelani per un dollaro ma sul mercato nero per un biglietto verde occorrono 5 bolivar.