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 2009  gennaio 02 Venerdì calendario

Agli albori della sua carriera partitica, appena fondata la sua "Italia dei Valori", Tonino Di Pietro pronunciò un anatema davvero impegnativo: «L’Ulivo ha una squadra di riciclati

Agli albori della sua carriera partitica, appena fondata la sua "Italia dei Valori", Tonino Di Pietro pronunciò un anatema davvero impegnativo: «L’Ulivo ha una squadra di riciclati. Io non ci sto!». Detto e fatto. Sei mesi più tardi, alle elezioni Politiche della primavera 2001, il partito di Di Pietro si presentò da solo, conducendo una campagna elettorale all’insegna del nuovismo più radicale. Chi l’avrebbe detto? Quell’anatema contro i "riciclati", sette anni dopo rischia di rimbalzare come un boomerang tra le gambe di Antonio Di Pietro. Certo, per ora la questione non è ancora venuta allo scoperto, ma a leggere il cursus honorum degli onorevoli dell’Italia dei Valori, si scopre che non pochi di loro vantano "tormentate" storie politiche, fatte di bruschi scavallamenti di trincea, tradimenti, trasformismi di solito rimproverati agli altri. Ex Udeur (quanti!), ex socialdemocratici, ex berlusconiani, ex leghisti secessionisti, ex dc (tantissimi), tutti signori che - dalla sera alla mattina - si sono scoperti ardenti giustizialisti. Quasi tutti uniti dallo stesso destino: l’approdo nel partito di Di Pietro si è rivelato l’escamotage per evitare il pensionamento. E Tonino, sinora, li ha accolti senza guardare per il sottile. Strano, perché già negli anni della sua "giovinezza" politica, Tonino si era scottato col problema. Nelle solitarie elezioni del 2001, l’Idv ottenne un ottimo risultato (3,9%) ma per effetto dello sbarramento al 4%, il partito di Di Pietro elesse soltanto un senatore con i resti. Si chiamava Valerio Carrara, ma in 24 ore si congedò, passando con Berlusconi. Qualche anno dopo ha raccontato Di Pietro: «Nel 2001 eravamo quattro gatti, ci mancavano i candidati, scrissi ad un ragazzo della Val Brembana per chiedergli la disponibilità. Lui mi disse che si sarebbe candidato il padre di un suo grande amico. Controllai che non avesse precedenti penali e senza averlo mai visto in faccia, candidai questo Carrara...». Una lezione poco istruttiva: cinque anni dopo, nel 2006, l’occhiuto Di Pietro inserisce nelle sue liste elettorali Sergio De Gregorio - che lo lascerà dopo essersi fatto eleggere presidente della Commissione Difesa - ma anche Federica Rossi Gasparini, la presidentessa della Federcasalinghe che già vantando un curriculum eloquente (nel 1992 con Segni, nel 1994 con Berlusconi, nel 1996 con Prodi), ad un certo punto divorziò anche dal "trebbiatore di Montenero". Negli anni più recenti è come se Tonino, pur restando roboante e coraggioso alfiere della moralità pubblica, avesse allentato il filtro di ingresso. La fedina penale deve restare immacolata, ma sul resto si chiude un occhio. Certo, quello di "riciclato" è concetto aleatorio. Difficile applicarlo per coloro che, vedendosi morire i propri partiti, per anni sono restati fedeli allo stesso schieramento. Come il presidente dei senatori Felice Belisario, già democristiano nella Basilicata di Emilio Colombo, ma tra i fondatori dell’Idv. Come Leoluca Orlando. O come un altro ex dc, Pino Pisicchio, già presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio e autore del primo saggio (non apologetico) sull’Italia dei Valori, «il post partito». Sono altri i casi sorprendenti. Nella squadra parlamentare campeggiano personaggi come il marchigiano David Favia, un berlusconiano della prima ora, che nel 2000 era così nemico di Tonino, da far distribuire questo volantino: «Volete l’Italia di Berlusconi o quella di Di Pietro?». Favia allora scelse l’Italia di Berlusconi, nel 2004 optò per quella di Mastella e nel 2008, a poche ore dalla chiusura delle liste, scelse l’Italia di Di Pietro. Ma l’onorevole Favia non è l’unico ex mastelliano, folgorato sulla via di Montenero. Anche il senatore Aniello Di Nardo ha passato una parte della sua vita nell’Udeur, ma prima di allora aveva fatto un bel giro: la Dc di Gava nella sua Castellammare, poi l’Udc di Casini e finalmente con "don Clemente", che gli aveva garantito una poltrona da sottosegretario all’Interno. E dal partito di Mastella tanto inviso da Di Pietro, arriva anche il senatore Giacinto Russo: anche lui, nel febbraio 2008, ha trovato ospitalità, guarda caso, pochi giorni prima della chiusura delle liste. E anche a livello locale non si scherza. Tra i tanti casi, quello del consiglio comunale di Roma: l’unico dipietrista eletto si chiama Gilberto Casciani: socialdemocratico nella Roma di Sbardella e Dell’Unto, poi nel Ccd con Mario Baccini e, dulcis in fundo, eccolo approdare con Tonino. E che dire di Antonio Borghesi, vicepresidente dei deputati? Negli Anni Novanta, da presidente della Provincia di Verona, è secessionista come il suo partito, la Lega, ma oggi nel suo sito, quel passato è "sbianchettato": grande spazio al "curriculum accademico e professionale", ma tra l’"attività politica", si cita sì la stagione "presidenziale" a Verona, ma omettendo l’appartenenza politica. Stampa Articolo