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 2009  gennaio 02 Venerdì calendario

VENTO che sibila nei corridoi di alberghi chiusi, gelidi come l´Overlook Hotel del film Shining. Seggiolini sballottati dalla tormenta, appesi a funi immobili

VENTO che sibila nei corridoi di alberghi chiusi, gelidi come l´Overlook Hotel del film Shining. Seggiolini sballottati dalla tormenta, appesi a funi immobili. Stazioni di funivie piene di immondizie, senz´anima viva intorno. Piloni arrugginiti, ruderi che nessuno rimuove anche nei parchi naturali. Ora i numeri ci sono. Quelli ? mai fatti prima ? degli impianti ridotti al fallimento dal riscaldamento climatico e dalla speculazione immobiliare. Oltre centottanta nel solo Nord Italia. La metà di quelli ? 350 ? che sono stati chiusi finora. Centottanta vuol dire quattromila tralicci, centinaia di migliaia di metri cubi di cemento, seicentomila metri di fune d´acciaio, cinque milioni di metri di sbancamenti e di foresta pregiata trasformata in boscaglia. Ferri contorti come i ramponi di Achab sulla gobba della balena. Per contarli abbiamo assemblato dati da parchi e corpi forestali, attivisti di "Mountain Wilderness" e guide alpine, soci di Legambiente e della "Cipra", il Centro per la tutela delle Alpi. Dati impressionanti, che sembrano non insegnare nulla a chi in Italia ? caso unico in Europa - insiste a sovvenzionare impianti a bassa quota o, peggio ancora, nei parchi nazionali, in barba ai vincoli comunitari. Fotogrammi. Saint Grée di Viola, quota 1200, provincia di Cuneo, è un monumento al disastro. Si chiamava Sangrato, ma non era abbastanza trendy per un centro che doveva attirare sciatori da Piemonte e Liguria, e così gli hanno cambiato il nome. Prima ha perso la neve, poi i clienti, infine ha inghiottito soldi pubblici per un rilancio impossibile. Oggi sembra Beirut dopo la guerra, cemento e vetri rotti con la scritta "Vendesi". Altri fotogrammi, nel dossier di Francesco Pastorelli, direttore di Cipra Italia. Pian Gelassa in Val Susa: piloni nel vento, scheletri di alberghi nati morti, lì da 30 anni in piena area protetta, a due passi dalle piste olimpiche del Sestrière. Alpe Bianca, nelle Valli di Lanzo: condomini vuoti, stazione della funivia con i cessi rotti e le piastrelle smantellate. E così avanti: Oropa-Monte Mucrone, Albosaggia, Chiesa Valmalenco. Non è un viaggio: è un percorso di guerra. A Oga presso Bormio la pista - iniziata e mai aperta causa lite tra valligiani - sta franando, e la ferita è tale che la trovi anche "navigando" con Google-Earth (e non è che gli squarci delle piste "mondiali" siano meglio). In Valcanale, sopra Ardesio (Bergamo), un´ex seggiovia è segnata da cemento sospeso sullo strapiombo e una discarica nel parcheggio. Sella Nevea nelle Alpi Giulie, orgoglio del turismo friulano: le multiproprietà che negli anni Settanta hanno devastato la conca sotto il Montasio sono così a pezzi che sono stati messi all´asta in questi giorni. A Breuil-Cervinia residenze chiuse e impianti di risalita dismessi, otto in tutto, di cui quattro funivie. Posti da dimenticare, anche in anni di nevicate come questo. Accanto agli scheletri, i morti viventi. Impianti in rosso, a quota troppo bassa per garantire neve, tenuti in vita dalla mano pubblica. Colere, Lizzola, Gromo nelle Orobiche. Oppure Tremalzo, La Polsa, Folgaria e Passo Broccon tra Veneto e Trentino, che inghiottono milioni in generose elargizioni per l´innevamento artificiale. Impianti a rischio, che nessuno fa entrare nella contabilità di un disastro che è anche finanziario. «Perché non si dice che le piste non si pagano solo con lo skipass ma anche con le nostre tasse?», s´arrabbia l´esploratore bergamasco Davide Sapienza. Numeri insospettabili. Quaranta funivie e seggiovie abbandonate in Piemonte, trentanove in Val d´Aosta (un´enormità per una regione di centomila abitanti), almeno venti in Lombardia, trenta tra Emilia e Liguria sul lato appenninico, trentacinque in Veneto e venticinque in Friuli-Venezia Giulia. E non mettiamo in conto gli sfasciumi lasciati dallo sci estivo, chiuso per fallimento in mezze Alpi. Ma non c´è solo il clima nel crack. C´è anche la speculazione. La seggiovia è solo lo specchietto per le allodole per sdoganare seconde case e villini. «Meccanismo semplice», sottolinea Luigi Casanova di Mountain Wilderness. «Si compra il terreno a basso costo, si cambia il piano regolatore, poi si fa la seggiovia e si costruiscono case al quintuplo del valore ». Se il gioco è spinto, la seggiovia chiude appena esaurita la sua funzione moltiplicatrice del valore immobiliare. Uno crede: errori non ripetibili. Invece no: si continua sulla vecchia strada, come per l´Alitalia. Miliioni di milioni di euro al vento. Come quelli che serviranno per il collegamento - approvato il 31 dicembre (!) dalla provincia di Trento - fra San Martino e Passo Rolle nel parco di Paneveggio, dove Stradivari prese il legno dei suoi violini. O per il terrificante "demanio sciabile" da 200 milioni di euro dalla Val Seriana alla Valle di Scalve (Bergamo) pronto al varo nel parco delle Orobie, contro cui s´è levata la protesta di molti "lumbard". Disastri annunciati, come il maxi-progetto sul Catinaccio-Rosengarten, che sfonda un´area che è patrimonio Unesco. Cambiano i luoghi, ma il trucco è lo stesso. C´è un pool che compra terreni, fonda una società e lancia un progetto sciistico, con un bel nome inventato da una società d´immagine. L´idea è nobile: «rilanciare zone depresse», così chi fa obiezioni è bollato come nemico del progresso. A quel punto la mano pubblica entra nella gestione-impianti e finisce per controllare se stessa. Così il gioco è fatto. Il sindaco promette occupazione e viene rieletto: intanto parte l´assalto alla montagna. Per indovinare il seguito basta leggere la storia dei ruderi nel vento. «Questi mostri di ferro e cemento che nessuno smantella rientrano in un discorso più vasto» spiega il geografo Franco Michieli additando lo stato pietoso dell´arredo urbano a Santa Caterina Valfurva, Sondrio. «Il legame con la terra è saltato, i montanari ormai ignorano il brutto. Piloni, immondizie, terrapieni, sbancamenti: tutto invisibile. Si cerca di riprodurre il parco-giochi, e così si svende il valore più grosso: l´incanto dei luoghi». E intanto il conflitto tra ambiente e ski-business aumenta in modo drammatico. Servono piste sempre più lisce e veloci, così si lavora a colossali sbancamenti e si prosciugano interi fiumi per l´innevamento artificiale. E c´è di peggio: la monocultura dello sci finisce per "cannibalizzare" tutte le altre opzioni (albergo diffuso, mobilità alternativa ecc.) perché distrugge i luoghi. Vedi Recoaro, dove le gloriose terme sono in agonia, ma si finanzia un impianto a quota mille, dove nevica un anno su cinque. Per addolcire gli ambientalisti si inventano termini nuovi, come "neve programmata" o "eco-neve", ma il risultato non cambia. Damiano Di Simine, leader lombardo di Legambiente: «In Valcamonica un contributo regionale di cinquanta milioni è stato utilizzato per costruire piste nel parco dell´Adamello, e il risultato lo si vede su Google-Maps. Squarci terrificanti». Stessa cosa sul Monte Canin nelle Giulie: cicatrici da paura. Ruggisce Fausto De Stefani, scalatore dei quattordici Ottomila e leader carismatico di Mountain Wilderness: «Uno: tutti gli impianti sono in passivo. Due: il clima è cambiato. Tre: gli italiani sono più poveri. Basta o non basta a dire che un modello di sviluppo va ridisegnato? E invece no, siamo furbi noi italiani. Continuiamo a vivere come progresso un fallimento che ha i suoi monumenti arrugginiti in tutto il Paese». A Novezzina sulle pendici del Baldo - il colosso inzuccherato tra Val d´Adige e Garda ? De Stefani indica i resti di un impianto per neve artificiale mai entrato in funzione. « stato smantellato, ma la ferita è rimasta, sembra una lebbra. Roba che per rimarginarsi impiegherà secoli. Con i soldi di quell´impianto fallito si potevano ripristinare malghe, sentieri, terreni; si valorizzavano i prodotti locali. o non è una truffa? Un´orda distrugge l´Italia e la gente tace, nessuno s´indigna. questo che mi fa uscir di testa».