Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 30 Martedì calendario

Mentre a Pechino il mondo rimane stregato dalla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi, in Europa scoppia una dura guerra, che vede contrapposte Russia e Georgia e che alla fine lascerà sul campo circa duemila morti e oltre centomila profughi

Mentre a Pechino il mondo rimane stregato dalla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi, in Europa scoppia una dura guerra, che vede contrapposte Russia e Georgia e che alla fine lascerà sul campo circa duemila morti e oltre centomila profughi. Il conflitto ha inizio con un’offensiva militare dei georgiani per rivendicare il controllo sui territori dell’Ossezia del Sud. In Georgia esistono infatti due province - l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud - che si proclamano da sempre filo-russe, vogliono essere autonome, hanno loro governi capaci di contrastare la politica che si decide a Tbilisi e hanno fatto sapere che potrebbero, prima o poi, proclamarsi indipendenti e allearsi definitivamente con Mosca. L’Ossezia del Sud ha anche l’esempio del suo stato gemello al di là del confine: l’Ossezia del Nord è infatti una delle 22 repubbliche che compongono la Federazione russa. Infine, la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo, avvenuta solo pochi mesi prima, fornisce alle mire separatiste di abkhazi e osseti un ulteriore e forte argomento. Per attaccare, i georgiani - che hanno da tempo mire normalizzatrici sulle due province ribelli - prendono a pretesto i continui scontri con le truppe russe sul confine dove fanno da forza d’inter­po­sizione, dove cioè stanno a nome della comunità internazionale col compito di mantenere la pace. Senonché l’attacco georgiano è, per i russi, una scusa magnifica per invadere il Paese. Dal 2004, infatti, la Georgia è governata dal quarantunenne Mikheil Saakashvili, un capo di Stato che fa l’amico degli americani e incassa ogni anno da Washington finanziamenti per cinque miliardi di dollari. Washington gli offre di entrare nella Nato e lui ha tutta l’aria di voler accettare. E Bush non fa la corte solo a lui: vuole nella Nato anche l’Ucraina, anche lei piuttosto vogliosa di dir di sì. Sicché la Russia, che ha già visto entrare nell’organizzazione militare atlantica Romania, Bulgaria e Turchia, ha qualche ragione per sentirsi assediata. Oltre tutto lo scudo difensivo che Bush vuole mettere in Polonia e Cechia non avrà, con la scusa di voler tenere a bada l’Iran, i cannoni in qualche modo puntati su Mosca? Inoltre la politica filo-occidentale dei georgiani ha reso possibile la costruzione di un oleodotto e di un gasdotto che non adoperano petrolio e gas russo e che non passano per il territorio di Mosca. Il grande tubo Baku-Tbilisi-Ceyan, detto Btc, e soprannominato ”la via della seta del XXI secolo”, e la pipe-line Baku-Tbilisi-Erzurum, detta Bte, partono dall’Azerbaijan, passano in Georgia e sbucano in Turchia. Putin adopera l’energia di cui è ricco per tenere sotto scacco la maggior parte dei suoi clienti e tra questi clienti c’è naturalmente l’Europa a cui i russi vendono il 70% delle proprie risorse energetiche. Ora naturalmente gli europei si riforniscono anche, e molto volentieri, dai due tubi georgiani e questo per il Cremlino è molto fastidioso. L’8 agosto scoppia così una vera e propria guerra, con scontri e bombardamenti che proseguono per diversi giorni: la Russia invia 10 mila soldati, la Georgia dichiara lo stato di guerra e denuncia l’avversario per aver iniziato un’invasione su larga scala con la mira di sovvertire il governo del presidente Saakashvili. L’11 agosto le truppe russe si fermano a 45 chilometri da Tbilisi, dopo aver distrutto, soprattutto con bombardamenti aerei, Gori (città natale di Stalin) e Poti, grande porto sul Mar Nero. I georgiani sono in fuga, i profughi sono già più di 60 mila. L’esercito di Saakashvili si è ormai ritirato dall’Ossezia del sud. I russi controllano l’aeroporto di Tbilisi. Il presidente russo Dmitrij Medvedev dichiara: «L’aggressore in Ossezia del Sud è stato punito e ha subìto perdite molto significative. L’obiettivo della pace è stato raggiunto, garantire cioè la sicurezza delle truppe russe e dei nostri connazionali. Ho preso la decisione di mettere fine all’operazione per costringere alla pace le autorità georgiane». Decide perciò di accettare il piano di pace in sei punti disegnato da Sarkozy, presidente di turno dell’Ue, che va in Russia con una sua proposta appositamente per far da mediatore. Il piano prevede: 1) Non ricorso alla forza; 2) Cessazione immediata di tutte le ostilità; 3) Libero accesso agli aiuti umanitari; 4) Rientro in caserma delle forze armate georgiane; 5) Ritiro delle forze russe alle posizioni precedenti al conflitto, ma con la possibilità per l’esercito d’interposizione moscovita di prendere misure supplementari di sicurezza; 6) Inizio di un dibattito internazionale sul futuro status di Ossezia del Sud e Abkhazia. Nonostante l’accordo però i russi non si ritirano del tutto e continuano a tenere sotto controllo la popolazione locale. Dal canto loro gli Stati Uniti non possono intervenire. Bush è a fine mandato e la situazione economica del Paese è troppo grave per permettere impegni militari su altri fronti. Oltre tutto si tratta dell’Europa, uno scacchiere delicatissimo. Perciò Bush si limita a qualche atto dimostrativo o a qualche dichiarazione indignata. Firma con la Polonia l’accordo relativo allo scudo, ammonisce Putin a lasciare intatti i confini con la Georgia, induce il Consiglio di sicurezza della Nato (19 agosto) a emettere un comunicato in cui si definisce la reazione di Mosca «sproporzionata, non conforme al ruolo della Russia di custode della pace ed incompatibile con i principi di regolamento pacifico dei conflitti enunciato dall’atto finale di Helsinki» e aggiunge: «L’Alleanza studia seriamente le incidenze che l’azione russa può avere nelle sue relazioni con la Nato». Il 26 agosto la Russia riconosce (unico stato, insieme al Nicaragua) l’indi-pendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Ha dalla sua il precedente del Kosovo. L’Europa e gli Stati Uniti rispondono considerando illegale e contrario al precedente accordo il riconoscimento. Ma è evidente che il vincitore di questo conflitto è proprio la Russia. Putin ha riaffermato le proprie aspirazioni egemoniche sui paesi dell’ex sfera di influenza sovietica e sancito il ritorno a una politica di grande potenza.