Annuario Panorama 2008, 30 dicembre 2008
Il 9 luglio la Corte d’Appello civile di Milano stabilisce che è possibile interrompere il trattamento di idratazione e di alimentazione forzata a cui è sottoposta Eluana Englaro, una donna di trentotto anni in coma dal 18 gennaio 1992
Il 9 luglio la Corte d’Appello civile di Milano stabilisce che è possibile interrompere il trattamento di idratazione e di alimentazione forzata a cui è sottoposta Eluana Englaro, una donna di trentotto anni in coma dal 18 gennaio 1992. In seguito ad un incidente automobilistico, un gravissimo trauma cranio-encefalico con lesione di alcuni tessuti cerebrali corticali e subcorticali precipitò prima in una condizione di coma profondo, poi in un persistente stato vegetativo con tetraparesi spastica e perdita di ogni facoltà psichica superiore. Il padre Beppino, suo tutore, chiede dal 1999 di interrompere l’alimentazione artificiale (sondino nasogastrico) che la mantiene in vita. Dopo molti appelli e altrettanti no da parte dei tribunali, finalmente nell’ottobre 2007 una sentenza della Cassazione sembra tracciare la strada: l’elemento prioritario è «la libertà di autodeterminazione del malato», che «in tutte le fasi della vita e attraverso il consenso informato» deve poter scegliere le terapie e, se vuole, rifiutarle. Nella sentenza i giudici scrivono che se un adulto non è in grado di manifestare la sua volontà (come Eluana) può farlo il suo legale rappresentante, ma solo dopo che sono stati valutati principi etici o religiosi del malato e nel rispetto del suo «miglior interesse», perché la «prosecuzione della vita non può essere imposta a nessun malato». Nel processo di appello, i giudici si dedicano a delineare personalità e convinzioni profonde di Eluana per inquadrarne la «volontà presunta». Dopo aver interrogato il padre e gli amici, concludono che «non avrebbe mai accettato, nemmeno per poco, men che mai per 16 anni e più, di restare inchiodata a una condizione immutevole e senza speranza». Al procuratore generale che aveva messo in evidenza la formazione cattolica di Eluana, rispondono che, senza approfondimenti, questo «non contraddice l’interpretazione della sua volontà». Quindi indicano la strada che Eluana dovrà compiere nelle ultime ore: tutto deve avvenire in ospedale, garantendo «adeguato e dignitoso accudimento» per tutto il periodo in cui «la vita si prolungherà» dopo la sospensione della somministrazione del cibo, rendendo sempre possibili le visite, la presenza e l’assistenza almeno dei più stretti familiari. In seguito alla sentenza del 9 luglio appare vicina la conclusione della vicenda, ma nascono presto diversi problemi: il dottor Riccardo Massei, che aveva curato la ragazza subito dopo l’incidente e si era dichiarato disponibile a staccare il sondino, ora si tira indietro. La struttura che l’avrebbe dovuta accogliere, Il Nespolo di Airuno, respinge adesso la richiesta di ricovero. Intanto la vicenda riaccende forti discussioni nel Paese sul diritto alla vita e sul testamento biologico: il quotidiano dei vescovi Avvenire parla di «pena di morte. Una mostruosità alla quale non ci si può rassegnare». Beppino Englaro invece dichiara: «Ora la libereremo». Il Foglio di Giuliano Ferrara, insieme al Movimento per la Vita, lancia dal Duomo di Milano una campagna, ”Acqua per Eluana Englaro”, per non far morire la donna. Bottiglie d’acqua sono deposte anche a Roma, davanti al Campidoglio. Il 31 luglio la Procura Generale di Milano decide di ricorrere in Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello, lo stesso giorno la Camera (e il Senato il giorno seguente) decidono di sollevare il conflitto d’attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale nei confronti della Suprema Corte di Cassazione e della Corte d’Appello di Milano per aver di fatto legiferato, autorizzando l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione di Eluana Englaro. Il 3 settembre il direttore generale della Sanità lombarda, Carlo Lucchina, dichiara che la donna non può essere ricoverata in nessuna struttura sanitaria lombarda se il fine del ricovero è quello di staccare la spina, perché «in tali strutture deve essere garantita l’assistenza di base che si sostanzia nella nutrizione, idratazione e accudimento delle persone». L’8 ottobre la Consulta boccia i ricorsi di Camera e Senato che avevano sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Improvvisamente l’11 ottobre Eluana ha un’emorragia uterina molto abbondante, che si ferma solo dopo qualche ora. la prima complicazione in tanti anni di stato vegetativo. I dottori, in accordo con la famiglia, non fanno nulla né durante né dopo la crisi, sperando che la ragazza si spenga così per cause naturali. Ma Eluana si riprende. Il 13 novembre la Cassazione respinge come «inammissibile» il ricorso della Procura di Milano e rende definitiva la decisione della Corte d’Appello. D’ora in poi, basterà staccare il sondino che la alimenta e il momento in cui chiuderà definitivamente gli occhi dipenderà solo dalla resistenza del suo fisico. Secondo i neurologi l’agonia di Eluana durerà circa quindici giorni. Durissima la reazione della Chiesa, che attacca la sentenza. Monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, definisce Eluana «una ragazza mandata a morte». Anche il mondo politico si è spaccato: il centrodestra, compatto, si è scagliato contro la decisione della Cassazione, mentre l’opposizione ha condiviso il verdetto (con il distinguo della componente cattolica). Beppino Englaro spera che si possa finalmente porre fine all’agonia in cui la figlia versa da quasi diciassette anni, sempre in attesa che in Italia si riesca a realizzare una legge che regoli una materia di tale delicatezza e tragicità, anche perchè almeno tremila persone si trovano nella stessa condizione di ”non vita” in cui è costretta Eluana.