Gilberto Corbellini, Il Sole-24 Ore 28/12/2008, pagina 31, 28 dicembre 2008
Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 Mismatch, che si può tradurre con incongruenza, e fallacia astorica sono forse i principali ingredienti all’origine dell’incapacità umana di prevedere le crisi, economiche, sanitarie o ambientali che siano, nonché di gestirle razionalmente una volta che queste si manifestano
Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 Mismatch, che si può tradurre con incongruenza, e fallacia astorica sono forse i principali ingredienti all’origine dell’incapacità umana di prevedere le crisi, economiche, sanitarie o ambientali che siano, nonché di gestirle razionalmente una volta che queste si manifestano. Due condizioni che hanno a che fare con la nostra natura di organismi che l’evoluzione biologica ha dotato di capacità indiscutibilmente straordinarie, ma nondimeno limitate. Tutti gli psicologi e gli economisti che partono da assunzioni biologicamente plausibili circa la natura umana hanno buttato definitivamente a mare il modello dell’homo oeconomicus o decisore perfettamente razionale (che però continua a valere come possibile modello normativo), e sono giunti alla conclusione che la nostra psicologia non è adattata all’economia di mercato. Detto in altri termini, per almeno un milione di anni abbiamo vissuto e quindi ci siamo psicologicamente selezionati per interagire in piccoli gruppi, per effettuare scambi a somma zero e per essere sospettosi e invidiosi verso chi accumulasse potere e ricchezza. Perché nei giochi a somma zero si vince sempre a spese di qualcun altro. L’invenzione dell’agricoltura ha consentito alle società umane di evolvere verso forme di organizzazione complesse, dove grazie alla possibilità di accumulare risorse diventavano possibili giochi a somma non zero, che per un certo periodo sono stati praticati con scarsa efficienza all’interno di una logica meramente mercantilistica. L’avvento delle tecnologie e delle scienze moderne ha consentito il progresso organizzativo, sociale e politico, che ha reso possibile l’economia di mercato e, conseguentemente, anche l’espansione della libertà umana. Il problema è che individualmente conserviamo un naturale disagio psicologico, quando non una vera e propria avversione nei riguardi dell’economia di mercato. Anche perché non contempla quasi più le interazioni personali, ovvero i segnali di cui per ragioni evolutive andiamo alla ricerca per capire se possiamo o no fidarci delle persone con cui effettuiamo una transazione. E tutta la nostra psicologia di relazione, a cominciare dai processi di costruzione della fiducia, si è selezionata per trarre vantaggio da prolungati rapporti interindividuali all’interno di gruppi umani composti da non più di 150 individui. La spersonalizzazione delle dinamiche decisionali che sono implicate nel funzionamento delle società complesse e dei mercati globali viene accettata fino a quando le risorse che giungono al sistema garantiscono che tutti, o almeno la maggioranza, possano guadagnare. Ma se qualcosa si inceppa, se accade o si diffonde il sospetto che qualcuno ha imbrogliato, la fiducia viene istintivamente revocata. Senza minimamente calcolare che agendo in questo modo impulsivo, date le caratteristiche del sistema, il danno peggiora. Insomma, l’economia dei cacciatori-raccoglitori doveva affrontare altri tipi di crisi, del tutto circoscritte e proprie di un’economia a somma zero, per cui non siamo tarati per gestire razionalmente le crisi dei mercati globali. Ci spaventiamo per la mancanza di risposte innate subito disponibili, e agiamo in modo prevalentemente irragionevole. Qualcosa di analogo avviene rispetto alle crisi sanitarie. Perché quando scoppiano gravi epidemie o pandemie si diffonde il terrore? Qualcuno ricorda la Sars? Perché non riusciamo a cambiare gli stili di vita nonostante si sappia che è in arrivo una pandemia di diabete e malattie degenerative dovute al fatto che ci alimentiamo e viviamo in modo insano? Ebbene, le malattie infettive acute, quelle che causano epidemie e pandemie, si sono diffuse solo dopo la transizione all’agricoltura. Quindi noi non siamo preparati, sul piano individuale e sociale, a rispondere razionalmente a questo genere di emergenze. Ci lasciamo perciò prendere dal panico. Per fortuna la scienza, in questo caso, ci è venuta in aiuto. La medicina oggi possiede gli strumenti per ridurre al minimo i danni che le malattie infettive possono in ogni momento provocare. Anche il nostro metabolismo non è tarato per il tipo di alimenti di cui ci nutriamo, ma siamo predisposti a preferire cibi a elevato contenuto calorico, che erano quasi inaccessibili ai nostri antenati cacciatori-raccoglitori. Quindi dovremmo cercare di mettere sotto controllo, attraverso l’educazione e qualche incentivo, i nostri impulsi alimentari se non vogliamo veder presto saltare per aria i sistemi sanitari sotto la pressione della malattie degenerative dovute a stili di vita insani. Una risorsa ce l’avremmo per gestire le crisi. Si tratta della cultura, intesa come esperienza individuale e collettiva storicamente accumulata ed empiricamente validata. Ma anche in questo caso siamo limitati per motivi legati all’evoluzione. Il nostro cervello, sul piano individuale, non è spontaneamente capace di usare in modo obiettivo i dati dell’esperienza. Soprattutto, noi viviamo in un presente ricordato, vale a dire che quello che emerge come decisione cosciente è il prodotto di complessi processi di ricategorizzazione che sono modulati dagli stati emozionali contingenti che condizionano e individualizzano la nostra capacità di apprendere e quello che apprendiamo. La fallacia astorica si esprime soprattutto nell’incapacità, che dimostrano le istituzioni sociali umane che devono mediare tra aspettative fortemente diversificate, di far fronte ai problemi sulla base di una comprensione della loro genesi causale e delle costanti che entrano in gioco. Dovremmo imparare a usare meglio il cervello per non cadere vittime delle trappole cognitive, ma soprattutto di quelle emotive che ci hanno tramandato quegli antenati che, comunque, proprio grazie a queste caratteristiche riuscirono a sopravvivere in un ambiente del tutto diverso dal nostro. Solo una diffusa educazione scientifica, nel senso di un’educazione all’uso di metodi basati su analisi logicamente coerenti dei problemi e sul controllo rigoroso delle soluzioni, può fornire gli strumenti culturali per governare le crisi di un ecosistema umano sempre più innaturale. Mentre ci si dovrebbe guardare da chi propone di tornare alla natura, o avanza soluzioni spacciate per naturali. Sarebbe l’anticamera di ben più devastanti disastri. Gilberto Corbellini