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 2008  dicembre 28 Domenica calendario

Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 Medhat Alì lo fa da cinque anni, Hissam addirittura da 20, Mahmoud invece solo da due

Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 Medhat Alì lo fa da cinque anni, Hissam addirittura da 20, Mahmoud invece solo da due. Tutti e tre abitano al Cairo: due ad Ataba (cruciale punto di passaggio tra la città vecchia e quella europea sede di mercati e di bazar), l’altro a Darb Ab-Nasr (un’area vicino al Nilo oggi concupita dalla speculazione edilizia, ma un tempo luogo di lavoro del porto fluviale). Tutti e tre lavorano, ma in un campo speciale: quello della riparazione. Mahmoud e Medhat riparano telefonini: vanno a prendere i pezzi di ricambio da un rifornitore o a El-Attar e pagano trenta pound per avere un banchetto di lavoro nell’affollata Abdul Aziz street dove si concentra il mercato dei venditori e riparatori di telefonini ed elettrodomestici. Uno ha studiato ingegneria meccanica ma ha trovato più redditizio impiegarsi in proprio, l’altro ha imparato dall’osservazione, seguendo con attenzione gli ingegneri di un centro specializzato. Ora è addirittura in grado di migliorare le prestazioni di alcuni modelli di cellulare intervenendo sul software. Hissam invece ripara mezzi meccanici di ogni genere: ha imparato dal padre e il suo negozio è poco più di un armadio metallico appoggiato a un muro cieco davanti al quale ogni giorno allestisce il suo banco di lavoro. Per una città come Il Cairo dove non si può fare a meno di prendere un taxi e la maggior parte degli autoveicoli risalgono agli anni 60-70, la riparazione è più di una virtù: è una necessità. Così, quando un guasto improvviso ferma la corsa, il tassista affonda le mani nel motore e si riparte. Tutto questo si riflette nella città, nell’assetto fisico delle sue strade, dei suoi vicoli e delle autostrade che attraversano il centro: uno accanto all’altro, i negozi che vendono specchi per automobili o circuiti per computer disegnano un paesaggio informale e fluido dove niente si spreca e tutto si riutilizza al di là di ogni remora dell’urbanisticamente corretto occidentale. Come scrive Marco Navarra – che nella capitale egiziana ha coordinato un workshop di studio e una avvincente pubblicazione (pubblicata da lettera ventidue, ࿬ 18, 00) – Il Cairo è uno straordinario esempio di "repairing city", una città dove tutto si ripara e si ricicla e il concetto di scarto dall’accezione spregiativa di residuo inutilizzato passa al ruolo di elemento di "postproduction": una sorta di ready made, insomma, in versione quotidiana, che ritrasferisce nella vita quel che l’arte d’avanguardia aveva prelevato per portarlo nel museo. Il caso studio del Cairo mette in discussione infatti non solo tanti concetti della cultura architettonica internazionale (come la ricerca del nuovo o la smodata propensione per superfici lucide e perfettamente levigate) ma i presupposti stessi della cultura industriale dell’usa e getta, dove il pezzo di ricambio è considerato un efferato atto di ostinazione terapeutica e l’eutanasia della macchina caritatevole atto di sottomissione alla sopravvivenza del sistema. Ma, come titolava in ottobre un giornale di Toronto, «Market panic? Bring it on». Ovvero, la Borsa cade? Aguzza l’ingegno. Al Cairo non hanno aspettato il settembre nero di Wall Street e da sempre la tecnologia occidentale si è ibridata con il tradizionale ingegno artigianale, dando vita a una sorta di etica del consumo che alimenta un piccolo ma diffuso mercato del lavoro, contribuisce a suo modo alla riduzione dei rifiuti prolungandone l’uso, trasforma lo spazio urbano utilizzandone gli scarti in una involontaria forma di resistenza alle perversioni urbanistiche del l’economia globale. Fulvio Irace