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 2008  dicembre 28 Domenica calendario

Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 C’è un luogo nell’antica Prussia in cui si trovano cose preziose

Il Sole-24 Ore, domenica 28 dicembre 2008 C’è un luogo nell’antica Prussia in cui si trovano cose preziose. Qui sono custoditi l’orecchio di Van Gogh, i disegni ignoti di Paul Klee e persino un autentico tappeto volante (temporaneamente fuori servizio). Oggetti letteralmente incredibili tutti raccolti nel Museo delle Bugie, situato ai bordi di Kyritz, un paesino in mezzo alla campagna del Brandeburgo nella Germania settentrionale. Tra questi laghi e foreste amava camminare Theodor Fontane, e non a caso uno dei pezzi più pregiati in esposizione è una scarpa da viaggio dell’autore di Effi Briest. La facciata del signorile e cadente edificio è decorata con moderni affreschi che ritraggono il conte Dracula, l’imperatore Nerone, ma anche scene tratte dai miti greci o da Guerre stellari. Una certa confusione nella scelta dei motivi è forse dovuta al fatto che, come ci spiega il direttore e unico dipendente Reinhard Zabka, «un lato della facciata è dedicata alla bugia, l’altro alla verità, ma non so più quale sia l’uno e quale sia l’altro». Varcare la soglia del suo Museo delle Bugie significa entrare in una luccicante Wunderkammer estesa su più stanze ricolme di oggetti variamente illuminati che emanano fischi, botti, scoppi e ticchettii. A chiudere gli occhi pare di risentire, potenziato all’infinito, il corale trillo di orologi che introduce le prime battute di Time dei Pink Floyd. D’altronde qui la psichedelia è di casa, come dimostra la stanza dedicata alla "Psychedelica Maschinka", un indecifrabile groviglio di utensili e ingranaggi in perpetuo movimento che non serve assolutamente a nulla anche se pare che il crollo del Muro di Berlino sia stato messo in moto proprio da quest’aggeggio. I primi pezzi della sua Machinka Zabka li assemblò nel 1968 fa quando, diciottenne cittadino della DDR, venne a sapere che le truppe sovietiche avevano soffocato la Primavera di Praga. Lui allora scelse di dare libero corso a quella fantasia che in politica non sarebbe andata al potere. Da quel momento non ha più smesso di realizzare le sue idee strampalate, conducendo sotto il regime comunista un’esistenza da artista dissidente mal tollerato dalla polizia, che per tenerlo meglio sott’occhio gli tolse il passaporto privandolo della possibilità di spostarsi. «I miei concittadini almeno potevano viaggiare nei Paesi della Cortina di Ferro, io nemmeno in quelli. Vivevo ai margini della legalità, privato della libertà di movimento». Forse è per questo che tra le sue invenzioni vi è una «lanterna per evocare nostalgia dei Paesi lontani», a disposizione di chi voglia sospirare pensando alle mille avventure che non ha mai vissuto. Quando i confini vennero aperti, il primo viaggio Reinhard lo compì in Italia, dove espose alla biennale di Venezia del 1990. «Ma se il comunismo non apprezzava la mia arte, presto capii che anche sul libero mercato non ci sarebbe stato molto spazio per il Massimalismo, la corrente artistica di noi dissidenti della Germania Est, che propugnava l’accumulazione infinita come reazione alle ristrettezze dell’economia precaria. Una tendenza che, con la caduta del Muro, divenne espressione di gioia ed euforia di fronte alle mille nuove possibilità che parevano aprirsi davanti a noi». Zabka scelse così di ritirarsi in provincia e dedicare al Massimalismo un intero museo, il suo. E per continuare a provocare anziché dormire sugli allori approfittando della fama di ex perseguitato, scelse di intitolare una stanza al "Vittoriale dei Tedeschi dell’Est", in ricordo di una dittatura repentinamente cancellata dalla Storia. Da qualche tempo nel giardino sul retro è invece allestito un cimitero degli investimenti falliti, per ironizzare sul grande dispendio di denaro pubblico seguito alla Riunificazione. «Nei primi tempi come direttrice del Museo assunsi Emma von Hohenbüssow... una gallina. Emma mi ricordava quelle guardiane dei musei dell’Est che allungavano il collo per spiare i visitatori, terrorizzate dal fatto che a qualcuno saltasse in mente di toccare qualcosa. Dovetti mandare vari formulari perché anche Emma, dopotutto, aveva bisogno della previdenza sociale. Non mi rispose nessuno, tranne l’associazione dei musei, che comprese l’ironia e mi accettò come membro». Chi invece ancora ha difficoltà a capire le creazioni di Zabka sono gli abitanti di Kyritz, che proprio non ci stanno a venire associati a un Museo delle Bugie. «Che ci posso fare, questa regione è la più sottosviluppata della Germania. La gente è passata dal nazismo al comunismo e ancora tarda a rielaborare il passato. Il paesaggio è idilliaco, ma per essere additato come straniero basta venire da Berlino. Io tuttora, a vent’anni dalla caduta del Muro, rimango bollato come "il dissidente". un peccato, perché da queste parti tranne la cultura non arriva più niente, i giovani scappano per cercare fortuna a Ovest, le condizioni di vita sono miserabili». A dire il vero capire l’essenza di questo Museo delle Bugie non è facile nemmeno per chi viene dalla città. «La realtà» teorizza Reinhard «è che un museo delle bugie è una contraddizione in termini, quindi non significa nulla. E il nulla è una categoria chiave dell’arte contemporanea. Qui gli oggetti sono privi dell’intento pedagogico. Non vogliono trasmettere nulla ma solo ispirare, come le Muse». Pare che un giornalista sia passato da queste parti e di fronte a tanta inventiva dadaista sia scoppiato a piangere dall’emozione. Di sicuro una bugia. Quanto a noi, prima di andarcene finalmente le Muse ci vengono in soccorso. E allora capiamo che la vera opera d’arte di Reinhard Zabka non è questo o quell’oggetto tra le mille e una assurdità a cui lavora da decenni. Il vero capolavoro è il Museo nella sua interezza. Esso è dedicato alle frottole perché, come recita una frase sulla soglia d’ingresso di questa strana dimora, «la bugia al servizio della verità toglie alle stelle la polvere della quotidianità». Alessandro Melazzini