Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 30 Martedì calendario

«Il mondo deve riconoscerci come Paese nucleare», annuncia il 9 aprile il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, nel secondo anniversario del primo arricchimento di uranio compiuto con successo nel 2006

«Il mondo deve riconoscerci come Paese nucleare», annuncia il 9 aprile il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, nel secondo anniversario del primo arricchimento di uranio compiuto con successo nel 2006. solo una delle tappe della guerra a base di provocazioni, minacce e avvertimenti che si combatte da tempo fra Teheran da una parte e Stati Uniti e Israele dall’altra. Il 3 giugno Ahmadinejad arriva a Roma, in occasione del vertice Fao sull’alimentazione. La visita anche in questo caso porta con sé proteste e polemiche. Il regime islamico persegue un suo progetto nucleare (per scopi civili, insiste Teheran, con obiettivi militari, pensano gli Stati Uniti) e soprattutto è diventato il più strenuo nemico di Israele. Ancora il giorno prima di partire per Roma il leader iraniano afferma che «il regime sionista criminale e terrorista, che ha una storia di 60 anni di saccheggi, aggressioni e crimini, è alla fine e verrà presto cancellato dalle carte geografiche». Profetizza poi la fine della potenza americana: «Il tempo delle potenze tiranniche è finito, gli Usa e tutte le potenze sataniche se ne andranno e la giustizia arriverà». Solo un mese prima l’Iran, dopo aver ignorato quattro risoluzioni Onu, aveva iniziato a installare 6000 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, che si andavano ad aggiungere alle 3000 già attive. Da più di due anni infatti Teheran porta avanti un programma nucleare molto articolato, con impianti dislocati in tutto il paese, spesso installati in grotte o in luoghi nascosti, in modo che sfuggano al controllo della comunità internazionale. A causa di questa sua politica nucleare, di un acceso nazionalismo, di un accanito antisionismo e di un tenace anti-imperialismo, Ahmadinejad è diventato il principale nemico dell’amministrazione americana, che ha bollato l’Iran come il membro più pericoloso del cosiddetto asse del male. Bush si è sempre opposto fortemente alla possibilità che Teheran si dotasse di una bomba atomica e ha spinto l’Ue, più tendente al dialogo, verso posizioni intransigenti. Così il 30 marzo 2008 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha varato la risoluzione 1803 che punisce attraverso sanzioni diplomatiche il regime iraniano. Dopo quella data per ben tre volte il regime degli ayatollah ha visto inasprirsi le sanzioni da parte degli stati occidentali. In ultimo il 24 giugno l’Ue vara un pacchetto di misure, comprendenti il congelamento delle attività continentali degli istituti di credito iraniani e il divieto di circolazione per un certo numero di diplomatici e consulenti di Teheran. Nel mirino soprattutto la Banca Melli, centrale finanziaria del regime con diverse filiali in Europa. Vengono congelati anche i fondi di altri quattordici istituti, responsabili secondo l’Ue di essere il tramite attraverso il quale Teheran finanzia i propri piani nucleari. Si stima che i capitali iraniani depositati all’estero ammontino a 75 miliardi di dollari, ma si ignora quanti di questi si trovino in fondi europei. Il fatto che l’Iran possa un giorno possedere missili con testate nucleari, è il peggior incubo per la sicurezza di Israele (che però l’atomica la possiede). Così mentre il paese festeggiava il 60° anniversario della propria nascita, il ministro della difesa Ehud Barak dichiarava che un confronto militare «per la vita o per la morte è un’innegabile possibilità». Come molti osservatori internazionali, Bill Emmot, ex direttore dell’Economist, prevede che nei primi mesi del 2009 «quasi sicuramente» Israele attaccherà l’Iran per distruggerne gli impianti atomici.