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 2008  dicembre 30 Martedì calendario

Il giorno che l’Italia ebbe via libera per partecipare all’euro, il 25 marzo 1998, Wim Duisenberg stupì i giornalisti perché aveva imparato una parola in italiano

Il giorno che l’Italia ebbe via libera per partecipare all’euro, il 25 marzo 1998, Wim Duisenberg stupì i giornalisti perché aveva imparato una parola in italiano. «Pre-o-ku-pa-dzio-ne» sillabò a fatica, in una lingua che non conosceva, l’olandese poi designato primo presidente della Banca centrale europea. L’Italia poteva partecipare, sì, ma ai suoi governi si raccomandava la «costante preoccupazione» di ridurre più in fretta possibile l’altissimo debito pubblico. Non era un caso che Duisenberg avesse tenuto a mente quella parola, mentre non seppe ricordare, nella conferenza stampa all’Hotel Frankfurter Hof, le cifre che la giustificavano. C’era dietro un retroscena che solo ora emerge. Nella notte, la traduzione italiana delle quasi 400 pagine del «Rapporto di convergenza» (il verdetto delle banche centrali su promossi e bocciati per l’euro), era stata bloccata perché discordante dall’originale inglese. Era stata una bizzarra iniziativa [FIRMA]in extremis di Antonio Fazio, allora governatore della Banca d’Italia, e coautore del rapporto. Già Carlo Azeglio Ciampi, ministro del Tesoro, era intervenuto per far modificare il «serious concern», seria preoccupazione, in «ongoing concern», costante preoccupazione. Timoroso di essere accusato dal governo di Roma di non aver fatto abbastanza per assicurare un tranquillo ingresso nell’euro, Fazio aveva fatto tradurre «concern» invece che con il suo esatto equivalente italiano, con un termine più blando, «attenzione». Parrebbe un’inezia; ma nel linguaggio codificato e allusivo dei banchieri centrali, era roba scottante. Tanto più che mesi prima Duisenberg si era lasciato sfuggire la previsione che l’Italia sarebbe stata esclusa. Le formule del Rapporto erano state contrattate parola per parola; si ripetevano uguali, nel caso del debito, per Belgio e Italia. Con il senno del poi, forse sarebbe stata giusta la maggiore durezza che Ciampi era riuscito ad evitare, perché il Belgio si è davvero «preoccupato» di ridurre il suo debito, l’Italia assai meno. Anche caricato del fardello del debito italiano, l’euro ha funzionato: ormai per un decennio. Seconda valuta del pianeta dopo il dollaro, lo supera per numero di banconote in circolo. Nessuno più si preoccupa delle suscettibilità nazionali che imposero di modificarne il disegno, evitando che si riconoscessero sul biglietto da 5 il francese Pont du Gard e sul biglietto da 50 il Ponte a Santa Trìnita di Firenze. E’ svanita la sciocca paura tedesca che le banconote serie X, stampate in Germania, fossero più sicure delle serie S, italiane, o M, portoghesi. Da dopodomani quelle banconote circoleranno anche in Slovacchia, sedicesimo Paese ammesso. L’attuale governo polacco mira ad entrare nel 2011; nella migliore delle ipotesi otterrà il 2012, ma sarebbe comunque un passo avanti di grande importanza. Nella crisi finanziaria, la Danimarca si è accorta che è costosa la soluzione di conservare una moneta nazionale pur se agganciata all’euro. Resistono solo i britannici, dei quali solo il 22% desidera sostituire la malconcia sterlina con l’euro. Dove l’euro c’è, molti - nell’ordine soprattutto spagnoli, italiani e tedeschi - gli danno la colpa dell’aumento dei prezzi. Ma è curioso che le stastiche ufficiali sull’inflazione suscitino dubbi anche in Gran Bretagna, dove i prezzi restano in sterline. E, secondo un sondaggio appena condotto dal Financial Times, ampie maggioranze in ciascun Paese euro rifiutano il ritorno alle vecchie monete nazionali: 61% in Italia, 69% in Spagna, 72% in Germania, 75% in Francia. Stampa Articolo