Annuario Panorama 2008, 30 dicembre 2008
Il 13 e 14 aprile l’Italia va alle urne per le elezioni politiche anticipate: il governo di centrosinistra di Romano Prodi è durato meno di due anni
Il 13 e 14 aprile l’Italia va alle urne per le elezioni politiche anticipate: il governo di centrosinistra di Romano Prodi è durato meno di due anni. Vince con ampio margine il centrodestra. Silvio Berlusconi sarà il nuovo presidente del Consiglio e guiderà il suo quarto esecutivo. Il suo Popolo della Libertà (la lista che ha accolto insieme i candidati di Forza Italia e quelli di Alleanza nazionale) raggiunge al Senato il 38,17 per cento e si attesta al 37,38 alla Camera. Ma anche l’alleato principale, cioè la Lega di Umberto Bossi, cresce molto, incassando l’8,29 per cento a Montecitorio e l’8,06% a Palazzo Madama, e raddoppiando quasi i consensi del 2006. Perde Walter Veltroni, che con Antonio Di Pietro resta circa 9 punti sotto (il Pd è al 33,17 per cento alla Camera e al 33,69 al Senato, l’Italia dei Valori rispettivamente al 4,37 e 4,31). Tra gli altri partiti solo l’Unione di centro di Pier Ferdinando Casini riesce a superare lo sbarramento del 4 per cento alla Camera (ottiene il 5,62 per cento) e quello dell’8 per cento su base regionale a Palazzo Madama (solo con la Sicilia, però, che dà ai centristi tre senatori). Tutte le altre formazioni, comprese alcune storiche della sinistra, restano fuori dal Parlamento. Il quadro politico ne esce nettamente semplificato. Alla Camera restano solo sei partiti: PdL, Lega, Movimento per l’Autonomia (l’alleato di Berlusconi al Sud), Pd, Italia dei Valori e Udc, unica forza estranea ai due schieramenti principali. Il potere di ricatto dei partiti dell’un per cento o poco più è stato disintegrato. Anche i referendari hanno vinto la loro partita. La legge elettorale, il cosiddetto Porcellum – invisa a molti perché non consente all’elettore di esprimere preferenze, ritenuta da altri responsabile dell’instabilità di governo ”, era rimasta anche durante la crisi al centro dello scontro politico. C’era chi, come Veltroni, avrebbe voluto un governo a tempo, giusto per dare al Parlamento la possibilità di cambiarla e per andare poi al voto con una nuova legge, e chi, come Berlusconi, voleva invece subito le elezioni. Senza esito il mandato esplorativo al presidente del Senato Franco Marini. Alla fine, il 6 febbraio, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scioglie le Camere: si andrà a votare col Porcellum. Comincia una campagna elettorale caratterizzata dalla polarizzazione sui due candidati dei partiti maggiori (nessuno dimostra di credere alle chance degli altri otto), che peraltro non si incontreranno mai davanti alle telecamere. Il duello è tutto a distanza: Veltroni è impegnato in un tour che lo porta in tutti i capoluoghi di provincia italiani, s’impone di non nominare mai Berlusconi (lo chiama «il principale esponente dello schieramento a noi avverso»), galvanizza le folle dei sostenitori assicurando la rimonta dallo svantaggio iniziale (valutato in una decina di punti percentuali) e annunciando ogni volta che può che il distacco dal PdL si fa più esiguo. Berlusconi apre la sua campagna al Palalido di Milano facendo a pezzi davanti a ottomila fan il programma del Partito democratico, indigna gli avversari politici ma spiega che nella precedente legislatura è così che il centrosinistra ha trattato il programma, come carta straccia. Sulla rimonta del Pd ostenta sicurezza sino alla fine: secondo i suoi sondaggi il vantaggio del PdL è rimasto immutato. Le urne diranno che è Berlusconi a centrare il pronostico, ottenendo una solida maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. E due settimane più tardi il risultato del ballottaggio a Roma, con l’elezione di Gianni Alemanno al Campidoglio, amplia la portata della sconfitta del Pd (che pure ha raccolto un paio di punti in più dell’Ulivo nel 2006). Non va bene peraltro nemmeno a quanti nel centrodestra hanno rifiutato di sciogliersi nella lista di Berlusconi o gli si sono messi in qualche modo di traverso: l’Udc di Pier Ferdinando Casini ha preso meno voti che nel 2006, quando l’Italia votava a sinistra, e non è determinante in Parlamento; la Destra di Francesco Storace e Daniela Santanché, con il 2,42 per cento, resta fuori. Così come Giuliano Ferrara e la sua lista ”Aborto? No grazie”, che si ferma allo 0,37 («più che una sconfitta, una catastrofe», ammetterà subito dopo). Forte dei numeri che ha ottenuto, sulla presidenza delle Camere il centrodestra si sente in diritto di muoversi come ha fatto il centrosinistra - con una maggioranza ben più risicata - due anni prima , ovvero mettendo propri uomini sia alla seconda sia alla terza carica dello Stato. La sedicesima legislatura comincia il 29 aprile con l’elezione al primo turno del nuovo presidente del Senato: Renato Schifani, 58 anni, avvocato di Palermo, capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama nella precedente legislatura. Il giorno dopo la Camera elegge a suo presidente Gianfranco Fini, 56 anni, capo di Alleanza Nazionale. Tra applausi bipartisan (i democratici hanno votato scheda bianca in tutt’e due le assemblee), Fini riconosce come date unificanti sia il 25 aprile che il 1° maggio. Napolitano dà l’incarico a Berlusconi, che forma piuttosto rapidamente il suo quarto governo (l’8 maggio il giuramento al Quirinale). I ministri sono dodici, più nove senza portafoglio. Tra questi ultimi, il leader della Lega Umberto Bossi, alle Riforme. Il governo non ha vicepresidenti del Consiglio per evitare qualunque gelosia nei confronti del sottosegretario alla presidenza, Gianni Letta, che Berlusconi avrebbe voluto come suo vice. An e Lega sono stati trattati alla pari: quattro ministeri ciascuno, due dei quali senza portafoglio. Le donne sono quattro: anche qui, due col portafoglio e due senza. Giorgia Meloni, di 31 anni, è il ministro più giovane nella storia della Repubblica. La stampa straniera ha giudicato Mara Carfagna (33 anni) la ministra più bella del mondo. Roberto Calderoli, contro il quale Gheddafi e la Lega araba avevano fatto campagna, ha chiesto scusa prima della nomina e ha così ottenuto il via libera anche di Gheddafi, nonostante un minaccioso comunicato del ministero dell’Interno libico la sera stessa del giuramento (Calderoli, al tempo delle vignette anti-islamiche danesi, s’era sbottonato la camicia durante un’intervista al Tg1 e aveva mostrato una maglietta decorata da una delle vignette: l’esibizione aveva provocato manifestazioni di protesta in Libia e una decina di morti). Il giovane avvocato Angelino Alfano è il nuovo ministro della Giustizia. Tra i primi atti del nuovo governo: il primo Consiglio dei ministri, come promesso in campagna elettorale, a Napoli, la città che da mesi soffre del problema dei rifiuti, e la nomina di Guido Bertolaso a sottosegretario alla presidenza del Consiglio con pieni poteri in materia di rifiuti; una stretta sulla sicurezza attraverso un decreto che prevede una serie di inasprimenti per i reati commessi da clandestini. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti abolisce poi del tutto l’Ici sulla prima casa.