Annuario Panorama 2008, 30 dicembre 2008
La sera del 10 marzo un ginecologo di Genova, Ermanno Rossi, si toglie la vita gettandosi dalla finestra del suo studio: poche ore prima aveva saputo di essere coinvolto in un’inchiesta su aborti clandestini
La sera del 10 marzo un ginecologo di Genova, Ermanno Rossi, si toglie la vita gettandosi dalla finestra del suo studio: poche ore prima aveva saputo di essere coinvolto in un’inchiesta su aborti clandestini. L’episodio ha un impatto particolare sui media e nell’opinione pubblica perché da alcuni mesi il tema dell’aborto è tornato di grande attualità: se ne è fatto carico addirittura una lista politica. E nel pieno di una campagna dai toni piuttosto bassi, è proprio la questione dell’aborto quella su cui si accende maggiormente lo scontro. A riaprire il dibattito (e vecchie ferite) è un laico carico di passione, Giuliano Ferrara, che 24 ore dopo l’approvazione alle Nazioni Unite della moratoria sulla pena di morte, il 20 dicembre 2007, lancia la proposta di una moratoria universale sull’aborto, «lo scandalo supremo della nostra epoca», chiedendo ai rappresentanti dei governi nazionali il parere favorevole ad un emendamento alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che, dove afferma «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona», aggiunga «dal concepimento fino alla morte naturale». La battaglia di Ferrara inizia con uno sciopero della fame e prosegue ospitando sul suo quotidiano, Il Foglio, pareri (favorevoli e contrari) di privati cittadini, associazioni e personalità pubbliche. A febbraio lascia la conduzione di Otto e mezzo su La7 annunciando la fondazione di un partito politico, ”Associazione difesa della vita. Aborto? No grazie”, per provare a portare il problema in Parlamento. Fallito il tentativo di un apparentamento con Berlusconi (il Cavaliere vuole che tutti confluiscano nel PdL e gli offre, invano, un seggio) e senza nessun sostegno ufficiale della Chiesa (anzi, con qualche segnale di avversione), Ferrara decide comunque di correre da solo. Durante la campagna elettorale è fortemente contestato: episodio limite in piazza Maggiore a Bologna, con lancio di pomodori, uova, bottiglie d’acqua e sedie. Messi in campo l’uno contro l’altro, ci sono i cosiddetti valori non negoziabili: la tutela della donna e la sua autodeterminazione da un lato; la difesa della vita dall’altro. Ferrara sostiene di non voler puntare ad abrogare o modificare la legge 194 - quella che, approvata nel 1978 e confermata con un referendum nell’81, consente alla donna, nei casi previsti dalla legge, di ricorrere all’interruzione di gravidanza - ma solo condannare con la maggior forza istituzionale possibile l’indifferenza generale dei contemporanei verso l’aborto, oggi ridotto a una pratica banalizzata dalla routine o, peggio, a un atto di eugenetica. La tensione giunge al culmine a Napoli l’11 febbraio. La polizia arriva al Secondo Policlinico in seguito alla telefonata di un portantino, Ciro De Vivo, che denuncia un infanticidio: «Se mandate adesso una macchina li prendete ”ncopp’o fatto, quella donna ha abortito nel cesso». In realtà quella donna è la signora Silvana, 39enne di Frattamaggiore, regolarmente in ospedale per un’interruzione volontaria di gravidanza provocata dalla scoperta (mediante l’amniocentesi ed esame del cariotipo), che il suo feto di cinque mesi era affetto dalla sindrome di Klinefelter, un’anomalia cromosomica diffusa (solo in Italia colpisce un maschio ogni cinquecento nati), caratterizzata da testicoli piccoli, grandi mammelle, e un’alta probabilità di risultar sterili. Una malattia per cui la legge ammette l’aborto terapeutico, quello che può essere praticato anche oltre i tre mesi dal concepimento. Ricoverata insieme alle puerpere (non c’era personale sufficiente altrove) finisce per abortire nel bagno del reparto di Ostetricia. Da qui il motivo della telefonata. Tornando in camera, la signora Silvana trova appunto gli uomini in divisa. La sua versione è di essere stata «massacrata di domande» dalla polizia (sette gli agenti intervenuti), che sequestra anche il feto su disposizione della Procura (l’ipotesi è che si sia compiuto un aborto illegale). Ne nascono polemiche furibonde, anche se qualche giorno dopo il portantino che ha fatto la telefonata, un ex carabiniere, testimonierà che il comportamento dell’ispettrice di polizia, l’unica di fatto che ha sentito la donna in ospedale, è stato professionale e discreto. La Procura, non avendo riscontrato alcun reato, chiede subito l’archiviazione ma intanto si sono aperte altre cinque inchieste (Policlinico, ministero della Salute, quello della Giustizia, Csm e Garante per la privacy). Il giorno dopo centinaia di femministe scendono in piazza a Milano per protestare. Venerdì 15 migliaia di donne sono ancora in corteo a Roma, Milano, Bologna, in un clima che ricorda gli anni Settanta. Parla anche Livia Turco, allora ministro della Salute: quello di Napoli «è un episodio che penso debba farci riflettere tutti perché rispecchia il clima di tensione inaccettabile che si è venuto a creare attorno a una delle scelte più drammatiche per una donna». Un mese più tardi, il 10 marzo, i riflettori della cronaca inquadrano il caso del ginecologo buttatosi dall’undicesimo piano di un palazzo di Rapallo. Ermanno Rossi lavorava all’Istituto Gaslini di Genova, un ospedale specializzato nella cura delle malattie infantili dove si praticano (solo) aborti terapeutici. Aveva due studi privati, uno nel grattacielo di Rapallo e un altro in via XX Settembre a Genova. Intercettato in seguito a una segnalazione anonima ricevuta dai Nas, su cui si monta l’accusa di aver permesso a molte donne di abortirei nei suoi studi a 500 euro per l’aspirazione del feto. Se fosse vero, la legge 194 risulterebbe violata, dato che la 194 ammette l’aborto solo in istituti pubblici. Dall’inchiesta, condotta dal pm Sabrina Monteverde, era emersa l’ipotesi di un giro di aborti clandestini riguardante soprattutto la Genova bene. Nella maggior parte dei casi si trattava di donne sposate che avevano bisogno della massima discrezione. Tra queste spunta anche il nome di Susanna Torretta, nota per essere stata amica della contessa Francesca Vacca Augusta e per aver partecipato a un reality show. In quanto «personaggio pubblico», un mese prima si era rivolta al dottor Rossi proprio per evitare che la notizia trapelasse.