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 2008  dicembre 30 Martedì calendario

Il 2008 si chiude, in architettura, con un dubbio: che fine faranno i grattacieli? Proprio i tracolli finanziari degli ultimi mesi rischiano di incrinare un modello considerato «scaccia-crisi» per la capacità di attirare investimenti e produrre nuova tecnologia in stagioni di recessione economica

Il 2008 si chiude, in architettura, con un dubbio: che fine faranno i grattacieli? Proprio i tracolli finanziari degli ultimi mesi rischiano di incrinare un modello considerato «scaccia-crisi» per la capacità di attirare investimenti e produrre nuova tecnologia in stagioni di recessione economica. E anche la «sfida culturale» non appare più così convincente: i parigini hanno bocciato i piani di «sviluppo verticale» voluti dal sindaco Delanoë; Pechino – che pure immagina il nuovo «Shanghai Center» come il grattacielo Chrysler di New York dopo il 1929 – ha cominciato a disegnare secondo uno «sviluppo orizzontale»; Londra ha faticato un poco – soprattutto per le enormi questioni di sicurezza – a digerire la nuova «scheggia» di Renzo Piano; Massimiliano Fuksas ha dovuto incassare la bocciatura della Regione Liguria; e un mostro sacro come I. M. Pei ha disegnato il nuovo museo di arte islamica in Qatar come una successione di cubi. L’ultimo caso clamoroso in Italia riguarda proprio lo stop al progetto di Massimiliano Fuksas per il porto turistico della Margonara e del Faro di Savona (già soprannominato la «Banana», 124,9 metri di altezza) perché «non sarebbero state rispettate le prescrizioni del ministero e della stessa Regione». Ma le polemiche erano iniziate subito. E adesso Fuksas dichiara: «Quello che mi è successo è la metafora della difficoltà di fare architettura in Italia». Se già in marzo un convegno internazionale a Ferrara lanciava il XXI secolo come il secolo della demolizione dei grattacieli a favore di «nuove città compatte», il problema non è certamente soltanto italiano. A Londra, dove la competizione elettorale per l’elezione del sindaco ha visto anche il confronto tra due modelli di sviluppo architettonico, quello «verticale» di Ken Livingstone e quello «tradizionale» del vincitore, Boris Johnson, orientato alla qualità anche ecologica degli edifici, iniziano ora i lavori per la realizzazione della «Shard of Glass», la «scheggia » di Renzo Piano: 310 metri che dovrebbero trasformare in qualcosa di finalmente vivibile quello che il Times ha definito «una delle più orrende stazioni mai costruite» («l’importante non sono i grattacieli in sé ma tutto quello che viene costruito intorno» tiene comunque a precisare l’architetto genovese). Dall’altra parte della Manica, a Parigi, il 63% dei cittadini (forse bruciati dall’esperienza di quella Torre Montparnasse, anni Sessanta, considerata tra i 100 edifici più brutti mai messi in piedi) si sono detti invece contrari all’innalzamento, oltre gli attuali 37 metri, del limite di altezza per i nuovi edifici. Non si tratta di un semplice quesito teorico: alcuni dei palazzi pensati per le aree di Porte de la Chapelle, di Massena-Bruneseau, di Percy-Poniatowski (tra gli architetti impegnati gli studi Sauerbruch-Hutton e Brenac- Gonzales) supererebbero addirittura i 120 metri «stravolgendo l’intero skyline della capitale». Viene da chiedersi, a questo punto, che cosa diranno i parigini quando nel 2012 sarà consegnato «Le Phare» di Thom Mayne che dovrebbe arrivare a 300 metri (la Torre Eiffel è alta solo 320). Il problema dei grattacieli è politicamente «trasversale»: a Parigi è il sindaco Bertrand Delanoë (socialista) ad aver commissionato gli undici progetti per la nuova Parigi verticale (comunque con il beneplacito di Sarkozy). A Roma è Gianni Alemanno (centrodestra) a dirsi contrario alla «Casa di Vetro» (non proprio un grattacielo) e a volere, al contrario, preservare le Torri del ministero delle finanze perché il nuovo edificio (ancora Piano) sarebbe «fuori contesto» e «comprometterebbe l’unità architettonica dell’Eur». Eppure c’è chi dice che solo «chi non conosce la storia spara sui grattacieli» e, soprattutto in Cina, si parla spesso dei grattacieli come «simbolo dell’inizio di una ripresa » (il nuovo Shanghai Center è alto 632 metri e ha 120 piani), anche se, nel dubbio, il Paese ha deciso di espandersi anche in orizzontale. Certo, i possibili motivi della crisi sono evidenti: i problemi di sicurezza «post 11 settembre»; gli elevati costi energetici e di mantenimento (sarà per questo che la maggior parte dei progettisti ama ricordare che i loro edifici sono «ecologicamente corretti»); l’innegabile impatto ambientale soprattutto in Italia (non a caso Isozaki ha pensato e vinto il concorso per la nuova stazione di Bologna con un progetto «piatto e senza grattacieli»). Italia Nostra, in un appello contro la Torre del San Paolo a Torino (anche questa di Piano) ha messo in guardia da tutti gli «inserimenti estranei che potrebbero compromettere l’intera immagine della città» (la torre è stata poi ridimensionata, diventando più bassa della Mole Antonelliana). Ma per la «nuova» Rimini, accanto a progetti che riqualificano il lungomare con «collinette artificiali » e «dune nel verde», c’è anche il progetto di Norman Foster che prevede un mega albergo a Piazzale Kennedy che sembra guardare al modello dei «grattacieli Disney », comunque ancora lontani da quello, annunciato, di Dubai, che dovrebbe sfiorare i mille metri di altezza: 200 piani per una vera e propria città di centomila abitanti sospesa in aria. Forse, più che di altezza, sarebbe meglio parlare di qualità, ma certo può colpire il fatto che l’archistar I. M. Pei (lo stesso della Piramide del Louvre) per il suo nuovo Museo d’arte islamica, in Qatar, abbia voluto un cubo «che fosse solo l’espressione di una progressione geometrica», che fosse «austero e semplice». E che, soprattutto, non fosse più alto di 164 piedi («nemmeno» 50 metri). L’HSB Turning Torso Tower di Santiago Calatrava a Malmö. il più alto edificio residenziale del Nord Europa (190 metri, 54 piani), visibile anche dalla Danimarca