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 2008  dicembre 30 Martedì calendario

WASHINGTON

Michael Walzer teme che a breve termine «Hamas sia un problema insolubile». Il filosofo politico, autore di «Guerra giusta e ingiusta», lo attribuisce alla spaccatura formatasi in alcuni Paesi arabi, in particolare sunniti, tra il governo, «che in privato sembra propendere per Israele», e la folla «che appoggia Hamas nelle strade».
Per ragioni di stabilità interna, questi governi, quello egiziano in testa, depreca Walzer, «non riescono a prendere posizione in pubblico contro Hamas, pur rendendosi conto che minaccia di destabilizzare l’intera regione». E senza di essi, aggiunge Walzer, «non vedo proprio come si possa neutralizzare in fretta Hamas ». Il filosofo spera in una soluzione a lunga scadenza «sotto la Presidenza Obama », tramite negoziati con l’Iran e la Siria, «ma non ne ho la certezza», ammonisce.
C’è qualche maniera di influire sul mondo arabo in questa escalation della tensione?
«Come si può fare cambiare atteggiamento all’uomo della strada in pochi giorni? impossibile. La guerra a Gaza produce l’effetto contrario a quello da noi desiderato. In certi Paesi arabi, il pubblico dà l’impressione di voler ribellarsi al suo governo».
Ritiene insanabile la spaccatura governo- pubblico nei Paesi chiave mediorientali?
«Al momento sì. I governi sunniti sono ostili ad Hamas: Il Cairo a esempio, dopo aver fallito la mediazione tra di esso e Israele, ha rafforzato le proprie difese ai confini con Gaza. Ma non ha ancora bloccato l’afflusso di missili ad Hamas. Mi pare che Israele rischi il bis del Libano di due anni fa».
In che senso?
«In Libano l’Hezbollah, a mio giudizio una forza sciita terrorista come Hamas, fu avversato dall’Egitto e l’Arabia Saudita, che però non intervennero. Insieme con l’America e l’Europa, i Paesi arabi sunniti hanno tentato di isolare Hamas, ma di nuovo senza intervenire, perciò senza alcun successo. Hamas non provvede ai palestinesi, non dà loro speranza, crea anzi scontento, eppure rimane al potere come ci è rimasto l’Hezbollah».
Lei pensa che Hamas abbia seguito il modello Hezbollah in questa crisi?
«Sicuramente lo sta seguendo adesso. Ha freddamente messo termine alla tregua e provocato Israele con una pioggia di missili. Crede che se dopo gli attacchi israeliani restasse in piedi potrebbe proclamare vittoria come fece l’Hezbollah dopo l’invasione israeliana del sud del Libano. Agli occhi del mondo arabo, soprattutto di quello più radicale, non avrebbe tutti i torti».
Ma Israele è deciso a sconfiggere Hamas.
«Non capisco la sua strategia, non la capirei nemmeno se invadesse Gaza. Che cosa succederebbe se arrivasse a fare mille morti palestinesi, e Hamas continuasse a lanciare i missili? Forse, anziché qualche giorno di devastazione, era meglio un ricorso graduale alla forza sorretto da costanti inviti a cessare il fuoco. Avrebbe reso tutto più facile ai governi arabi moderati».
Vede qualche via d’uscita?
«Bisogna stroncare l’afflusso di missili ad Hamas, che ne dispiega di sempre più potenti e sta diventando una vera minaccia per Israele, e bisogna concordare una tregua. L’Egitto, l’Arabia Saudita dovrebbero premere dietro le quinte sui suoi sponsor, l’Hezbollah e l’Iran, ma non mi risulta che lo stiano facendo».
Lei pensa che Obama negozierà con l’Iran e la Siria dalle prime settimane?
«Lo auspico. La Siria è disponibile, lo ha dimostrato con i suoi contatti con Israele e il piano congiunto con la Turchia. E prima o poi l’America dovrà aprire un dialogo con l’Iran, la cui disponibilità però è dubbia. Sospetto che se Obama fosse già stato al potere Hamas non avrebbe generato questa crisi, ha approfittato del vuoto lasciato da Bush, che ormai è evanescente».
Obama ha promesso di visitare un Paese islamico entro tre mesi e tenervi un discorso programmatico.
«Penso che abbia pronto un piano di pace per il Medio Oriente e l’Asia centrale, Afghanistan, Pakistan e India. Ma una cosa è enunciarlo, un’altra è realizzarlo. Ripeto, per risolvere la questione israelo-palestinese ci vuole il contributo della Siria e dell’Iran».
Ennio Caretto