Giampiero Mughini, Libero 28/12/2008, pagina 30, 28 dicembre 2008
Libero, domenica 28 dicembre 2008 Di se stesso diceva che aveva fatto tanti mestieri lungo una vita cominciata nell’ultimo segmento dell’Ottocento e che era arrivata sino agli ultimi anni Cinquanta del Novecento
Libero, domenica 28 dicembre 2008 Di se stesso diceva che aveva fatto tanti mestieri lungo una vita cominciata nell’ultimo segmento dell’Ottocento e che era arrivata sino agli ultimi anni Cinquanta del Novecento. Era stato un illustratore di libri per ragazzi, un poeta, uno scenografo, un autore di libretti e commedie, un attore, un filosofo, un regista di cartoni animati ma anche un raccoglitore di olive. In realtà Antonio Rubino (nato a Sanremo nel 1880, morto il 1° luglio 1964 nei boschi di Bajardo) era stato innanzitutto un artista, un creatore sublime, un raccontatore per immagini e disegni tra i più grandi del secolo scorso. C’è un patrimonio Rubino di cui ancora l’Italia non sa o sa a stento. E per fortuna che adesso è arrivato un grandissimo libro, l’Antonio Rubino che Santo Alligo ha curato per l’editore torinese Little Nemo. Un libro che quel patrimonio lo scova e lo esalta pagina per pagina, illustrazione per illustrazione. Alligo è il più grande specialista italiano di libri illustrati per l’infanzia, una dizione che più bugiarda di così si muore. All’alba del Novecento, in Francia come in Inghilterra come in Italia, i libri cosidetti ”per l’infanzia” sono stati difatti i libri più raffinati del mondo. Libri i cui autori non mettevano limiti alla loro fantasia e al loro linguaggio. Siccome raccontavano il favoloso e l’inesistente, lo potevano raccontare e disegnare come volevano. Inventarsi i paesaggi che volevano, i personaggi più stupefacenti, le storie più oniriche e surreali. Bastava dar loro una matita e un foglio di carta, e il mondo lo stravolgevano e come gli veniva veniva. Racconti che non erano destinati solo ai ”ragazzi”, tutt’altro. Federico Fellini ha raccontato la gran festa a casa sua, una festa che accomunava piccoli e adulti, ogni volta che suo padre arrivava con in tasca il ”Corriere dei piccoli” di cui Rubino era il disegnatore più valoroso e riconosciuto. Rubino s’era laureato in legge, molto di malavoglia. Pare che si guadagnasse il favore dei professori col mettere in versi le questioni giuridiche che gli venivano sottoposte. Già a 17 anni aveva scritto dei poemi grotteschi che portavano titoli così, ”L’anabignombasi” oppure ”Le galluppotoranchicchegrafeidi”. La matita e le figurette da inventare con entrambe le mani (era ambidestro), questa era la sua pista regale. Aveva 25 anni quando esce (nel 1905) il primo libro marchiato e nobilitato dalle sue illustrazioni, una lirica di Alberto Colantuoni che aveva per titolo L’Albatro. Da allora è un uragano di opere e di creatività. E tanto più che non essendo nato ricco doveva lavorare a tutta forza per mantenere moglie e figli, da cui le contese all’ultimo diritto di autore con Arnoldo Mondadori. Disegna copertine (splendide) per spartiti musicali, illustra inviti di nozze commissionatigli da suoi amici, mette il suo marchio figurativo su novelle di Hans Christian Andersen o Guido Gozzano, impagina e addobba collane di libri per ragazzi, inventa personaggi di cui scrive e disegna la saga affascinante. Il primo suo capolavoro assoluto è il Versi e disegni, un libro del 1911 di cui Rubino ha scritto ogni riga e inventato ogni immagine e che ha impaginato sino all’ultimo dettaglio. Quello che passa come il primo libro d’artista nella storia dell’editoria italiana. Un cimelio. Non c’è contesa più vacua di quella attorno alle definizioni le più appropriate del linguaggio figurativo di Rubino. Certo, all’origine di quel linguaggio c’era il simbolismo europeo di fine Ottocento. E l’art nouveau, soprattutto nella versione che ne offfriva un Aubrey Beardsley. Ma c’è anche il presagio e le avvisaglie di quell’art déco che esploderà negli anni Venti. Qualcuno ci ha trovato persino delle parentele con il Futurismo, di cui Filippo Tommaso Marinetti e gli altri hanno messo a verbale la data di nascita nel febbraio 1909. Questo certame degli ”ismi” né lo so né mi interessa minimamente. Vedi una copertina illustrata da Rubino a cinque metri di distanza e immancabilmente la riconosci. Aveva lo stile che s’era dato e che voleva, uno stile che a visitarlo oggi è fresco e vivido tanto quanto lo era stato negli anni Dieci e Venti, gli anni del suo massimo fulgore. Anni in cui sforna una serie di libri di abbagliante bellezza (la bibliografia completa di Rubino supera i cento titoli). Quelle figurette rubiconde e come svolazzanti, di cui non capisci bene perché stiano in quella porzione della pagina o in quell’altra. Anzi non lo sai affatto, sai solo che va bene così e che ti divertono così. Per me da ragazzo i disegni di Rubino non erano paragonabili con quelli di nessun’altro, ha scritto una volta Italo Calvino. Continuò a lavorare, a disegnare, a inventare, a provare combinazioni di generi e di linguaggi sino all’ultimo. Aveva 82 anni quel 1° luglio del 1964 che, nella località ligure in cui trascorreva le vacanze, se n’era andato in giro con una macchina fotografica a trovare immagini per un libro cui stava lavorando. La trombosi lo fulminò. Lo trovarono la mattina dopo, appoggiato a un muretto accanto al quale s’era seduto, la testa reclinata. «Abbiamo imparato a leggere più sulle tavole a colori di Rubino che sul sillabario» scrisse un anonimo cronista di un quotidiano locale. Giampiero Mughini