Annuario Panorama 2008, 29 dicembre 2008
Martedì 19 febbraio, prima pagina di Granma, giornale ufficiale del Partito comunista di Cuba. Il messaggio di Fidel Castro ai cubani: «Queridos compatriotas, les comunico que no aspiraré ni aceptaré - repito, no aspiraré ni aceptaré - el cargo de Presidente del Consejo de Estado y Comandante en Jefe»
Martedì 19 febbraio, prima pagina di Granma, giornale ufficiale del Partito comunista di Cuba. Il messaggio di Fidel Castro ai cubani: «Queridos compatriotas, les comunico que no aspiraré ni aceptaré - repito, no aspiraré ni aceptaré - el cargo de Presidente del Consejo de Estado y Comandante en Jefe». Sono le parole con cui il líder máximo, presidente del Consiglio di Stato, del governo e del partito, ottantunenne e in cattiva salute, rinuncia definitivamente al potere dopo aver governato l’isola per 49 anni. Così, durante la riunione del Parlamento che di lì a pochi giorni avrebbe deciso la nuova leadership chiede di non essere rieletto alla guida del Paese : «Non ho più il fisico, tradirei la mia coscienza se riprendessi la carica di presidente». Il comandante è convinto che la Revolución andrà avanti, ritaglia ancora per sé il ruolo di «soldato nella battaglia delle idee», annuncia che continuerà a scrivere per Granma gli editoriali, che d’ora in avanti prenderanno il nome di «Reflexiones del compañero Fidel». Castro non indica chi sarà il suo successore, ma d’altra parte già dal primo agosto del 2006 il presidente ad interim del Consiglio di Stato è il fratello minore Raúl, 77 anni. Anche allora all’origine dell’allontanamento dalla politica c’era la salute: il líder máximo venne operato all’intestino, quasi sicuramente per un cancro. A pochi giorni dall’annuncio, il 25 febbraio, tutto va come previsto: i 614 deputati dell’Assemblea nazionale confermano Raúl come presidente. E come previsto non cambia la politica degli Stati Uniti verso Cuba: l’embargo e le altre restrizioni resteranno in vigore, almeno fin quando Raúl rimarrà alla guida del Paese. Dal 2006 a Cuba è cambiato poco: gli stipendi sono ridicoli (un impiegato non guadagna più di 20 dollari al mese), c’è ancora la doppia moneta (una usata dai turisti che ha un cambio alla pari con il dollaro, l’altra - quella dei salari - che non vale quasi nulla), c’è ancora la ”libreta”, mensile per ottenere quasi gratis cibo razionato, un chilo di pomodori continua a costare un decimo dello stipendio medio, i terreni sono per la maggior parte improduttivi, c’è ancora molto turismo sessuale. Eppure qualcosa sta cambiando. Raúl, dopo aver ammesso che i salari sono troppo bassi, ha iniziato una serie di piccole riforme: ha permesso ai cubani di frequentare gli alberghi dove fino a quel momento potevano andare solo i turisti, di acquistare computer, ventilatori e altri aggeggi tecnologici, di poter comprare un telefonino e registrarne il contratto, ha semplificato il regolamento per acquistare, dopo 20 anni di affitto, le case dello Stato, ha aumentato le pensioni minime da 167 a 200 pesos mensili, ha permesso che i transessuali possano cambiare sesso gratuitamente negli ospedali pubblici, ha introdotto la moratoria sulla pena di morte, ha eliminato il tetto dei salari, ha concesso in usofrutto le terre statali incolte, ha detto che chi lavora di più deve essere pagato di più, ha permesso a maestri e professori in pensione di ritornare al lavoro, cumulando il salario alla pensione. Queste piccole e graduali riforme rappresentano l’’onda blanda” che per gli analisti sta portando a un’apertura graduale ai mercati. La nuova Cuba, dicono, non è più ferma come la Cuba di Fidel.