Annuario Panorama 2008, 29 dicembre 2008
Ha inizio il 16 gennaio la crisi del governo Prodi, quando la procura di Santa Maria Capua Vetere dispone gli arresti domiciliari per Alessandra Lonardo, moglie del ministro della Giustizia Clemente Mastella e presidente del consiglio regionale della Campania
Ha inizio il 16 gennaio la crisi del governo Prodi, quando la procura di Santa Maria Capua Vetere dispone gli arresti domiciliari per Alessandra Lonardo, moglie del ministro della Giustizia Clemente Mastella e presidente del consiglio regionale della Campania. L’accusa: tentata concussione nei confronti di Luigi Annunziata, direttore generale dell’azienda ospedaliera di Caserta Sant’Anna e Sebastiano. Lo stesso Mastella è indagato per concussione, falso e concorso esterno in associazione per delinquere. Arresti domiciliari anche per il sindaco di Benevento Fausto Pepe, due assessori e due consiglieri regionali, tutti fedelissimi di Mastella. Fra i quattro finiti in carcere c’è poi il consuocero, Carlo Camilleri. Dalle intercettazioni relative all’indagine emerge una fitta rete di raccomandazioni, spartizione di poltrone e posti di potere in Campania. Lonardo: «Vedo messo in discussione tutto il lavoro che ho fatto in questi anni per due medici che non ho mai raccomandato. Peraltro non mi pare che la raccomandazione sia un reato e in ogni caso chi è senza peccato scagli la prima pietra». Mastella si dimette subito dall’incarico di ministro con un discorso in aula in cui difende il suo onore: «Mi dimetto per senso dello Stato, mi dimetto perché tra l’amore per mia moglie e il potere scelgo il primo. Io, l’onnipotente Mastella, scelgo il primo». In un primo momento concede l’appoggio esterno al governo, fondamentale per mantenere la maggioranza in Senato dove il centro-sinistra può contare su due soli voti di scarto (l’Udeur ha tre senatori). Per rimanere nel governo però vorrebbe da parte di tutti i membri dell’esecutivo una solidarietà totale, comprendente cioè la netta condanna della magistratura. Solidarietà che non gli arriverà. Il 21 gennaio annuncia che il suo partito, l’Udeur, non appoggerà più Prodi, che a questo punto si ritrova senza maggioranza in Senato. Martedì 22 e mercoledì 23 Prodi parla alla Camera, esalta l’azione del suo governo e chiede il voto di fiducia. Lo ottiene facilmente (326 sì, 275 no). L’Udeur diserta misteriosamente la votazione, cosa che fa credere a ripensamenti o mercanteggiamenti di Mastella con il centro-destra. Smentite furibonde da tutte le parti. Mastella giura che al Senato, se Prodi si ripresenta, voterà no. Napolitano, ancora mercoledì sera, cerca di convincere Prodi a dimettersi subito, accontentandosi della fiducia dei deputati: una bocciatura certificata a Palazzo Madama renderebbe più difficile un reincarico e in ogni caso sancirebbe una rottura tra l’Udeur e il centro-sinistra, rottura che sarebbe poi assai improbabile ricucire durante la crisi. Ma Prodi non ne vuole sapere. Giovedì 24 alle 20.43, come previsto, il presidente del Consiglio va sotto al Senato (161 no, 156 sì) e sale al Quirinale per dimettersi. Seduta parecchio buffa. Mastella esordisce in aula citando una poesia della scrittrice brasiliana Martha Medeiros (da lui erroneamente attribuita a Pablo Neruda), Lentamente muore. I tre diniani votano in tre modi diversi: Dini no, D’Amico sì, Scalera astenuto. Il senatore Cusumano dell’Udeur annuncia all’aula che, nonostante tutto, voterà sì. Il suo compagno di partito, senatore Barbato, gli si scaglia allora contro: «Traditore, venduto, pezzo di merda». La parte destra dell’assemblea, in coro: «Cesso, troia, frocio, checca». Invano il presidente Franco Marini scampanella. Cusumano sviene, e lo portano via in barella. Cossiga rilascia una dichiarazione alle agenzie in cui si compiace della rissa dicendo che finalmente è tornata la prima Repubblica. Alle 20.43, quando Marini legge i risultati, la parte destra dell’assemblea stappa bottiglie di champagne e le rovescia sui banchi e sulle giacche degli onorevoli. Il senatore Strano, di An, si fa fotografare mentre per la gioia divora e mastica a bocca aperta, con gran gusto, fette su fette di mortadella. Mezz’ora dopo - alle 21.16 - il presidente del Consiglio sale al Quirinale per dimettersi. Il giorno seguente il presidente Napolitano inizia le consultazioni: la crisi appare di esito molto incerto e si ipotizzano diverse soluzioni. Le principali indicano Dini o Amato alla guida di un governo di transizione. Il 30 gennaio Napolitano incarica Marini di verificare l’esistenza di una maggioranza favorevole alla modifica della legge elettorale. Marini, ex-sindacalista, uomo tenacissimo e capace di andare a dama nelle situazioni più complicate, ha bisogno dell’appoggio di Veltroni e Berlusconi, ma il periodo del dialogo tra i due leader sembra finito. Il 4 febbraio perciò rimette al capo dello Stato il mandato, avendo constatato che non esistono i margini per creare una maggioranza. Il 6 febbraio, alle 11 e 55 del mattino, il presidente Napolitano scioglie le Camere e subito dopo, in un apposito consiglio dei ministri, Prodi fissa la data delle elezioni politiche per il 13 e 14 aprile.