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 2008  dicembre 27 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 29 DICEMBRE 2008

Il 20 gennaio ci sarà il giuramento di Barack Obama, 44° presidente degli Stati Uniti, il primo di colore. Conquistata la Casa Bianca promettendo un forte cambiamento, sarà spinto dal sostegno della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica mondiale. Per non deludere gli indipendenti che hanno contribuito al suo successo, da subito Obama dovrà dire molti no ai suoi compagni di partito: alle prese con la crisi economica e con l’enorme deficit pubblico, potrebbe essere costretto a scontentare molti di quelli che l’hanno portato alla vittoria. I sindacati che chiedono una riforma del mercato del lavoro e i verdi che chiedono misure a salvaguardia dell’ambiente, in tempi di recessione vedranno respinte molte delle loro richieste. Onde evitare disastri per la reputazione degli Stati Uniti nell’intera regione, il neopresidente si rimangerà la vecchia promessa di ritirare subito le truppe dall’Iraq; quanto all’Afghanistan, dovrà convincere gli americani (e gli alleati) che il numero delle truppe non va ridotto ma aumentato. [1]

A febbraio l’Iran celebrerà il trentesimo anniversario della rivoluzione islamica. Per il governo di Teheran la più grande speranza dell’anno che verrà è di evitare il bombardamento da parte di israeliani e/o americani. Per farlo, cercherà di trascinare il più a lungo possibile i negoziati a sei che oltre agli Stati Uniti coinvolgono Cina, Russia, Inghilterra, Germania, Francia, e continuerà a giocare al gatto col topo con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Nel frattempo, l’Iran continuerà ad arricchire uranio avvicinandosi alla realizzazione della bomba atomica. Protetti dalla Russia per quanto riguarda eventuali sanzioni Onu, gli iraniani dovranno fare i conti con una situazione economica resa ancor più complicata dal calo del prezzo del petrolio. Elezioni presidenziali in programma il 12 giugno, l’ex speaker del parlamento Mehdi Karroubi e l’ex presidente Muhammad Khatami potrebbero avere la meglio sul presidente Mahmoud Ahmadinejad, che pare però godere ancora dell’appoggio dell’ayatollah Ali Khamenei (il vero uomo forte del regime). [2]

Per i cinesi il 2009 sarà l’anno del bue, simbolo dell’impegno senza lamentarsi e del raggiungimento della prosperità attraverso il lavoro e la pazienza. Quando a marzo si terrà l’annuale sessione plenaria del Congresso nazionale del popolo, i leader del Paese potranno celebrare il sorpasso agli Stati Uniti in testa alla classifica mondiale dei produttori manifatturieri (in termini reali, considerando inflazione e tassi di cambio, dovranno però attendere, con l’attuale trend, il 2017). Dall’inizio dell’anno le industrie cinesi dovranno tener conto di nuove leggi che limitano il consumo d’acqua e chiedono un maggior utilizzo dell’energia pulita e una migliore gestione dei rifiuti. Il primo ottobre la Cina celebrerà i sessant’anni dalla sua fondazione come stato comunista (le celebrazioni che coinvolgono il numero 6 sono molto importanti nelle culture confuciane). Saranno celebrati anche i 30 anni dall’inizio delle riforme economiche di Deng Xiaoping, gli oppositori del regime ricorderanno i 20 anni dalla sanguinosa repressione di piazza Tienanmen. [3]

Il 2 aprile si riunirà a Londra il G20, forum creato nel 1999 per favorire l’internazionalità economica e la concertazione tenendo conto delle nuove economie in via di sviluppo. I ministri delle Finanze e i direttori o governatori delle Banche centrali dei Paesi membri cercheranno di individuare le misure per limitare i danni della crisi. Di certo nel 2009 molte delle potenze economiche mondiali vedranno una riduzione del Pil. Anche i Paesi in via di sviluppo subiranno gli effetti della crisi a causa delle minori esportazioni in America, Europa e Giappone. Secondo le previsioni, il prossimo sarà dal punto di vista economico il peggior anno dal 2002. Limitando l’analisi ai soli Paesi sviluppati, il 2009 potrebbe essere il peggior anno dagli 80, il che sarebbe già un sollievo per quanti temevano il ritorno a scenari catastrofici quali quelli vissuti negli anni 30. [4]

Entro maggio si dovranno svolgere in India, la più grande democrazia del mondo, le elezioni presidenziali. Il Partito del Congresso, al potere dal 2004, ha potuto godere in questi anni di una crescita economica annuale intorno al 9%, ma non è riuscito a varare le riforme liberali di cui il Paese ha bisogno. Chiunque esca vincitore dalle urne, il Partito del Congresso o i nazionalisti Hindu del Bharatiya Janata Party (Bjp), l’ascesa dei partiti regionali renderà quasi certamente inevitabile il varo di un governo di coalizione. Mayawati Kumari, leader del Bahujan Samaj Party (Bsp) che governa il popoloso stato dell’Uttar Pradesh, potrebbe diventare la prima dalit (quelli che un tempo si chiamavano intoccabili) a ricoprire la carica di primo ministro, ipotesi che al momento appare comunque improbabile. Al momento di scegliere il candidato premier, il Partito del Congresso dovrebbe preferire l’attuale primo ministro Manmohan Singh a Rahul Gandhi, trentottenne figlio di Sonia. [5]

A giugno si svolgeranno in 27 Paesi le elezioni Europee (in Italia si voterà il 6 e il 7). Dal 1979, anno delle prime elezioni, l’affluenza non ha fatto altro che calare, fino al 46% del 2004. L’indifferenza degli elettori deriva dal fatto che l’Europarlamento è visto dalla maggior parte dei cittadini europei come la sede di un enorme governo di coalizione che amministra attraverso il compromesso. Molto importante sarà l’esito del referendum che si terrà in Irlanda ad ottobre: gli elettori locali, che nel giugno 2008 respinsero con un primo referendum la ratifica del trattato di Lisbona, saranno nuovamente chiamati alle urne, visto che senza il loro consenso il cammino verso l’integrazione non potrebbe procedere. Nel caso i sondaggi dovessero mostrare la tendenza verso un nuovo rifiuto (ipotesi molto probabile), il governo irlandese sarebbe probabilmente chiamato a scogiurare quest’ipotesi (suicidandosi) con una legge che permetta la ratifica al parlamento. [6]

Il 2009 di Gordon Brown è particolarmente difficile da prevedere: rinforzato dalla gestione della crisi economica, il primo ministro inglese potrebbe continuare nella sua rimonta ai danni del leader conservatore David Cameron. Non è da escludere però una rivolta tra le stesse file laburiste che potrebbe causare la fine della sua esperienza a capo del governo. Secondo gli esperti, la data decisiva sarà il 5 giugno, il giorno dopo le elezioni europee: se i laburisti dovessero subire una nuova batosta dopo le tante subite nel 2008, i compagni di partito potrebbero ritenere ormai inevitabile la rimozione del loro leader nel disperato tentativo di evitare una nuova disfatta alle elezioni generali. La salvezza di Brown potrebbe ancora una volta venire dalla difficoltà di trovargli un sostituto e soprattutto dal permanere delle difficoltà economiche, che toglierebbero a chiunque la voglia di prenderne il posto. [8]

Il 27 settembre si terrano in Germania le elezioni parlamentari. L’attuale cancelliere Angela Merkel (Cdu) se la dovrà vedere con il suo ministro degli Esteri e vice cancelliere Frank-Walter Steinmeier (Spd). Dopo quattro anni di governo di grande coalizione, la Merkel vorrebbe formare un nuovo governo con i Liberali, Steinmeier punta ad un’allenza con i Verdi. I piani di entrambi potrebbero essere scompaginati dalla sinistra di Oskar Lafontaine, che sfruttando lo scontento provocato dalla crisi economica potrebbe ottenere una notevole affermazione aprendo la strada a due esperimenti: il governo ”semaforo” con Spd (rosso), Liberali (giallo) e Verdi, o il governo ”Jamaica” (dai colori della bandiera giamaicana) con la Cdu (nero) al posto della Spd. Nonostante nessuno si mostri entusiasta dell’idea, in caso di stallo non sarebbe da escludere il varo di una nuova grande coalizione. Per la Germania il 2009 sarà anche un anno di grandi ricorrenze: il 23 maggio sarà celebrato il 60° anniversario dalla nascita della Repubblica Federale, il 9 novembre saranno 20 anni dalla caduta del muro di Berlino. [7]

Per il presidente francese Nicolas Sarkozy il 2009 non sarà un anno facile: oltre a dover fronteggiare recessione, crisi bancaria, aumento della disoccupazione ecc., perderà il ruolo di protagonista assunto durante i 6 mesi a capo dell’Unione euroepa (dal 1° gennaio la presidenza passerà alla Repubblica Ceca, dal 1° luglio alla Svezia). Impossibilitato a tagliare le tasse, è probabile che dovrà fare i conti con un deficit di bilancio oltre il tetto imposto dall’Ue. Alle prese con il crescere dello scontento sociale e con gli scioperi dei dipendenti del settore pubblico, bersaglio delle sue riforme per modernizzare il Paese, Sarkozy farà probabilmente appello all’intera nazione per indebolire il ruolo dei sindacati. L’elezione di un nuovo leader difficilmente renderà più pericolosa l’opposizione socialista, alle prese con le troppe rivalità interne. Tra i protagonisti del 2009 potrebbe emergere Olivier Besancenot, leader del partito anti-capitalista. [9]

Per la Spagna, che negli ultimi anni ha grandemente beneficiato dell’ingresso nell’area euro, il 2009 sarà l’anno in cui fare i conti con il rovescio della medaglia: alle prese con una recessione molto più rapida di quanto previsto dalle stime più pessimistiche, Madrid non potrà cercare una via di fuga nella svalutazione come sperimentato con successo nel 1993. Alle prese con la ripresa dell’inflazione e con un costo del lavoro sempre più caro che pesa molto in termini di competitività, Zapatero dovrà avventurarsi in una riforma del mercato del lavoro che potrebbe costargli molti consensi facendogli rimpiangere l’occasione persa quando la forte crescita del Paese avrebbe potuto rendere più malleabili i sindacati, senza il cui consenso, ha già fatto sapere la maggioranza, non verrà presa alcuna iniziativa. La ripresa, il cui inizio è previsto per il 2010, non dovrebbe arrivare prima che il tasso di disoccupazione abbia raggiunto il 15%. [10]

Per la Russia il 2009 sarà il primo anno di vera difficoltà da quando nel 2000 Vladimir Putin prese il potere. L’era putiniana, segnata dall’alto prezzo del petrolio e dalla nascita di un nuovo orgoglio nazionale, potrebbe aver raggiunto il picco con la vittoria nella guerra contro la Georgia. Con le casse piene di soldi, il Cremlino poteva ignorare le lamentele occidentali in termini di diritti umani. Adesso che le banche hanno tagliato i crediti e il prezzo del greggio è precipitato, Mosca dovrà fronteggiare un forte deficit commerciale e un’inflazione già a due cifre che impoverirà la popolazione. In passato infastidito solo dalla piccola opposizione liberale, Putin potrebbe d’un tratto trovarsi alle prese con un malcontento piuttosto diffuso e con un sistema economico fortemente dipendente dagli investimenti esteri. Non bastasse, a breve potrebbe pagare l’avventura georgiana con nuove sfida provenienti da Cecenia e Inguscezia, dove le aspirazioni secessioniste non sono mai state abbandonate. [11]