Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 27 Sabato calendario

Un’ondata di nazionalizzazioni e salvataggi pubblici si sta diffondendo nel mondo, nel tentativo di contenere la crisi finanziaria

Un’ondata di nazionalizzazioni e salvataggi pubblici si sta diffondendo nel mondo, nel tentativo di contenere la crisi finanziaria. Gli Stati Uniti, che pure non hanno mai avuto una tradizione statalista, guidano la classifica con il salvataggio delle banche, di un’assicurazione e delle agenzie di riacquisto dei mutui - Fannie Mae e Freddie Mac - affiancati di recente da un primo intervento a favore del settore dell’auto. In Europa, Regno Unito, Svizzera, Francia, Belgio, Olanda e Islanda hanno realizzato amplissimi interventi nel settore finanziario. Non fa eccezione la Russia con la ri-nazionalizzazione di numerosi settori. E anche la Germania, sinora refrattaria a ogni intervento di sostegno all’economia, ha dovuto nazionalizzare una banca. Di questa ondata di nazionalizzazioni e salvataggi colpisce l’ampiezza e la rapidità. Nel solo 2008, in termini di cassa (ed escludendo dunque le garanzie), gli interventi statali di salvataggio si stanno avvicinando a 3 trilioni (3000 miliardi) di dollari. Giusto il doppio dei proventi di tutte le privatizzazioni realizzate nel mondo in trent’anni, pari a 1,5 trilioni di dollari. Si conferma in questo modo come le privatizzazioni, iniziate nel Regno Unito dal governo Thatcher, siano state un ciclo economico e politico ormai invertito e non una tendenza definitiva del capitalismo moderno. Le risorse impiegate sul fronte delle nazionalizzazioni e dei salvataggi accrescono direttamente il debito pubblico e aumentano l’esposizione degli Stati verso il sistema finanziario e produttivo. Questo fenomeno si somma agli interventi macroeconomici di stimolo all’economia, di nuovo fondati su deficit e debito pubblico per sostenere consumi e investimenti ormai in caduta libera (il crollo dei consumi natalizi è comune a tutti i principali Paesi). L’ammontare di questi interventi di sostegno è di difficile valutazione, perché i programmi non sempre mobilitano risorse aggiuntive, né corrispondono pienamente alla realtà. In ogni caso, a prescindere dalla precisione delle stime, anche gli stimoli fiscali contribuiranno in modo notevole alla crescita dei disavanzi, scaricando sul futuro gli oneri della crisi e riportando alla ribalta i grandi debiti pubblici che avevano caratterizzato gli Anni Novanta. Nell’insieme, c’è da ritenere che tutte queste misure vadano per il momento nella direzione giusta. ovvio che i governi in questa fase vadano giudicati per la capacità di gestire la crisi e evitare una futura depressione, senza andare troppo per il sottile. Non vi è dubbio, tuttavia, che nel più lungo periodo la politica economica stia ricreando il problema del debito pubblico e che i governi andranno giudicati per la poro capacità di riassorbire i debiti pubblici e privati. Il debito privato, dopo aver sostenuto un decennio di crescita, è oggi all’origine della crisi che stiamo vivendo. Per ora, i rimedi stanno generando direttamente e indirettamente altro debito pubblico, in parte aggiuntivo in parte sostitutivo del debito privato. La sfida di medio termine per la politica economica e per i governi è dunque la soluzione al problema del debito complessivo. Un problema globale che richiederà soluzioni globali.