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 2008  dicembre 27 Sabato calendario

Per il 2009, le previsioni sono cupe. Nel mercato del credito, gli spread hanno raggiunto livelli senza precedenti: si teme un´ondata di fallimenti

Per il 2009, le previsioni sono cupe. Nel mercato del credito, gli spread hanno raggiunto livelli senza precedenti: si teme un´ondata di fallimenti. Un pessimismo eccessivo. Tuttavia, nelle ultime due recessioni (1980-83 e 1991-93) il tasso medio di insolvenza delle imprese nel mondo industrializzato ha raggiunto quasi il 5%; oggi siamo all´1,3%. Basta questo dato per capire come l´impatto peggiore sui bilanci delle banche, sugli utili delle imprese e sull´occupazione debba ancora venire. Impossibile prevedere se la recessione si esaurirà nella prima parte del 2009, o ci terrà compagnia tutto l´anno. Ma sicuramente ci lascerà in eredità un diluvio di debito pubblico: tutti i governi pianificano interventi straordinari a sostegno della domanda e investimenti nelle infrastrutture, a cui vanno aggiunti ammortizzatori sociali, aiuti alle banche, e alle aziende. La recessione lascerà in eredità anche una montagna di rischio di credito alle banche centrali, che stanno stampando moneta a tassi sudamericani (+86% la base monetaria negli Usa quest´anno) per finanziare o acquistare da banche e intermediari mutui, prestiti, e cartolarizzazioni, sostituendosi al mercato come erogatrici del credito. Da inizio anno, la Federal Reserve ha aumentato le attività in portafoglio da 1.000 a 2.200 miliardi; e potrebbe chiudere il 2008 a 3.000 miliardi: il 20% del Pil americano. La Banca Centrale Europea sale da 1.200 a 2.100 miliardi. Ancora niente rispetto al Giappone (30% del Pil), che persegue politiche analoghe da dieci anni, senza successo. In questo momento la preoccupazione è attenuare i costi della recessione. Ma come uscirne, fra due o tre anni? Semplificando al massimo, ci sono due strade: il modello "dopoguerra" e il modello "giapponese". I tassi del debito pubblico americano a 10 anni sono scesi al 2,2%; quelli tedeschi al 2,9%. Con l´inflazione all´1%, sono un affare; ma già al 5,5%, a parità di potere d´acquisto, si perde un quarto del capitale investito. Nel modello "giapponese", i titoli del debito pubblico sono il bene rifugio per eccellenza; nel "dopoguerra", sono spazzatura. Il problema interessa non solo i ricchi e i professionisti del settore, ma tutti: l´onere di generare le risorse per pagare le pensioni è stato trasferito, Italia compresa, sempre più al mercato dei capitali, con il rischio finanziario a carico dei lavoratori. Dopo la recessione, come dopo una guerra, qualche anno di inflazione eliminerebbe l´eccesso di debito pubblico, senza aumentare le tasse; aiuterebbe le banche a rimpinguare i bilanci; allevierebbe gli effetti della bolla immobiliare (limitando la discesa dei prezzi necessaria a rilanciare il mercato); e permetterebbe alle banche centrali di smaltire lo stock di attività rischiose. Lo scenario è realistico perché, alla fine di questa recessione, il timore principale delle banche centrali sarà quello di chiudere troppo presto i rubinetti del credito. E per qualche governo la tentazione di percorrere questa strada sarà forte. L´alternativa è il modello "giapponese". In Giappone, il reddito nominale pro capite è stazionario da 11 anni (circa 32 mila euro). Aumenta in termini di potere di acquisto solo perché i prezzi sono in discesa mediamente dell´1,2%. Il rendimento sul capitale è piatto: tenuto conto di dividendi e inflazione, la Borsa è al livello di 26 anni fa. La popolazione non cresce e invecchia rapidamente, scaricando sempre più sullo Stato l´onere di previdenza e assistenza: il debito pubblico è quasi al 180% del Pil; ma riesce a finanziarsi con tassi a 10 anni dell´1,4%, grazie alla deflazione e all´alta propensione al risparmio dei giapponesi. Quale prevarrà? La Germania mi sembra avviata sulla strada del modello "giapponese", col rischio di trascinare con sé Eurolandia; gli Stati Uniti, sulla strada del "dopoguerra". Se le cose andassero così, tassi e borse sulle due sponde dell´Atlantico andrebbero per strade diverse. Sarebbe la prima volta.